Kairos e chronos

I tempi sociali e l’attesa del momento rivoluzionario

kairos

L’azione politica si è sempre dovuta confrontare con il problema di attendere il “momento giusto”. Ma cos’è il “momento giusto”? Ne esiste uno solo? Forse, per uscire dall’impasse, conviene ripensare radicalmente la temporalità che sottende ai processi sociali…

«La storia è oggetto di una costruzione in cui il luogo non è costituito dal tempo omogeneo e vuoto, ma da quello riempito dell’adesso»[1]. Così scriveva in una delle note sul concetto di storia Walter Benjamin. Chronos e kairos. Al tempo lineare, monotono, dell’orologio si affianca l’evento, lo scarto, l’apertura di un fascio di possibilità. In questa «discordanza dei tempi» – per usare la felice espressione coniata da Daniel Bensaïd, il filosofo militante – si situa l’agire politico. Mai stanca ripetizione dell’uguale, semplice gestione tecnica dell’esistente, l’agire politico è l’emersione di questa dialettica. E i periodi rivoluzionari, tutti i periodi rivoluzionari, lo svelano in maniera lampante: il calendario giacobino del 1793, le fucilate contro gli orologi pubblici a Parigi durante la Rivoluzione di Luglio… In questi particolari periodi storici, l’andamento sincopato dell’esistente mostra tutte le proprie potenzialità creatrici.

Già Marx, nel Capitale, aveva colto che per comprendere la processualità sociale serviva una logica del processo. Nell’addentrarsi nel «segreto laboratorio della produzione» capitalistica, il meccanicismo è impotente di fronte alle circolarità in cui l’azione umana si invischia, alle fratture che produce, alle possibilità che dischiude. Hegel viene fatto risorgere e la logica dialettica – il suo nocciolo razionale entro il guscio mistico – diviene l’inevitabile risposta al problema della comprensione del modo di produzione attuale. Per questo, come scrive Bensaïd, Il capitale non è un trattato di sociologia o di economia, per come queste discipline si sono configurate nell’ultimo secolo e mezzo ma una «teoria critica della lotta sociale e del cambiamento del mondo»[2].

Ora, il fondamento categoriale della logica dialettica è la “tendenza”, il «relativamente permanente» di cui parla Gramsci nei Quaderni del carcere, ciò che va distinto dalla mera congiuntura. Val la pena leggere l’intero passo:

«Nello studio di una struttura occorre distinguere i movimenti organici (relativamente permanenti) dai movimenti che si possono chiamare di congiuntura (e si presentano come occasionali, immediati, quasi accidentali). I fenomeni di congiuntura sono certo dipendenti anch’essi da movimenti organici, ma il loro significato non è di vasta portata storica […]. I fenomeni organici danno luogo alla critica storico-sociale, che investe i grandi aggruppamenti, di là dalle persone immediatamente responsabili e di là dal personale dirigente»[3].

kairos commune

Ma ancora non basta. “Congiuntura” e “permanenza” sono categorie che restano ancora legate a una struttura della temporalità lineare. Serve armarsi di una seconda diade, sempre gramsciana, che completa il quadro, «fare epoca» e «durare»: «è da notare – scrive Gramsci – come troppo spesso si confonda il “non far epoca” con la scarsa durata “temporale”; si può “durare” a lungo, relativamente, e non “fare epoca”»[4]. Ossia, il processo sociale non si misura solo in giorni, mesi, anni, il tempo cronologico non coincide con l’evento. E l’evento, i «fenomeni organici», ciò che «investe i grandi aggruppamenti» (ossia l’azione delle masse[5]), detta il proprio ritmo al tempo cronologico, al tempo lineare: il nuovo calendario, le fucilate di cui si diceva sopra.

Le leggi elaborate da Marx, allora, sono e non possono che essere puramente tendenziali. Già nel loro porsi esse sono negate da “controtendenze”, che, si noti bene, non sono tendenze contrarie ma il portato negativo di ogni tendenza e al tempo stesso pongono le condizioni del superamento di questa dialettica, pongono cioè le condizioni del dispiegarsi della crisi.

Nella crisi lo sviluppo quantitativo e qualitativo delle tendenze e delle relative controtendenze esplode in forma distruttiva: momento di vera e propria scossa tellurica, in cui le stesse controtendenze smettono la loro funzione negativa e divengono esse stesse parte integrante della tendenza principale. I caratteri “distruttivi” già presenti in una data conformazione sociale subiscono allora una violenta accelerazione e quelli “costruttivi” rallentano.

L’esito di questo violento sconquasso però non è mai determinato a priori: non c’è possibilità di pre-vedere l’esito della crisi. La crisi infatti può risolversi nella direzione di una ridefinizione della configurazione sociale e perciò può sorgere una nuova dialettica di tendenze e controtendenze e con essa una nuova configurazione di mondo: il vecchio muore e il nuovo nasce, per parafrasare Gramsci. Oppure la società si impania in una spirale che, incanalando le contraddizioni, si mantiene sul terreno dei rapporti vigenti (rapporti sociali e tra la società e il mondo circostante), senza essere in grado di superarne l’essenziale dialettica di tendenze e controtendenze. Citando Frosini, la crisi si risolve allora in una «ricombinazione conflittuale – e mediante i conflitti stessi – del rapporto tra [un] contenuto e [una] forma sociale»[6] già date.

Abbiamo detto che non c’è la possibilità di prevedere il futuro. Tuttavia c’è la possibilità di prefigurarlo. Ossia di dare una forma, una figura determinata al processo in atto. L’attività politica – cioè l’attività teleologica, condotta secondo un fine, progettuale – di un soggetto collettivo può decidere in quale direzione si svilupperà il processo sociale. E lo può fare perché essa stessa è parte di quel processo. Ne è parte attiva e cosciente, capace di valutare le linee di fuga che in ogni momento si aprono e i futuri virtuali che in ogni momento si presentano, agendo affinché uno solo si realizzi.

kairos Filippo Buonarotti

È ciò che si incaricarono di fare, a modo loro, i giacobini. Punta più avanzata del processo rivoluzionario iniziato con l’89, i giacobini «si imposero alla borghesia francese, conducendola su una posizione molto più avanzata di quella che la borghesia avrebbe voluto “spontaneamente” e anche molto più avanzata di quella che le premesse storiche dovevano consentire»[7]. E così facendo «fondarono non solo lo Stato borghese, fecero della borghesia la classe “dominante”, ma fecero di più (in un certo senso), fecero della borghesia la classe dirigente, egemone, cioè dettero allo Stato una base permanente»[8]. I giacobini cioè furono i prefiguratori della società borghese moderna e questa fu la ragione per cui essi non si limitarono a durare ma fecero epoca.

Ecco allora che le domande che abbiamo posto in partenza dismettono il loro carattere aporetico. Non esiste mai un “momento giusto” in cui dispiegare la propria azione. La Storia non la fa chi attende in disparte. Si tratta piuttosto di attrezzarsi, di indagare le tendenze in atto, di progettare un futuro diverso e di agire alla maniera dei profeti ebraici: di coloro per i quali il futuro non era «un tempo omogeneo e vuoto [ma] la piccola porta attraverso la quale poteva entrare il Messia»[9].

Note

[1] W. Benjamin, Sul concetto di storia, a cura di G. Bonola e M. Ranchetti, Einaudi, Torino 1997, pp. 45-7.

[2] D. Bensaïd, Marx l’intempestivo, Edizioni Alegre, Roma 2007, p. 22.

[3] A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, Q13, §17, p. 1579.

[4] Ivi, Q14, §76, p. 1744.

[5] Lenin diceva da qualche parte che la vera politica inizia non quando migliaia o centinaia di migliaia, ma quando milioni di persone si attivano e diventano protagonisti del loro futuro.

[6] F. Frosini, Come leggere la Miseria della filosofia (e perché tornare a leggerla oggi), in Pensare con Marx ripensare Marx, Edizioni Alegre, Roma 2008, p. 133.

[7] A. Gramsci, op. cit., Q1, §44, p. 50.

[8] Ivi, pp. 50-51.

[9] W. Benjamin, op. cit., p. 57.

di Simone Coletto

Autore

  • Laureato in Filosofia, in Scienze filosofiche e poi anche in Storia per onorare il proverbio secondo cui non ci può mai essere il due senza il tre, si occupa di politica mentre attende sia il momento di fare la rivoluzione. Nel frattempo fa anche MMA, per cui quando sarà il momento converrà essere dal suo stesso lato della barricata.