La raccolta paradossale

L’insiemistica a fondamento della matematica

Qual è il concetto matematico più elementare? Il più semplice, il più basilare di tutti? Talmente basilare da essere proprio alla base delle fondamenta della matematica? È il concetto di raccolta, di collezione: il concetto di insieme. Raccolta di cosa? Di qualsiasi cosa, verrebbe da dire. La matematica ha la pretesa di studiare le strutture di oggetti di vario tipo: come posso manipolare algebricamente dei numeri? Come posso deformare le forme geometriche? Eccetera… Sembra non esserci limite a ciò che i matematici si permettono di fare.

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Disegni dalla serie “Drawing Mathematics” di Kasia Jackowska

Ma ancora prima di cominciare a studiare le diverse collezioni di oggetti sotto i diversi punti di vista possibili (algebrici, geometrici, analitici, probabilistici, dinamici…), come matematico devo innanzitutto chiedere che mi venga concesso come primissimo passo quello di poterli raggruppare in un insieme. Sembra una richiesta banale, ma non lo è affatto. Come vedremo più avanti, non è permesso considerare “insiemi” di qualsiasi tipo, senza generare qualche sorta di paradosso, cosa che (come abbiamo già visto ad esempio nel n. 13) i matematici non possono proprio permettersi. La potenza della matematica è la certezza sotto ipotesi enunciate con chiarezza, e un paradosso (nel senso di assurdo logico) non è altro che una confutazione della ammissibilità delle ipotesi fatte.

Cominciamo però con ordine, ovvero con gli “oggetti” che possiamo davvero raggruppare in insiemi. Possiamo raggruppare mele, pere, arance (anche tutte e tre le tipologie nello stesso insieme), numeri, punti, curve, superfici, …. Questi “oggetti” sono chiamati in gergo elementi. Un elemento non è un insieme, è qualcosa che esiste (altra assunzione implicita, ma questo punto esce credo dalla matematica ed entra piuttosto nella filosofia) e che appartiene (o non appartiene) a un determinato insieme. Posso scrivere ad esempio A = {a₁, a₂, a₃} ovvero l’insieme A è la collezione degli elementi a₁, a₂, a₃. Abbiamo poi automaticamente tutte le nozioni basilari del tipo: un insieme A contiene un insieme B se ogni elemento di B appartiene anche ad A. Tutto ciò è alla base dei lavori come quello di Georg Cantor, forse il primo ad accorgersi che la teoria degli insiemi non era per nulla banale. Tra le proprietà degli insiemi studiate da Cantor vi era quella fondamentale di cardinalità, cioè la “numerosità” degli elementi che vi appartengono (si veda ad esempio l’uscita 14). Fatto un qualche raggruppamento, non abbiamo altro che un insieme che possiamo descrivere come “nudo”: ho solo la collezione di elementi che gli appartengono e la loro “numerosità”, ma nessun legame tra gli elementi. Questo ci porta naturalmente al prossimo passo: utilizzare il concetto di relazione. Posso mettere in relazione gli elementi di due insiemi diversi: ad esempio considerando gli insiemi {1, 2, 3} e {*, **, ***} associo * a 1, ** a 2 e *** a 3. Si noti che se mi è concesso creare insiemi formati da “oggetti”, mi è anche automaticamente concesso creare una tale relazione: basta considerare l’insieme delle coppie B = {(1, *), (2, **), (3, ***)}, il quale la definisce formalmente. Una relazione di questo tipo si chiama funzione (o corrispondenza), ed è di fatto il secondo concetto più basilare della matematica, dopo quello di insieme (anzi, è definito esso stesso come particolare tipo di insieme, come abbiamo visto). Le funzioni/corrispondenze biunivoche (o biettive, anche dette per amor di chiarezza “1-a-1”: quelle che legano ogni elemento di un insieme a ogni elemento di un altro insieme e viceversa), permettono poi di rendere equivalenti insiemi “nudi” della stessa cardinalità: {1, 2, 3} e {*, **, ***} diventano insiemisticamente indistinguibili attraverso la biezione B.

Una volta definito l’insieme, tutta la potenza della matematica sta nel metterci sopra una struttura: creare relazioni tra gli elementi stessi dell’insieme. Una struttura algebrica magari: definire per esempio cos’è la somma di due elementi del nostro insieme (quindi è in linea di principio permesso sommare mele con pere! Basta che la somma sia ben definita); o una struttura metrica: definire qual è la distanza tra elementi; ecc… La bellezza di tutto ciò è che se mi è possibile definire queste strutture in termini di insiemi e funzioni tra insiemi, non ho nessun altro permesso particolare da chiedere per poter introdurre tali strutture e continuare il mio studio (le proprietà di una struttura, invece, dipendono eccome da quali altri assiomi vengono assunti). Ora, se è vero che l’insieme formato dai punti su una retta è del tutto equivalente a quello formato dai punti di un piano a livello di cardinalità (hanno entrambi la cardinalità del continuo), lo stesso non è vero a livello geometrico. Le strutture matematiche aiutano allora a discernere gli insiemi uno dall’altro, anche quelli con la stessa “numerosità”, a livello di struttura che supportano. A volte capita poi che due insiemi con strutture dello stesso tipo (diciamo algebriche) siano “simili” anche rispetto alla struttura: la biezione che li lega “preserva la struttura”, e allora si parla di isomorfismo tra i due insiemi. Addirittura possiamo mettere sopra un singolo insieme diverse strutture indipendenti (ad esempio, una algebrica e una geometrica), e poi studiare come queste interagiscono tra loro, e come si possono mettere in relazione con altri insiemi con strutture simili! È questa, a mio avviso, la vera anima della disciplina che chiamiamo Matematica.

Abbiamo già visto in precedenti articoli esempi di strutture che si possono mettere su insiemi specifici (ad esempio, quella aritmetica sui numeri interi, nell’uscita numero 5). Non intendo qui farne altri. Vorrei invece tornare su un punto che ho sfiorato all’inizio: è davvero possibile “fabbricare” insiemi di ogni tipo? La risposta è no, ed è stato Bertrand Russell a renderlo noto (anche se lo stesso Cantor ne era a conoscenza). Come? Attraverso un paradosso ovviamente! Supponiamo che un raggruppamento qualsiasi conti come esemplare di insieme. Allora anche una “raccolta” di insiemi è un insieme; questo è come dire che un insieme è un elemento ammissibile di un altro insieme, e i due sono sullo stesso piano. Ma allora un insieme potrebbe contenere se stesso come elemento. Che questo accada davvero o no, non è nemmeno necessario saperlo. Basta invece considerare R la raccolta di tutti gli insiemi che non contengono se stessi: R è una raccolta e dunque un insieme, secondo la definizione che ci siamo dati. E qui abbiamo il paradosso: se R non contiene se stesso come elemento, allora per la sua propria definizione R deve essere un elemento di se stesso (assurdo!); mentre se R contiene se stesso allora non può essere un elemento di R (assurdo uguale!). Ovvero: se R non appartiene ad R, allora R appartiene ad R; mentre se R appartiene ad R, allora R non appartiene ad R!

drawing mathematics 3 Kasia Jackowska

La nostra definizione di insieme si basava proprio sul concetto di appartenenza, e abbiamo di fatto rotto questo concetto: questa teoria ingenua degli insiemi ci ha portati a un paradosso. E siccome tutte le definizioni matematiche sono date in ultima analisi in termini di insiemi, non è un caso se le più brillanti menti tra matematici, logici e filosofi sono state ben occupate, tra l’Ottocento e il Novecento, da questa che sembra la più elementare delle astrazioni. Talmente elementare che viene insegnata, attraverso semplici cerchi e disegni, come primo concetto ai bambini della scuola elementare, ma che nasconde tuttavia delle insidie paradossali, le più temute dai matematici. Quella della Raccolta.

di Gabriele Pichierri

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