Il filo rosso della bellezza

Raccolta e tutela del patrimonio culturale internazionale

Ci sono punti di contatto tra la Venere di Botticelli, la Grande muraglia cinese, i sarcofagi egizi, la Nike di Samotracia, le musiche cosacche della regione di Dnipropetrovs’k, la Guernica di Picasso e il balletto reale di Cambogia?

Giuridicamente sì. La risposta risiede nel diritto internazionale del patrimonio culturale, disciplina a oggi acerba e stratificata, pronta a intersecarsi con i contenuti più tradizionali del diritto e con gli orizzonti più ibridi della professione forense.

La Grande Muraglia
La Grande Muraglia

La sua genesi non è definita. L’umanità ha sentito il bisogno di disseminare evidenze di sé sin da Stonehenge e dalla grotta Chauvet. La nascita del diritto dei beni culturali potrebbe persino risalire all’istituzione nel 530 a.C. del primo museo a Babilonia per opera della Principessa Ennigaldi, collezionista di reperti mesopotamici. I primi strumenti di tutela si ravvisano nella consuetudine, poi cristallizzata nelle prime domande sul destino del patrimonio che Teodorico il Grande si è posto categorizzando le sette meraviglie del mondo. Il momento di “positivizzazione” effettiva potrebbe averlo raggiunto Papa Martino V con l’Etsi de cunctarum, che dava mandato ai Maestri delle Strade di tutelare gli edifici classici.

La protezione del patrimonio culturale oggi è un fenomeno interdisciplinare, con ricadute umanitarie e orientato a regolamentare il commercio, a prevenire il traffico illecito e esercitare deterrenza sui crimini di guerra.

In verità la comunità internazionale non ha mai elaborato una definizione univoca e indiscussa di “patrimonio culturale”. L’uso del lemma cultural heritage continua a essere controverso sul panorama transnazionale, perché risente della diversità tra esperienze domestiche e prerogative costituzionali degli ordinamenti giuridici locali. Gli organismi sovranazionali hanno perciò adottato un approccio estremamente versatile a riguardo, in cui il perimetro della nozione di “patrimonio culturale” continua a essere elastico, a espandersi e restringersi in considerazione della ratio e delle specificità delle fonti. Molteplici sono le convenzioni e i trattati adottati in sede multilaterale: nell’ultimo decennio abbiamo assistito a una proliferazione normativa esponenziale nel settore. Numerosi sono stati anche gli sforzi congiunti tra organizzazioni intergovernative e attori istituzionali che hanno contribuito alla nascita di una governance multilivello. L’ONU rappresenta forse l’egida più inclusiva, che è riuscita a carpire le necessità di governare le sfumature più peculiari della materia e a trasformarle in diritto positivo. Esistono strumenti adottati a livello onusiano che coprono molte delle insenature della materia, alcuni volti alla tutela della diversità, altri diretti alla protezione del patrimonio culturale subacqueo, altri orientati alla protezione della proprietà intellettuale, altri alla tutela dei beni in contesto di conflitto armato.

Il mandato conferito a UNESCO è tra le risposte più vigorose che la comunità internazionale ha scelto di assegnare alla protezione del patrimonio culturale. UNESCO è il centro di imputazione degli interessi dell’umanità intera e ha un volto avveduto a rafforzare la cooperazione e a promuovere standard universali di tutela, senza barriere né esimenti. Cinquant’anni fa la Convenzione Unesco del 1970 si ergeva ad antesignana del contrasto al traffico illecito, della regolamentazione commerciale, dei controlli import-export e delle prime pratiche di restituzione e rimpatrio. È stato un testo conteso tra importatori ed esportatori, tra Paesi più conservatori e Paesi con smisurate mire d’acquisto. Questa Convenzione, così sofferta in sede negoziale, ha posto le basi per l’evoluzione del framework odierno, spianando la strada alla Convenzione UNIDROIT del 1995, in cui serpeggia il regime privatistico della compravendita e che si ritrova, ancora oggi, in fase di implementazione in molti Paesi.

Il Leone di Al-lāt nei giardini del Museo archeologico di Palmira (distrutto nel 2015)
Il Leone di Al-lāt nei giardini del Museo archeologico di Palmira (distrutto nel 2015)

L’architettura del sistema si è poi implementata di ulteriori convenzioni, sino all’adozione della Risoluzione 2347 (2017), alla cui elaborazione ho preso parte durante la mia esperienza presso il Consiglio di Sicurezza delle UN. Questa risoluzione è uno strumento sofisticato e senza precedenti, che si afferma risoluto per contrastare il finanziamento al terrorismo e assicurare il mantenimento di pace e sicurezza internazionale, attraverso la prevenzione e la criminalizzazione di condotte di trafugamento, traffico illecito e distruzione su larga scala. La 2347 reagisce alla distruzione di Palmira e invita gli Stati Membri a garantire controlli più efficaci ai confini, al fine di monitorare le transazioni e identificare gli operatori criminali transazionali. È altresì richiesto agli Stati di rafforzare la cooperazione giudiziaria, collaborare con gli operatori privati e condividere best practice, attraverso le agenzie specializzate nel settore (come Interpol e Unodc). Su questo versante, l’esperienza italiana è un esempio estremamente virtuoso: i nostri Nuclei Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri rappresentano un benchmark di successo sullo scenario internazionale, emulati anche da realtà del calibro di FBI.

È innegabile che l’interlocuzione internazionale abbia raggiunto traguardi straordinari, ma è ancora necessario integrarsi e promuovere l’armonizzazione degli ordinamenti nazionali al fine di garantire standard di protezione efficaci, anche laddove vi siano margini di fallimento dettati da impossibilità o incapacità locali e infrastrutturali. Soprattutto, è necessario consolidare una nozione uniforme e condivisa, che possa divenire colonna portante per lo sviluppo di un sistema di tutela di beni eterogenei, sia tangibili che intangibili.

I beni tangibili hanno una consistenza fisica di immediata identificazione che ne agevola la conservazione e che ne garantisce gli interventi manutentivi e di tutela. I beni intangibili sono invece più complessi: è patrimonio intangibile il folklore e tutto ciò che sfugge alla fisicità, sono lasciti d’esperienza che perpetuano la loro esistenza mediante trasmissione intergenerazionale. La cultura africana si compone all’80% di beni intangibili. La cooperazione internazionale ha dimostrato di saper vincere l’egemonia etnocentrica della tradizione occidentale e ha dedicato strumenti anche alle tracce immateriali attraverso la Convenzione per la protezione del patrimonio culturale intangibile.

La componente che più accentua lo spessore del diritto dei beni culturali – in particolare quelli intangibili – è la valorizzazione del patrimonio culturale come diritto fondamentale, tale da ricomprendersi nel novero dei diritti umani. I diritti umani, ex se inderogabili, si potrebbero definire come il diritto di avere diritti. Il diritto dei beni culturali rappresenta così un’arma a doppio taglio: se è vero che la facoltà di scegliere un codice culturale in cui identificarsi (ius culturae) è tra le libertà più incontrastate degli individui, è anche vero che alcune tradizioni culturali sono lesive di altri diritti umani (come il diritto all’incolumità fisica). La mutilazione genitale femminile, il cannibalismo, l’infanticidio sono i tratti distintivi di alcuni sistemi, ma in ogni caso non ammissibili. La comunità internazionale è pertanto invitata, nel pieno rispetto del relativismo, a osteggiare determinate pratiche.

Ma nella complessità strutturale dell’ordinamento odierno, così intricato e ancora vacillante, si scorge un’interrelazione profonda tra l’arte e il diritto. Arte e diritto condividono la stessa attitudine a identificare e raccogliere tutte le esperienze e tradizioni delle nostre civiltà. Arte e diritto sono dunque complementari, perché se la prima è un atto di bellezza e creatività, il secondo ne indica il metodo di rigorosa disciplina. L’arte ha la propulsione ad abbattere le barriere della sovranità e riaffermarsi sui confini della diversità, al fine di rivendicarla e magnificarla. Il diritto internazionale dei beni culturali è forse il fil rouge che potrebbe condurre alla protezione di un valore così imperativo.

di Simona Siciliani

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