I colori del piatto

Soluzioni cromatiche ai problemi della food policy

Nel 1981, i medici Denis Burkitt e Hugh Trowell crearono una nuova concezione di dieta occidentale attraverso la pubblicazione del libro Western Diseases, Their Emergence and Prevention.

Il loro scritto stabilì un legame tra l’alimentazione moderna e l’insorgenza di malattie cronico-degenerative come: le malattie cardiovascolari, il cancro, l’ipertensione e l’obesità; ciò diede un taglio alla concezione di dieta intesa solo come cultura, tradizione e socialità.

A oggi, sull’onda di questo lavoro, milioni di dati scientifici sono stati prodotti a sostegno delle tesi dei due ricercatori, ampliando così il panorama delle problematiche inerenti, approfondendone i molteplici aspetti ed evidenziando le criticità.

Esiste un comportamento manifestamente non equilibrato nei confronti del cibo, che forse per la sua visibilità è considerato il principale nel suo genere, e cioè quello avente a che fare con l’abbondanza quantitativa di ciò che introduciamo nell’organismo, soprattutto per quanto riguarda specifici gruppi di alimenti quali: zuccheri semplici, lipidi LDL e cibi raffinati (questo tema è stato trattato nel n. 14 della Tigre di Carta).

Ma anche l’atteggiamento opposto è da considerarsi un fattore che mina la salute umana: infatti la diminuzione della qualità e della ricercatezza degli alimenti crea un impoverimento della varietà di ciò che portiamo tutti i giorni nel nostro piatto. La diretta conseguenza della diminuzione è l’insorgenza di malnutrizione per quanto riguarda soprattutto micronutrienti come sali minerali e vitamine, utili per la produzione di enzimi e ormoni.

Stiamo perciò parlando di lati opposti dello stesso argomento. Si tratta di problemi risolvibili con molteplici approcci a livello sia medico, sia politico, economico e infine sociale, poiché l’alimentazione è una materia trasversale che tocca numerose discipline.

Melagrana ph. Anna Laviosa 2017

Melagrana | © Anna Laviosa 2017

Ma come si può stimolare un cambiamento per risollevare la situazione? Per rispondere a questa domanda si è fatto ricorso al supporto di una politica legata al cibo, istituita negli Stati Uniti già nel 1880 e tornata in vigore solo nel 1947 con il nome di Food Policy. Essenzialmente è uno strumento di supporto adottato dai governi, dagli enti locali e dalle organizzazioni per indirizzare la produzione, la trasformazione, la distribuzione, l’acquisto del cibo, il suo recupero e la gestione dei rifiuti organici.

Ormai in molte città americane (ma anche europee, e tra queste annoveriamo Milano dopo Expo 2015) hanno adottato una politica legata al cibo con lo scopo ultimo di creare un filo conduttore tra tutti i componenti del sistema alimentare. Si tratta quindi di una materia multidisciplinare che coinvolge differenti figure professionali, dai politici, agli economisti, agli ingegneri urbanisti, agli specialisti dell’alimentazione fino ad arrivare all’agricoltore e all’allevatore. Il fine ultimo è quello di prendere decisioni che riguardano: la povertà alimentare, la promozione di diete sostenibili, di sistemi logistici a basso impatto ambientale, la lotta allo spreco attraverso azioni di recupero e riciclo.

La Food Policy milanese per esempio indica come causa dell’abbattimento della varietà alimentare la mancanza dell’educazione nutrizionale nelle scuole, la diminuzione della conoscenza di cos’è realmente una filiera di produzione alimentare, cioè la perdita di coscienza di come il cibo (dato praticamente per scontato) arriva nei nostri piatti. Questi meccanismi sono la causa dell’omologazione delle materie prime che il mercato offre perché tale offerta è basata sulla domanda; ciò comporta una riduzione della varietà e dei colori del nostro piatto.

Riavvicinare l’uomo alla cultura agricola, ai campi, portando orti didattici in città e quindi stimolando la competenza e l’educazione, può essere un primo passo verso la soluzione di uno dei molteplici problemi che affliggono il complesso mondo dell’alimentazione, costantemente invaso dal lancio di alimenti sempre più succulenti e meno ricchi nutrienti nobili.

Fornendo gli strumenti per raggiungere una maggiore consapevolezza e cultura, si possono di conseguenza introdurre soluzioni rivolte all’individuo per quanto concerne l’aspetto pratico volto alla salute umana. Per esempio si possono formulare regole alimentari come quelle esplicate nel Global Phytonutrient Report del 2014: nel documento viene presentato uno schema molto semplice per aumentare la varietà nel piatto, basato sui colori degli alimenti. Questo serve per introdurre nella dieta il più alto e vario numero di fitonutrienti, componenti organici presenti in quantità e qualità differente in frutta, verdura, cereali, legumi e tè, con effetti positivi sulla salute umana.

Non è quindi importante solo consumare le classiche cinque porzioni al giorno di uno di questi alimenti; il messaggio del report è quello di iniziare a dedicare attenzione ai colori degli alimenti che consumiamo, perché a ogni colore corrisponde un gruppo specifico di fitonutrienti con un potenziale effetto benefico. Il verde per la salute degli occhi e delle cellule; il rosso per la salute dei polmoni, dello stomaco e della prostata; il bianco principalmente per il mantenimento della pressione sanguigna; il viola/blu per regolarità cardiaca, per l’attività cerebrale e per la  prevenzione dei danni alla pelle; infine il giallo/arancio per rafforzare il sistema immunitario, la salute delle ossa e lo sviluppo. I risultati del Global Phytonutrient Report mostrano che una grande percentuale di adulti in tutto il mondo (60-87%) consuma ogni giorno meno del minimo consigliato di frutta e verdura, anche per il fatto che vi sono notevoli  differenze nella biodisponibilità nelle varie regioni geografiche, sia per predisposizione ambientale sia per via dell’agricoltura globale, che offre sempre meno varietà.

Comunque, nonostante i continui messaggi negativi e catastrofici che tutti i giorni vengono pubblicati dai media a proposito della nutrizione, non dobbiamo dimenticare quanto è stato dimostrato nel 2015 da un paper pubblicato sul The Quarterly Review of Biology, nel quale si dichiara che il consumo di dosi maggiori di glucosio, il carburante del cervello, ha inciso sull’evoluzione di esso in termini quantitativi e, di conseguenza, anche qualitativi. Si ritiene che la nascita a partire dal dopoguerra di scoperte ogni giorno più innovative sia dovuta in parte anche al fatto che i popoli dei paesi in via di sviluppo hanno avuto accesso a cibo di migliore qualità, e senza le limitazioni quantitative delle epoche precedenti.

Quindi, per cercare di restare lucidi e oggettivi, la via di mezzo tra abbondanza e diminuzione è l’ottimale: nutrirsi ma non troppo, colorare il piatto senza crearne una malattia psicologica. Non è un caso che nell’ultimo decennio nel mondo medico scientifico si parli sempre più di ortoressia. Il termine è derivato dalle parole greche orthos (“giusto”, “corretto”) e orexia (“appetito”). Il primo a classificarla come patologia nutrizionale paragonabile ad altri disturbi come l’anoressia o la bulimia fu Steven Bratman nel 1997; egli la definì come un’ossessione che porta al consumo e alla ricerca di alimenti sani sia a livello bromatologico sia al livello che concerne la filiera di produzione.

Per modificare nel quotidiano le proprie scelte su cosa si porta in tavola è necessario prendere coscienza di ciò che pensiamo di conoscere e affrontare le mancanze con senso critico e spirito di cambiamento. Basta fermarsi quindi a riflettere sulle azioni che compiamo ogni giorno per nutrirci: durante la spesa, in cucina e nella selezione di un ristorante. Solo con la consapevolezza delle nostre azioni riaccendiamo il meccanismo della scelta. Tutto ciò ovviamente con il supporto di una buona educazione, resa possibile anche dalle nuove norme su scala macroscopica, le quali ci possono fornire tutto il materiale necessario per stimolare il cambiamento. Nutriamoci con conoscenza e cognizione d’insieme.

Bibliografia

  • Burkitt, D.P., Trowell H.C., Western Diseases, Their Emergence and Prevention, Harvard University Press, Cambridge 1981.
  • Brytek-Matera, A., Fonte, M.L., Poggiogalle, E., Donini, L.M., Cena, H., “Orthorexia Nervosa: Relationship with Obsessive-Compulsive Symptoms, Disordered Eating Patterns and Body Uneasiness among Italian University Students”, in Eating and Weight Disorders, 2017.
  • Hardy, K., Brand-Miller, J., Brown, K.D., Thomas, M.G. et al., “The Importance of Dietary Carbohydrate in Human Evolution”, in The Quarterly Review of Biology, vol. 90, n. 3, 2015.
  • Nutrilite Health Institute, Global Phytonutrient Report, 2014.
  • Comune di Milano, Linee di indirizzo della Food Policy di Milano 2015-2020, 2015.

di Francesca Granata

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