Dall’involuzione della dimensione alla potenza della nanotecnologia
Nel 1960, il geologo belga Jean de Heinzelin de Braucourt esplorava in lungo e in largo quello che al tempo era chiamato Congo Belga. Nell’area dell’Ishango rinvenne un reperto archeologico slegato dal proprio campo di studi, destinato a donare al fortunato geologo fama internazionale: l’osso di Ishango. Esposto permanentemente al Museo delle Scienze Naturali di Bruxelles, l’artefatto è composto da un perone di un babbuino e da una scaglia di quarzo utilizzata per incidere sull’osso. L’ipotesi più accreditata dagli studiosi è che l’osso di Ishango – datato al Paleolitico – sia il primo antenato dei moderni calcolatori.
Dal Paleolitico, la forma e le dimensioni dei calcolatori si sono evolute con un movimento ondulatorio che non definisce quale esattamente sia la migliore conformazione dell’oggetto: diverse configurazioni dei calcolatori si sono susseguite nel corso del tempo, passando dal semplice abaco alla macchina di Anticitera, dai bastoncini di Nepero alle macchine di Pascal e Leibniz. In nessuno di questi casi, però, c’è stato un movimento verso una resa dimensionale unitaria.
Con l’avvento del personal computer e della telefonia mobile, nel corso del XX e del XXI secolo, invece, la corsa agli oggetti smart ha reso la dimensione un parametro fondamentale della tecnologia di massa. Infatti, se i calcolatori più potenti al mondo – i cinesi Tianhe 2 e Sunway Taihulight o gli statunitensi Cray Jaguar e Titan – rimangono dagli anni Trenta a oggi di dimensioni mastodontiche, occupando stanze intere dei laboratori, le aziende di prodotti tecnologici per il consumo di massa (Apple, Microsoft, Samsung, Google fra tutte) stanno lottando per ridurre sempre di più le dimensioni dei loro apparecchi, pur mantenendo ad alto livello le capacità degli stessi.
La corsa alla riduzione è sempre stata insita nella costruzione delle apparecchiature tecnologiche: sin dal primo telefono cellulare disponibile al commercio – il DynaTAC 8000x, che misurava 25 cm in lunghezza e pesava oltre un chilogrammo – la sfida delle aziende del settore concerne la riduzione delle dimensioni proporzionalmente all’aumento delle capacità e delle specifiche del mezzo, per raggiungere il massimo della comodità e un’estetica più appagante per il cliente. Non è un caso che nel XXI secolo, e più specificamente ai giorni nostri, la telefonia mobile abbia raggiunto dimensioni, oramai standardizzate, ben lontane da quelle del DynaTac8000x di Martin Cooper: un iPhone raggiunge al massimo la lunghezza di 16 cm nella versione Plus, mentre in quella standard non supera i 14 cm, il tutto per un peso complessivo di 192 g nel primo caso e 143 nel secondo. Un Samsung è distante dalle dimensioni di un telefono Apple di pochissimi millimetri.
Al di là del riguardo estetico per un apparecchio più grazioso ed elegante, anche la maneggevolezza e la facilità di trasporto hanno reso la diminuzione delle dimensioni un traguardo obbligatorio per le grandi aziende.
L’avvento dei personal computer, così come l’aumento del lavoro telematico, ha determinato una svolta anche nelle dimensioni dei calcolatori: dapprima gli stessi computer “fissi” hanno subito una significativa innovazione, grazie all’aggiunta di tastiere wireless o di case incorporati all’interno della macchina stessa – e non più distaccati; in seguito, i calcolatori sono diventati portatili, utilizzabili ovunque grazie a una batteria mediamente di lunga durata. È facile osservare computer in uso durante i viaggi sui mezzi pubblici, nei bar, in biblioteca. È naturale che questa svolta nell’utilizzo della macchina abbia portato alla diminuzione sia della grandezza, sia del peso della stessa, ponendo le basi per la successiva evoluzione del personal computer: il tablet. Strumento maneggevole, leggero, agile da portare in una qualsiasi borsa, il tablet sostituisce gradualmente il laptop nelle sue funzioni, rendendo ancora più agevole svolgere una qualsiasi delle attività consentite dal suo predecessore, incorporando oltretutto le funzioni della telefonia mobile.
Il nodo cruciale di questo vortice tecnologico che drena verso le profondità la grandezza in virtù di una corsa alla riduzione quasi estenuante è il mantenimento della costante qualitativa elevata. È proprio questa la ragione che ha portato grandi aziende del settore a permettersi di investire in progetti, talvolta anche fallimentari, di ulteriore riduzione delle dimensioni della macchina: gli esempi lampanti sono i Google Glasses, progetto oramai abbandonato dalla multinazionale di Mountain View per lo scarso riscontro sul mercato, e gli smartwatch, lontani dal riscuotere il successo desiderato.
L’evoluzione delle nanotecnologie ha quindi dato modo alle grandi potenzialità che le macchine hanno dimostrato di possedere nel tempo di esprimersi in spazi molti ristretti: una capacità di calcolo che negli anni Trenta era associabile solamente allo Zuse Z1 nazionalsocialista – che occupava praticamente un’intera stanza – ora è disponibile in uno smartphone di 15 cm, talvolta anche in modo sorprendentemente superiore.
Verrebbe da chiedersi, a fronte di queste considerazioni e cenni storici, se il Grande sia davvero dominato: la riduzione delle dimensioni ha permesso al mercato una maggiore diffusione e circolazione delle macchine, rendendole popolari in quanto utilizzabili dalla maggior fetta di clienti – e sotto certi aspetti assolutamente necessarie. La disponibilità del mezzo, però, non coincide in questo caso con la sua padronanza, almeno nell’utilizzabilità popolare che ne è caratteristica: ogni strumento tecnologico ha una dominazione in Potenza del grande grazie alle sue immense peculiarità e capacità, ma che lascia sullo sfondo, nella maggior parte degli usi, una significativa zona d’ombra, difficilmente illuminabile. Il motivo di questo impedimento è l’eccessiva specificità che attornia ogni macchina tecnologica e la rende di fatto oscura all’utilizzatore. Al di là delle macchine dal puro funzionamento meccanico – come gli elettrodomestici e i televisori, per esempio – che circoscrivono la propria potenzialità all’interno di un ambiente definito per uno scopo prefissato, le macchine che hanno una base nanotecnologica, come i calcolatori, gli apparecchi di telefonia mobile e tutto ciò che si espande al di là della semplice materia della macchina, hanno soprattutto una potenzialità intrinseca inestricabile nel loro uso comune, proprio perché la loro natura è di non essere limitati alla materia ma di poter spaziare oltre il loro stesso raggio. Ed è questa la ragione che sottostà all’impossibilità di dominazione media del Grande, dove Grande altri non è che il termine che racchiude le possibilità recondite e volutamente non celate di una macchina.
Viene alla mente il film delle sorelle Wachowski, Matrix (1999), in cui l’uso indifferenziato e quasi apatico delle macchine non scosta nessun Velo di Maya, lasciando nel limbo del sogno e del controllo tutti gli utilizzatori, come cervelli in una vasca. Differentemente Neo, l’eletto, così come pochi altri, riesce grazie alle sue conoscenze specifiche (tutti i risvegliati di Matrix non sono altro che hacker che hanno conosciuto il sottotesto di programmazione delle macchine) a uscire dal sonno e porre fine all’incubo.
La Forza domatrice del grande, soprattutto nell’era della riduzione dimensionale, è assolutamente elitaria: non che prima, de facto, non lo fosse. Ma, a oggi, nell’era della pop-digitalizzazione, è indubbio che si sia creato uno scarto evidente fra molti utilizzatori disinteressati – che arditamente si potrebbe definire alienati – e pochi coscienziosi e interessati, che davvero hanno tra le loro mani lo sviluppo potenziale delle macchine.