Fine dei giochi. Il game infinito e il play irripetibile

Giochi Detroit Become Human screenshot dal gioco per playstation
Detroit: Become Human™. Screenshot catturato dalla versione demo per PlayStation 4

Stai giocando l’ultimo livello. Lo sai, lo percepisci. Risolvi gli ultimi enigmi, schivi le ultime trappole, ti apri l’ultimo varco e arrivi di fronte al boss finale. Sconfiggi pure quello. Il filmato conclusivo ti mostra la tua vittoria, la fine della storia (forse qualche indizio di un seguito) e i titoli di coda iniziano a scorrere su una musica epica: hai finito il gioco.

Arrivare alla fine di un gioco è sempre una grande soddisfazione che a volte lascia delusioni sul piano narrativo, ma non sul piano ludico. Per finire un gioco bisogna giocarlo, dedicarci tempo, impararlo e se un gioco non ci piace nella sua meccanica raramente arriveremo alla sua fine. Questo però spesso crea un altro problema: il play di quel gioco ci è piaciuto così tanto che ancora non ci basta. Vorremmo non fosse già finito, vorremmo poter giocare ancora qualche ora, affrontare ancora quell’avversario, fare quel livello che abbiamo completato per pura fortuna, ma adesso… il gioco è finito.

Questo capita anche con romanzi e serie tv: finiamo l’ultima pagina, guardiamo l’ultimo episodio e anche se è perfetto così vorremmo avere un altro episodio, un’altra pagina. Eppure non ci troviamo spesso a rileggere un libro per intero o a riguardare una serie, mentre giochiamo a briscola con gli amici anche un numero di volte incalcolabile al giorno, ovviamente se fa caldo e possiamo rilassarci. Questo succede perché il gioco ha una differenza sostanziale.

Replay

Rigiocare un gioco non è una azione di pura nostalgia. Prendiamo per ora i videogiochi: mentre giochiamo un videogioco spesso ci troviamo ad affrontare più volte la stessa sezione di gioco, lo stesso scontro, lo stesso livello solo per poter riuscire a superarlo o per potenziarsi per lo scontro successivo. Alcuni giochi permettono addirittura di giocare lo stesso gioco mantenendo parte di ciò che si è guadagnato durante la partita precedente. Questo viene chiamato New Game Plus e, per quanto a volte possa sbilanciare in favore del giocatore la prossima partita, permette di evitare ore di gioco già affrontate per guadagnare gli stessi vantaggi. Inoltre i giochi di maggior successo possono contare su delle espansioni (in gergo DLC) che aggiungono capitoli alla storia, livelli da affrontare e anche nuove meccaniche di gioco.
Ma per quanto tutto questo sia un efficace modo per far continuare a giocare a un gioco, non è necessario. Possiamo rigiocare decine di volte la stessa storia anche solo per la sua componente narrativa e questo non solo perché ci piace, per il piacere di riviverla come in una rilettura, ma perché non ne abbiamo esaurite le possibilità.

Logo della serie tv Black Mirror - Bandersnatch gioco spettatore
La serie tv britannica Black Mirror (2011)

Sentieri narrativi

In molti videogiochi la narrazione è al centro della scena. Alcuni di questi sono “semplici” storie ben congegnate, ma altre rendono interattiva pure la narrazione. In questi casi il giocatore si trova a dover compiere delle scelte e queste faranno cambiare lo svolgersi della narrazione. Basti pensare alla maggior parte dei titoli di Quantic Dream (come Detroit: Become Human e Heavy Rain per citarne due) o alla “puntata” della serie Black Mirror Bandersnatch. Ogni scelta (o quai) porta a una situazione diversa. Una narrazione di questo tipo funziona (circa) nel modo in cui funziona una pagina di Wikipedia: ogni volta che prendiamo una decisione è come se cliccassimo su di un link, ma dalla pagina in cui arriviamo non possiamo andare indietro. Questa viene definita narrazione ipertestuale.

La struttura narrativa che deriva da questo è in genere definita “ad albero” ma in realtà è più simile al delta di un fiume: un unico punto di partenza che gradualmente si divide (e a volte si riunisce) fino ad arrivare a diverse conclusioni.
Anche solo per arrivare a tutte le conclusioni non basta percorrere il racconto una volta, se immaginiamo poi di prendere tutti i tracciati il numero di volte che possiamo percorrere questa narrazione senza esaurirla aumenta esponenzialmente. Ovviamente aumenta anche il lavoro richiesto per produrre tutto questo, e non sarà mai sufficiente a soddisfare le possibilità che desidera il giocatore. Eppure anche tutto questo non è necessario. Possiamo desiderare di rigiocare a un gioco anche solo perché la meccanica di gioco ci piace e perché, per quanto ci impegniamo, il gioco non finisce.

Giochi senza fine

Il miglior esempio di giochi senza fine sta sui nostri cellulari. Si tratta di giochi che giochiamo per passatempo, perché ci coinvolgono, e che in genere non hanno una fine se non temporanea: ci sarà sempre una prossima sfida. Molto spesso giochi di questo tipo possono anche condurre a forme di ludopatia proprio per la loro natura di essere senza fine, proprio perché non danno un limite a quello che con loro possiamo fare. Questo però è un problema molto complesso e non ho caratteri né conoscenze per trattare qui.
Non tutti i giochi senza fine sono però di questo tipo. I giochi di simulazione (su tutti the Sims) e i loro fratelli maggiori, i giochi gestionali (su tutti SimCity), si presentano al pubblico nella forma di un videogiocattolo, uno strumento da usare a piacimento, senza dover per forza rispettare degli obbiettivi.
Giochi di questo tipo possono interessarci nel loro svolgimento, coinvolgerci con le loro catene di conseguenze automatiche, catturarci per le storie che si sviluppano anche senza la nostra interazione. Un esempio di questa categoria è World Box che mette il giocatore nella posizione di dio di un mondo in pixel art. Sarà possibile creare civiltà, osservarle crescerle, vedere come interagiscono le une con le altre, modificare il terreno e scagliare sul mondo ogni sorta di piaga: dalle pandemie a piogge di bombe nucleari fino a giganteschi granchi che sparano laser. Tutto senza mai finire il gioco.
Ma, ancora una volta, anche questo non è necessario a giustificare una nuova partita. Alcuni giochi sono strutturati in modo che tu debba rigiocare ancora e ancora senza mai arrivare a un vero compimento. Una categoria che fa uso di questo è di certo quella dei giochi di sopravvivenza.

Immagine del gioco World Box

Prova di nuovo

Nei giochi di sopravvivenza si muore. Si muore la prima volta che si gioca perché non si sa cosa serve, si muore la seconda volta che si gioca perché non si conoscono tutti i pericoli, si muore la millesima volta che si gioca perché se lo scopo è solo sopravvivere basta un piccolo errore per morire. Il senso stesso del gioco è morire e riprovare fino ad arrivare a un punto in cui ci si reputa soddisfatti.
Un esempio perfetto di questo è Project Zomboid (di cui sto studiando attentamente il play in questo periodo) che mette il giocatore nei panni di un sopravvissuto a una apocalisse zombi nel Kentucky degli anni Ottanta. A inizio di ogni partita il gioco ci si presenta con una scritta: “Questa è la storia di come sei morto”. Nel play il gioco non si smentisce e ci presenta ogni sorta di problema: sete, fame, malnutrizione, intossicazione da cibo, deprivazione del sonno, fatica, freddo, caldo, febbre, ferite, infezioni e, ovviamente, orde di zombi. Ogni volta che ricominciamo una partita possiamo scoprire cose nuove, imparare a sopravvivere più a lungo, diventare più abili… ma alla fine moriremo lo stesso. E poi inizieremo di nuovo.

Imparare a giocare

Qui inizia forse a vedersi qualcosa di necessario alla possibilità di rigiocare un gioco, ma non abbiamo ancora trovato il fondo della questione e per farlo dobbiamo allontanarci dagli schermi e sederci al tavolo. Imparare a giocare. Quando giochiamo per la prima volta a un gioco da tavola di solito siamo molto scarsi. Può andarci di fortuna (quella classica del principiante), ma non ci basterà una partita per diventare anche solo bravi: siamo costretti a rigiocare.
Tutti i giochi da tavolo (ad esclusione di qualche gioco narrativo moderno) funzionano su questa logica. Non si fa una sola partita di scacchi o di Monopoli, e salvo casi eccezionali nella vita si giocherà a Risiko più volte di quante non si rilegga Il Signore degli Anelli.
L’esempio più lampante di questo si ha nei giochi di agone, ovvero i giochi sportivi. In questa categoria comprendo sia gli sport tradizionali che gli e-sport, in quanto sono accomunati dalla capacità che il giocatore ha acquisito con la pratica e che usa per superare l’avversario.
E anche se non si parla di una vera e propria crescita di capacità nel gioco possono esserci altri fattori. Un esempio di questo sono i giochi di ruolo che ci permettono di vivere storie nuove e creative ogni volta senza doverci preoccupare né di quanto siamo bravi al gioco né di quanto stiamo migliorando, perché non sono competitivi ma collettivi.

Fine dei giochi

Quindi qual è la peculiarità del gioco che lo rende immune al suo compimento, che ci permette di giocarlo e di rigiocarlo? Quella di essere un gioco. Come sempre ripeto, il gioco è diviso in due componenti: il game, la parte di regole e ambientazione che ci dice come dobbiamo giocare, e il play ovvero lo svolgersi del gioco. Il game è un oggetto statico, ma il play è performativo e quindi per sua natura irripetibile. E anche quando lo esauriamo nella sua giocabilità o ci annoiamo di questa c’è sempre un altro gioco da giocare, un altro compimento da raggiungere.

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