Il punto su Marte

marte e phobos

Ultimamente di Marte si fa un gran parlare, se non altro perché ormai è stato l’oggetto diretto o indiretto di una cinquantina di missioni spaziali e tutti sanno che diverse altre sono in programma. Molto lentamente, stiamo prendendo confidenza con questo interessante vicino di casa. Alcune delle sonde nella sua orbita sono attive da parecchio, in particolare Mars Odyssey che ci sta mandando dati molto preziosi da ormai vent’anni e pare che possa andare avanti fino al 2025. Stati Uniti, Russia, Unione Europea, Cina, India ed Emirati Arabi hanno riportato notevoli successi in tal senso e anche il Giappone sta mettendo a punto un proprio programma esplorativo.

Se per gli appassionati della scienza in generale e dell’astronomia in particolare l’importanza di studiare il pianeta più vicino alla Terra appare lapalissiana, vi sono molte persone che reputano l’intero comparto dell’esplorazione spaziale una voce di bilancio troppo onerosa per i conti pubblici, soprattutto perché essa non porterebbe molti risultati concreti. Spezzerò una lancia in favore di questa tesi così opposta alla mia sensibilità al tema, la quale è fondamentalmente in linea con il severo asserto dell’Ulisse dantesco, ammettendo due punti: i costi di queste imprese sono effettivamente notevoli e il rischio di fallimento rappresenta una costante ineludibile. La seconda metà dello scorso decennio, per esempio, un paio di missioni non erano andate nel migliore dei modi. Quella europea e russa ExoMars è stata purtroppo un mezzo fallimento: il Trace Gas Orbiter ha raggiunto l’orbita marziana nell’ottobre del 2016 e sta effettuando importanti rilevazioni atmosferiche, ma il lander italiano Schiaparelli si è purtroppo schiantato a causa di un guasto al giroscopio. Il 26 novembre 2018, la missione statunitense InSight ha avuto anch’essa un esito non ottimale. Il lander atterrato presso la regione vulcanica equatoriale dell’Elysium Planitia vi ha piazzato con successo un sismometro, ma lo strumento HP3, fiore all’occhiello dell’attrezzatura realizzata dall’agenzia spaziale tedesca per la NASA che doveva collocare una sonda termica a cinque metri di profondità nel suolo grazie a un martelletto perforatore, si è scontrato con una composizione del terreno troppo molle che lo ha reso incapace di ottenere una frizione sufficiente[1]. I vani tentativi di mettere la sonda in posizione sono cessati lo scorso gennaio.

monte olimpo di marte

Mi tocca però evidenziare il fatto, forse mai abbastanza evidente a tutti, che, se questi costi fossero annoverabili tra i consumi di denaro pubblico più significativi, il mondo sarebbe suppergiù un paradiso. Oltre a ciò, penso di avere alcune considerazioni oggettive da portare a supporto dell’importanza che attribuisco a questo sforzo economico e tecnologico per il progresso, valide anche per spiegare la presenza di questo argomento in una rubrica che mira a parlare di tecnologie capaci di cambiare in qualche apprezzabile misura le vite delle immediatamente future generazioni, se non direttamente le nostre.

La prima considerazione da fare è che la scienza, seppure ramificata in settori altamente specializzati, non opera per compartimenti stagni. La corsa allo spazio degli anni Sessanta ha consentito lo sviluppo di strumenti e teorie che hanno cambiato il volto della motorizzazione e dell’aerodinamica. I settori della chimica inorganica, della telecomunicazione, dell’informatica, dell’energia, dell’aviazione e praticamente qualsiasi studio abbia a che fare con la fisica hanno beneficiato moltissimo delle ricerche e delle sperimentazioni svoltesi in quel periodo, con varie ricadute su altre discipline a esse collegate. C’è, insomma, un olismo del sapere che rende ogni importante scoperta di settore il motore di un progresso generalizzato. In secondo luogo, anche se siamo veramente lontanissimi dal poter realizzare una colonia marziana, dovremmo seriamente impegnarci a immaginare diversamente il contesto in cui possiamo inquadrare il fenomeno umano.

Sistema solare terra voyager
Quel piccolo puntino luminoso che si vede più o meno nel centro della foto è la Terra fotografata dalla sonda Voyager 1 ai confini del Sistema Solare

Non solo la Terra, ma l’intero Sistema Solare è un misero granello di polvere nel cosmo e rifiutarci di provare interesse almeno per quello è un livello di miopia che l’umanità non può permettersi di conservare. Colonizzare un altro mondo sarà sempre tremendamente difficile e per ora è impossibile, ma non continuerà a esserlo per sempre. Abbiamo un oceano infinito davanti e non voler immaginare di navigarci significa rinunciare a delle opportunità virtualmente illimitate. Prima ci sforziamo di sfiorare con l’alluce il minuscolo bagnasciuga di questa nostra isoletta, meglio sarà per chi domani dovrà imparare a sguazzarci dentro. Forse non riusciremo mai a uscire dal nostro Sistema Solare, perché purtroppo le distanze interstellari sono davvero proibitive, ma abbiamo la fortuna di vivere presso una stella dotata di un sistema planetario estremamente ricco, variegato e complesso. Approfittarne è doveroso, soprattutto perché le missioni che hanno avuto e stanno avendo pieno successo sono sempre di più e ci stanno riempiendo di sorprese.

Con buona pace delle potenze euroasiatiche, è ancora la NASA a riportare i risultati migliori. Dopo il trionfo della missione Mars Science Laboratory che nel 2012 ha portato Curiosity, un rover grande come un’automobile, sul pianeta rosso, dallo scorso 18 febbraio possiamo contare anche sul flusso di dati proveniente da un altro grande rover, Perseverance. Questo sta esplorando lo Jezero, un cratere situato nell’area occidentale di Isidis Planitia, la stessa dove il lander britannico Beagle 2 atterrò nel 2003, rimanendo purtroppo inattivo perché non riuscì ad aprire e dispiegare completamente le proprie sezioni a petalo sulla superficie; i motivi del fallimento europeo non sono certi, ma mi sento di appoggiare l’opinione del regista Michael Bay in merito al coinvolgimento di soldataglia Decepticon[2] nell’incidente.

Missione su Marte Mars2020

La missione Mars 2020 ambisce a stabilire diversi record. Perseverance sta raccogliendo campioni di suolo che verranno stipati nel vettore Mars Ascent Vehicle contenuto nel lander di una futura missione inquadrata nella campagna Mars Sample Return, di cui la stessa Mars 2020 non rappresenta che l’apripista. Il vettore porterà i campioni in orbita, dove un orbiter realizzato in parte dall’italo-francese Thales Alenia Space lo riporterà sulla Terra, nello Utah, servendosi di propulsori ionici a energia solare[3]. Mandare su Marte un oggetto capace di accogliere al proprio interno un oggetto e riportarlo sul nostro mondo per ulteriori analisi rappresenta un passo epocale. Un altro record fondamentale è stato invece quello di portare insieme al grosso rover anche il primo piccolo velivolo motorizzato[4] capace di volare in modo controllato nel cielo extraterrestre: il drone elicottero Ingenuity. L’importanza di questo passo è così sentita che a bordo del drone è stato collocato un frammento[5] di tessuto alare del mitico Wright Flyer che, il 17 dicembre del 1903, si staccò dal suolo della Carolina del Nord e dimostrò definitivamente la possibilità per l’uomo di creare velivoli motorizzati.

Sulla missione Mars 2020, qualche tempo fa, era circolata una voce alquanto bizzarra, secondo la quale la NASA avrebbe praticamente equipaggiato Perseverance con il processore di un vecchio telefono. Il tono di alcuni articoli malfatti lasciava intendere al lettore che l’istituzione semplicemente non avesse provveduto ad aggiornare le proprie attrezzature per mancanza di fondi o addirittura per distrazione, come se mandare automi su altri mondi fosse cosa fattibile per persone approssimative al pari dello scrivere pessimi articoli. Come ho già scritto nel mio pessimo articolo sui computer quantistici, più sono piccoli i transistor impiegati in un processore, meno è potente la carica di cui necessitano per cambiare stato e ciò facilita i single-event upset. Sulla Terra il campo elettromagnetico planetario comporta la presenza di uno scudo filtrante contro i raggi cosmici, pertanto, al di qua di esso, noi possiamo permetterci di implementare sui nostri strumenti processori non particolarmente protetti e densamente affollati di minuscoli transistor, perché i single-event upset restano comunque così pochi che i computer riescono a compensare automaticamente gli errori da essi prodotti. Su Marte i processori devono essere ingegnerizzati per operare in un ambiente molto più esposto, il che significa proteggerli sia isolandoli meglio, sia evitando di miniaturizzarne eccessivamente i componenti. Ovviamente queste misure di sicurezza limitano la potenza di calcolo disponibile, ma evitano errori fatali al sistema. Quindi la CPU di Perseverance non è affatto quella di un vecchio cellulare, ma un oggetto altamente sofisticato, progettato appositamente per operare in condizioni ambientali tali da far crashare qualsiasi smartphone o tablet nuovo di zecca. Quando l’uomo andrà su Marte, dovrà portare con sé solo strumenti informatici adatti a quel contesto.

Sonda Marte ingenuity

Gli altri Stati non sono comunque rimasti a guardare e i loro successi ci porteranno molta ulteriore conoscenza su Marte e sull’universo stesso. Lo scorso 9 febbraio, la sonda al-Amal (in italiano “speranza”) degli Emirati Arabi si è inserita correttamente nell’orbita marziana e sta raccogliendo dati utili a comprendere come l’atmosfera del pianeta sia mutata nel corso delle sue ere geologiche. La Repubblica Popolare cinese ha invece avviato l’ambizioso programma Tianwen: una serie di missioni esplorative programmate fino al 2030. Lo scorso 15 maggio, la sonda Tiānwèn-1 ha fatto atterrare il rover Zhùróng sulla distesa di Utopia Planitia, lo stesso territorio in cui si trova l’ormai inattiva sonda statunitense Viking 2. Quest’ultima operò dal 1976 al 1980, analizzando il suolo nella speranza di riscontrarvi, tra l’altro, segni di vita. Possedeva quattro diversi strumenti in grado di individuare altrettanti indizi della presenza o dell’assenza di organismi viventi nel terreno. Gli esiti dei test furono intriganti, perché due strumenti dettero esito positivo e gli altri due negativo. I risultati erano quindi dubbi, ma nel 2009 la sonda Mars Reconnaissance Orbiter ha rilevato la presenza di acqua ad appena 25 centimetri sotto il suolo di questa regione. Tiānwèn, insieme al programma di esplorazione robotica del suolo lunare Cháng’é e la nascita della stazione spaziale Tiāngōng 3, incarna la volontà di una superpotenza più rinnovata che nuova di affermare la sua ancestrale autorevolezza anche oltre l’atmosfera terrestre.

Terraformare Marte?

Sforziamoci dunque di rispondere all’annosa domanda: abbiamo a che fare con un pianeta colonizzabile? Sì, ma non con uno terraformabile. La sua atmosfera è stata impoverita dal vento solare, ovverosia da quel costante flusso di particelle cariche che ogni stella emette fintanto che è attiva e che ha iniziato a spazzare via i gas che avvolgevano Marte all’inizio dell’Amazzoniano, la sua quarta e ultima era geologica. Quest’era dura dalla bellezza di tre miliardi di anni, perché da allora il pianeta è, in generale, geologicamente inattivo. Il suo nucleo viscoso genera un infimo campo magnetico e nessuna bussola può funzionare sulla superficie. L’assenza di una magnetosfera apprezzabile e le modeste dimensioni del pianeta, che è grande circa la metà della Terra e ha una massa pari ad appena l’11% di quella terrestre, rendono il pianeta meno capace di trattenere i propri gas atmosferici, troppo estesi intorno al proprio orizzonte, e più esposto ai raggi cosmici che possono spingerli via, senza contare lo scomodo fatto che ben poco possa ostacolare la caduta di eventuali meteoriti. Declinando magnetosfera e atmosfera, anche l’idrosfera si è gradatamente ridotta e con essa ogni possibilità di biosfera. In un passato drammaticamente lontano, Marte è stato ricchissimo di acqua liquida e geologicamente molto attivo: annovera tra i suoi spettacolari rilievi il vulcano a scudo Olimpo che, con la sua base di 600 kilometri e la sua altezza di 25, è la montagna più grande del Sistema Solare. Questo e altri edifici vulcanici sono però spenti da almeno due milioni anni e la loro magnificenza è dovuta proprio al fatto che, in assenza di placche tettoniche semoventi, Marte aveva solo vulcani derivanti da hot spot[6], come quelli islandesi e hawaiani, che però hanno continuato per millenni a rilasciare magma nello stesso identico punto. I vulcani più alti sono dunque nati pochissimi milioni di anni fa, anche solo duecento, a causa di una significativa attività geologica residuale. Anche l’acqua liquida ha continuato a scorrere durante buona parte dell’Amazzoniano, sebbene il pianeta sia stato decisamente umido e coperto di vulcani solo durante l’Esperiano, dai 3,7 ai 3 miliardi di anni fa, e soprattutto durante il Noachiano, dai 4,1 ai 3,7 miliardi di anni fa. Siamo dunque dinnanzi a un mondo che è declinato, secondo il nostro metro di valutazione, molto lentamente, ma purtroppo anche in modo assai coerente e continuativo. Questo non ci impedisce di creare ambienti variamente isolati e protetti sulla sua superficie, coltivandola ed estraendone materiali utili come l’acqua stessa, ma rende assai difficile immaginare che lo si possa un giorno mutare in un giardino come quello in cui nacque la nostra specie.

Note

[1] https://mars.nasa.gov/news/8836/nasa-insights-mole-ends-its-journey-on-mars/

[2] Cfr. Transformers, 2007, dove però il lander dell’ESA è rappresentato come un rover della NASA.

[3] https://spaceflightnow.com/2020/04/20/nasa-narrows-design-for-rocket-to-launch-samples-off-of-mars/

[4] Non il primo velivolo in assoluto, perché quel record se lo sono intascati i sovietici nel 1985, grazie ai palloni a elio che i lander delle sonde Vega 1 e 2 rilasciarono nell’atmosfera venusiana, mentre le stesse usavano il secondo pianeta del sistema solare come fionda gravitazionale per raggiungere la cometa di Halley.

[5] Un altro frammento era stato portato sulla Luna dall’Apollo 11 nel 1969, ma in quel caso era poi tornato sulla Terra.

[6] Ovverosia risalite di materiale dal mantello in zone della crosta prive di faglie.

di Ivan Ferrari

Autore

  • Laureato in filosofia, redattore della Rivista e socio collaboratore dell'Associazione culturale La Taiga dai giorni della loro fondazione, ha interessi soprattutto storici e letterari.