Polyphonie X: flusso di coscienza e ripetizione

The path is clear, though no eyes can see…

Ciò che abbiamo di fronte e ciò che dovrebbe essere il nostro futuro prossimo, ci si parano davanti con la stessa evidenza di un semaforo rosso acceso in autostrada. I semafori, in autostrada, non ci sono, ma proprio per questo motivo, se ne comparisse uno all’improvviso, sarebbe tanto pericoloso quanto imprevisto. È lì di fronte a noi, non potremmo dire di non vederlo o di non essere sicuri che sia effettivamente quello che è, ma francamente: non ci crediamo. È accidia? Perché non immaginare allora uno scenario reale di una coppia in viaggio, vittima di questo strano evento? Immaginate di star leggendo un romanzo su questi due innamorati sognanti e pellegrini per le vie del mondo:

«Ma tu l’hai visto?», disse lei con atteggiamento ancora visibilmente attonito.

«Cosa?»

«Ma come “cosa”?!», sbottò, ancora colpita dall’evento curioso. «Quella luce rossa, non ti sembrava un semaforo? Mi sa che era proprio un semaforo; perché non ti sei fermato?!»

«Ma che stai dicendo? Siamo in autostrada, hai mai visto un semaforo in autostrada?», rispose lui quasi infastidito. «Credo proprio che questa vacanza ti farà bene, hai bisogno di riposo. E poi, voglio dire, eravamo a cento e passa all’ora, volevi veramente che mi fermassi così all’improvviso?! Assurdo!»

Seguire un’idea può essere un atto rivoluzionario, nel momento in cui la si riesce a mettere in pratica convintamente. Seguire una condizione imposta può essere prudente, corretto e certamente inattaccabile, ma: «Se tuo cugino ti avesse detto di gettarti dal balcone, tu l’avresti fatto?!».

Detto questo, fino a dove arriva l’identità di un artista? Qual è il confine che lo porta a entrare in pieno possesso della propria natura, esprimendo con uno strumento (pennello, macchina fotografica, pianoforte e altri cento che siano) un concetto e, con un’opera, un discorso intero?

Ebbene, secondo una logica costruita di pari passo con la civilizzazione occidentale, raggiungere un’identità, costruendo delle competenze degne abbastanza da porre confini tracciabili: la sagoma di ognuno di noi è quella della propria occupazione, non sono certo il primo a cui avrete sentito dire una cosa del genere. Io non sono Mario Rossi, sono un autista. Non mi definisco poiché mi chiamo Federico Filippo Virgilio Maria, bensì poiché sono un ferroviere.

L’I Ching ci suggerisce di seguire il più grande dei condottieri: noi stessi. Siamo noi coautori e co-sceneggiatori di una storia costellata di alti e bassi, il più grande Assillo con cui potremmo avere a che fare: la quotidianità, soprattutto per coloro a cui un giorno non serve a niente e una vita intera non basta per un singolo gesto.

L’evento imprevisto, al limite dell’assurdo, spesso negativo, ci mette alla prova e inscena le nostre competenze: quel semaforo rappresenta l’assurdo possibile, il falso credibile. A noi spetta la decisione di affrontarlo, contenendo i vizi, costruendoci sopra qualcosa di utile, seguendo la strada meno impervia: seguendo colui che ce la può mostrare.

Abbiamo detto assurdo, impensabile ma possibile, abbiamo parlato di sedicenti confini invalicabili, in grado di raffigurare la sagoma della nostra persona: Pierre Boulez è stato un grande compositore e direttore d’orchestra francese, scomparso all’inizio di quest’anno all’età di novant’anni.

Pierre Boulez 1960

Non sono, ahimè, un grande conoscitore della musica classica o contemporanea, ma ho deciso di prendere questo grande uomo della musica del Novecento come esempio di artista e uomo di cultura, in grado di scrivere opere all’avanguardia per decenni (con la sua morte, nel gennaio 2016, molti considerano chiusa l’epoca dell’avanguardia musicale). Istruendosi in grandi conservatori sotto la guida di musicisti come Messiaen, ebbe a che fare in età giovanile con le avanguardie del periodo: la musica dodecafonica, associata da molti alla figura di Schönberg, ma ancor più ai suoi discepoli come Berg o Webern, i quali però rifiutavano questa definizione correggendola in “emancipazione della dissonanza”; la musica atonale, per la quale è difficile spiegare le caratteristiche in poche righe, ma secondo cui un’attenta regolarizzazione e gerarchia armonica decisa dal compositore stesso funge da sistema all’opera in divenire. Boulez arriva addirittura alla musica elettronica, in età più avanzata, svolgendo il ruolo di capostipite di una generazione di musicisti contemporanei in totale e incessante ricerca.

«Chi si butta via per accompagnarsi a persone indegne, perde la possibilità di associarsi a persone di spirito elevato, che potrebbero spingere avanti sulla via del bene». L’I Ching sottolinea ripetutamente l’importanza di avere un maestro, una figura di alto profilo di riferimento: chi si attacca all’uomo forte perde il ragazzino, chi si attacca al ragazzino, perde l’uomo forte. Nella mia personale visione, Pierre Boulez, insieme a pochissimi altri, rappresenta il mentore, l’uomo in grado di allontanarci dal ragazzino. Perseverare, dice il Libro, come già abbiamo potuto raccontare, è pratica da consolidare ma soprattutto da non rendere controproducente. A prescindere che si voglia prendere la musica come propria Musa ispiratrice o meno, una figura come quella del compositore francese apre le nostre possibilità, da miseri e nulli nativi digitali quali siamo: proprio nel momento storico in cui tutta una gigantesca dimensione di informazioni sta piombando sulle nostre teste come un’esagerata “manna”, può essere un esperimento interessante quello di assorbire e filtrare la grande novità del momento, proprio come faceva Boulez. Non può avere stabilità, tutto ciò che potenzialmente potremmo assorbire, se volessimo davvero conoscerlo fino in fondo: ci farebbe impazzire. Rivendico l’ignoranza e acclamo coloro che hanno saputo non esagerare e, ripeto, filtrare ciò che può essere assorbito davvero, e non solo ripetuto come un telefono senza fili.

Nel suo libro, edito da Einaudi, Pensare la musica oggi, Boulez inizia il libro con questa frase: «Il musicista è sempre sospetto, appena manifesta l’intenzione di dedicarsi a un’introspezione analitica». Mentre le note di copertina parlano di lui in questo modo: «Occorre cercare la disciplina nella libertà. Questa citazione da Debussy è non solo l’idea ma il cuore pulsante di tutta la ricerca che Boulez ha sviluppato, con esiti spesso clamorosi, nell’arco di un trentennio. […] Il pensiero di Boulez, come quello di Schönberg, di Webern o di Debussy, non è preminentemente musicale, ma filosofico».

Boulez, nel libro in questione, ci parla del suo sistema appoggiandosi alla sua personale visione, legata al rigore della ricerca formale, lo studio del pensiero musicale come tecnica e principio logico: «Per fondare qualsiasi creazione», dice l’autore, «considero indispensabili i metodi di investigazione e la ricerca di un sistema coerente». Le tecniche musicali del suo periodo, quello in cui scrive il libro (fine anni Settanta), vengono analizzate con severità e rispetto, seppur spesso criticate: un confronto con la tradizione che regge la categoria stessa della creatività. Il suo messaggio è infatti chiaro su questo: da grande compositore quale sono, mi reggo sul mio personale sistema (in questo non è l’unico, due celeberrimi compositori per colonne sonore e non solo, John Williams ed Ennio Morricone non nascondono un loro personale utilizzo di schemi e metodi sistematici), con il quale favorisco, e non soffoco, il mio copioso flusso creativo.

Con la figura di Boulez, nell’ottica del Seguire ho occasione di dare al lettore un’ulteriore figura di riferimento per la grande musica del XX e parte del XXI secolo. Con un tema come questo, trattandosi di un ambito artistico, è piuttosto semplice cadere nella grande figura da descrivere con occhi lucidi: Pierre Boulez, in tutto l’arco del “secolo breve”, ha seguito e riproposto, criticato e apprezzato; ma soprattutto, è voluto essere un uomo di cultura, per poter aprire il proprio campo di possibilità sulla scoperta di sé e di ciò che può valere la pena seguire, senza paura.

di John De Martino

Autore

  • Studia batteria jazz alla Civica di Milano. È un musicista nato, anche se per capirlo ha dovuto studiare per un anno filosofia. Ora vive praticamente nel suo box, dove si esercita e invita gli amici musicisti.