Sì, ma il Senato è poi così inutile?

Come seguire gli sviluppi legislativi, visto che le leggi si susseguono senza sosta e che le materie vengono riformate molto spesso? Esistono proposte di modifiche costituzionali che prevedono un grande cambiamento del Senato.

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Alcide De Gasperi, Enrico De Nicola ed Umberto Terracini firmano la Costituzione il 27 dicembre 1947

Si sente dire spesso che la “fannulloneria” italiana è rispecchiata dalla produzione legislativa del Belpaese, definita lenta, pachidermica e svogliata.

Si aggiunge che siamo l’unico Paese occidentale a mantenere il cosiddetto “bicameralismo perfetto”, sistema in cui la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica, mettendo le mani sugli stessi argomenti, finiscono sovente per pestarsi i piedi a vicenda. Questa decisione di avere addirittura due Camere battibeccanti, così bislacca, rallenterebbe le attività parlamentari, complicando orrendamente la vita nel “Paese d’o’ sole”.

Bene, le idee che ho appena riassunto sono mezze fesserie che rispecchiano il viziaccio inguaribile dell’italiano, ossia l’amore per la lamentela rivolta alla propria nazione.

Se si guarda ai soli numeri, la nostra produzione legislativa non sembra inferiore né a quella tedesca, né a quella francese, né a quella inglese o americana: nemmeno i tempi di durata dell’iter legislativo sono superiori[1], nonostante i documenti debbano fare il doppio della strada per essere approvati.

Il fatto di essere in linea, in questo senso, con i paesi civilizzati può sembrare confortante; il problema è che nessuno sa affermare con esattezza quante e quali leggi siano vigenti in Italia[2]. Uno studio ufficiale recente concludeva, con una scrollata di spalle, che il numero di testi normativi dello Stato nel 2009 si potesse aggirare «intorno alle settantacinquemila»; poi sono stati un po’ sfoltiti. Una quantità simile è impressionante e, si badi bene, non considera le leggi regionali, anch’esse numerose e spesso altrettanto importanti per i residenti.

Sia concesso poi un dato d’esperienza: se conoscete qualcuno che si guadagna il pane con le leggi, chiedetegli quanto spesso è costretto ad aggiornarsi. Vi risponderà, sconsolato, che le leggi si susseguono vorticosamente, tanto che non si riesce a finire di studiare una novità che subito se ne para un’altra all’orizzonte.

È innegabile: il nostro Parlamento, quando vuole, sa essere una gioiosa macchina da guerra. Ne è stato un fulgido esempio il lodo Alfano, presentato il 26 giugno 2008 e approvato dalle Camere il successivo 22 luglio; una legge simile è stata votata in meno di un mese e dichiarata incostituzionale in poco più di un anno.

Ora, uno degli snodi fondamentali della recente riforma costituzionale riguarda il superamento del bicameralismo perfetto. Se il prossimo referendum benedicesse gli orientamenti del disegno di legge presentato dal ministro Boschi, infatti, il Senato
sarebbe composto in maniera diversa e perderebbe tutto d’un tratto la maggioranza delle sue funzioni, fino a trasformarsi in un club di bocce per pochi, affaticatissimi consiglieri regionali.

I nuovi compiti del Senato configurati dal disegno di legge sono presto detti: escluso dalla compartecipazione all’indirizzo politico, dalla relazione fiduciaria con il Governo e dal normale iter normativo, gli resteranno solo la possibilità di proporre modifiche alle leggi vigenti, una non meglio identificata funzione di “raccordo” tra Stato ed enti territoriali, delle competenze forti solo in materia di ricezione degli strumenti comunitari; infine, dovrà occuparsi della “verifica dell’attuazione delle
leggi statali e dell’impatto delle politiche pubbliche sul territorio”.

È naturale porsi alcune domande, pensando al virtuale Senato “ritoccato”: ce n’è veramente bisogno? La “governabilità”, passe-partout usato quando bisogna far ingollare al popolo una qualche porcheria, è messa così in pericolo da quei ficcanaso dei
senatori, che son lì apposta a rallentare qualsiasi produzione legislativa?

Per prima cosa, “governabilità” e “agio nella produzione delle leggi” non sembrano concetti così assimilabili o paralleli.

Sì, è vero, il Governo oramai legifera: è una in negabile tendenza di tutti i Paesi avanzati. Però i veri compiti dell’esecutivo sono molto più vari e altrettanto importanti: basti pensare all’emanazione di regolamenti e circolari; alla tassazione, ai bilanci e alla spesa pubblica; ai concorsi per assumere tutti i pubblici impiegati e alla vigilanza sul loro operato; alle relazioni internazionali e alla risoluzione dei conflitti; alla costruzione e al mantenimento delle grandi infrastrutture; ai sussidi per le categorie bisognose; alla conservazione dei beni culturali e dell’ambiente.

L’elenco potrebbe andare avanti a lungo. Il governo ha certamente un mucchio di altri compiti, delicatissimi e ben più materiali, cui deve assolvere e che possono influire sulla “governabilità” di uno Stato molto di più della semplice produzione legislativa.

In secondo luogo, anche ammettendo che una velocizzazione del processo di formazione di testi normativi sia così cruciale per l’esecutivo, è comunque strano che a lamentarsene sia proprio questo governo[3].

Renzi e la sua squadra sono in carica dal 22 febbraio 2014; da quella data si sono susseguite senza sosta molte riforme, tutte con slogan azzeccatissimi: s’è data una spolverata alla legislazione in tema di lavoro col “jobs act”, una decisa passata di straccio sull’istruzione con la “buona scuola”, una lucidata alle procedure amministrative, soprattutto in tema di realizzazione delle opere pubbliche, col decreto “sblocca Italia”.

Non solo: il diritto penale è stato rivisitato molto spesso. Da quando, chino al mio scrittoio, scrivevo la mia tesi di laurea, mi sono visto passare sotto agli occhi la riforma del diritto processuale nell’aprile 2014, l’introduzione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, le varie depenalizzazioni approvate nel gennaio appena passato e l’ingresso trionfale dei nuovi reati stradali.

Poi, ancora, non bisogna dimenticare le unioni civili e – per l’appunto – quest’ennesima riforma della Costituzione, che segue quella della legge elettorale.

Già, la legge elettorale.

La stessa che ha seri profili di illegittimità, soprattutto con riguardo al premio di maggioranza e alle liste bloccate, tanto che sarà discussa davanti alla Corte Costituzionale nei mesi a venire. C’è da dire che l’talicum è in buona compagnia: anche la buona scuola, le riforme del diritto penale (si vedano le varie voci critiche sull’introduzione dell’omicidio stradale) hanno suscitato sdegno e malcontento, incarnato soprattutto da chi è costretto a lavorarci. Anche la – civilissima e necessaria – legge che ha introdotto le unioni civili non è esente da critiche: non avendo espressamente richiamato l’esistenza del reato di bigamia, da estendersi ovviamente anche alle nuove coppie riconosciute, adesso chiunque potrebbe essere libero di contrarre una quantità indefinita di unioni.

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Fotogramma del cortometraggio “Dimensioni del dialogo” di Jan Švankmajer (1983)

È il caso, quindi, di riformare la produzione legislativa del nostro Paese, senza dubbio, ma migliorandola qualitativamente e non rendendola schiava dell’uomo solo al comando, che si ritroverebbe ad avere, grazie all’italicum, il 55% di preferenze alla Camera senza un Senato che possa opporsi sfiduciandolo o cassandone i testi normativi.

Le leggi non sono e non devono diventare stampa periodica (come la nostra amata rivista!), cambiando di giorno in giorno all’impazzata. Servono anni per comprendere fino in fondo il loro funzionamento organico col resto del corpus normativo in vigore, devono essere raccordate al meglio, ben pensate e valutate con estrema cura; senza dubbio, per ponderare meglio le novità introdotte è meglio confrontarsi con un interlocutore che deve poter conoscere gli argomenti principali di conversazione.

Note

[1] Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienze politiche presso l’Università di Bologna, ne ha scritto sul suo blog, in un intervento dal titolo: Qual è il parlamento più produttivo? I numeri della produzione legislativa dei parlamenti democratici.

[2] Gli scettici guardino l’articolo sul Fatto Quotidiano del 28 agosto 2014, scritto da Guido Scorza e intitolato Internet e istituzioni: quante sono le leggi in Italia? Meglio chiederlo a Google che a Normattiva.

[3] Questa riflessione l’ho rubata a Leonardo Tondelli, dal suo blog, e precisamente dal post del 12 maggio 2016, Ma quindi, insomma, Renzi governa.

di Gianluca De Rosa

Autore

  • Laureato in giurisprudenza – mio malgrado –, al momento tirocinante presso un giudice penale del Tribunale di Milano. Giacché è giusto definirsi con le cose che si amano e null'altro, posso inanellare alcune passioni, tra cui Milano, i ristoranti etnici e tipici, la birra, la scrittura, la musica (addirittura strimpellata), nonché i videogiochi, i giochi di carte e tutte le altre attività che escludono a priori una qualche retribuzione o il fare bella figura.