La singolare “chiamata” di Albert Speer

di Paolo Bodini

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Consacrare la propria esistenza ad’ideale di grandezza diverso dal protagonismo, sotto la spinta dell’idolatria per il Führer. Albert Speer, l’architetto del Terzo Reich: dalla “costruzione” della potenza, fino alla caduta di Norimberga.

Mi permetto di cominciare questo breve articolo con una nota autobiografica. Da circa due mesi mi trovo in Germania per l’Erasmus, più precisamente a Colonia, la bella città di Alberto Magno e Adenauer. Il tema suggerito dall’I King mi ha spinto a collegare questa mia esperienza in terra tedesca con la vicenda di chi – a mio avviso – incarnò con la sua vita la «costante tensione» alla grandezza e alla potenza di cui parla l’oracolo. Mi riferisco ad Albert Speer, l’architetto del Terzo Reich, l’amico e il confidente – forse l’unico – di Adolf Hitler. «Parlare di nazismo non può essere un tabù, ne parli con la gente, e poi in Italia dirà che abbiamo cambiato rotta!», così mi esortò un’impiegata del comune, sentitasi chiamata in causa durante l’Anmeldung (registrazione della residenza in Germania) quando apprese dalle carte del catasto che la piazza in cui risiedo era intitolata proprio al Führer.

La pertinenza di Speer col nostro tema si concilia in realtà ben poco col compito affidatomi dall’orgogliosa impiegata comunale. Non credo comunque che il mio contributo in questo senso sia necessario, mi appresterei infatti a testimoniare quella che in tedesco si direbbe una Tatsache: un dato di fatto; l’evidenza cioè che la Germania di oggi è tutt’altra cosa rispetto ai tempi del nazionalsocialismo. Approfitto però dell’esortazione ricevuta per narrare – brevemente – la vicenda di uno dei protagonisti del regime nazista, per poi cercare di evidenziarne l’attinenza con le parole dell’I King.

Il fulmine che segna la vita di Albert Speer cade a Berlino, in un comizio politico. Le parole infuocate di un oratore austriaco dai folti baffi plasmano il grande talento del giovane architetto dandogli una direzione, uno scopo. Da quel giorno Albert sente di avere una missione: la sua missione è Hitler; «sarò con lui e lo sarò per sempre» scrive nel suo diario. Ma la dedizione non basta. Per avvicinarsi alla cima occorre salire. Serve una grande opera, per la quale si dice disposto a vendere l’anima al diavolo. L’occasione arriva da Goebbels, lo zoppo e potente ministro della propaganda, che gli commissiona la ristrutturazione in stile neoclassico del palazzo Leopold di Berlino: sarà la nuova sede del ministero. Il gerarca rimane stupefatto dall’abilità del ragazzo e lo mette ancora alla prova. Speer dovrà approntare la sceneggiatura per un immenso raduno notturno nel campo di Tempelhof. L’architetto stupisce ancora: l’avvolgente oscurità della sera è repentinamente cancellata all’arrivo del Führer, rischiarato dagli enormi fari che l’architetto ha fatto disporre intorno alla spianata. Sono delle «cattedrali di luce» che salgono verso il cielo, quasi ad anticipare l’ascesa del regista di quello spettacolo. Goebbels decide infatti di fare il grande passo e presenta a Hitler il giovane architetto: l’alchimia è immediata. Solitamente parco di complimenti, il capo del Reich non esita a definire quel ragazzo del BadenWürttemberg – nemmeno trentenne – come «il migliore di tutti». Alla morte di Paul Troost, architetto capo del Partito, Speer diventa il suo successore. La sua parabola continua, di successo in successo: responsabile dei raduni di Norimberga, dei progetti per la nuova Berlino, del Berghof (il rifugio di Hitler sulle montagne bavaresi) fino a divenire “ministro agli armamenti e alla produzione bellica”. Quest’ultimo sarà il punto più alto del suo cursus honorum ma anche l’anticamera di una brusca caduta. La vicenda di Speer è infatti inevitabilmente legata alla sconfitta tedesca nel maggio del 1945. L’ex gerarca viene condannato al processo di Norimberga per essersi servito di manodopera in condizioni di schiavitù durante gli anni del conflitto. Scontata la pena di 20 anni di reclusione torna in libertà nel 1966. Vivrà ritirato, disponibile alla collaborazione con storici e ricercatori. Molti sostennero la sua implicazione con l’Olocausto, giudicandolo reo di morte. Essa sopraggiunge nel 1981, per infarto.

La potenza del grande. Queste lapidarie parole potrebbero essere usate per titolare la vita di quest’uomo. Speer dimostra come la brama di consacrare la propria esistenza ad una missione o un’ideale di grandezza possa essere sfaccettata  e polisensica. Il suo desiderio di grandezza mai si tramutò in una volontà di eroismo o protagonismo. Speer non aspirò ad essere grande, volle piuttosto farsi artefice di esso. La possibilità di edificare qualcosa di eterno conferì alla sua vita un senso, uno scopo. È celebre la sua teoria delle rovine, secondo cui la magnificenza delle proprie opere sarebbe stata testimoniata dal perdurare delle loro fondamenta dopo millenni. Il nostro architetto fu testimone di come la gloria possa sorprendere nell’attirare a sé, scegliendo talvolta attori per il proscenio talvolta registi che predispongano il fondale.


Bibliografia

  • Albert Speer, Memorie del Terzo Reich, Mondadori, 1996.
  • Joachim Fest, Dialoghi con Albert Speer, Garzanti Libri, 2008.

 

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Autore

  • Studia filosofia all’Università Statale di Milano, dove si è laureato alla triennale in gnoseologia. Al momento si trova in Erasmus in Germania, a Colonia. È redattore esterno de La Tigre di Carta.