Il furore nella presenza di sé

Una ricerca fra arti sceniche e visive



«If we do not allow ourselves to feel completely
vulnerable in the face of a new challenge,
we will not achieve true creativity».

Nell’ambito delle pratiche di creazione artistica, con lucido furore mi riferisco a uno processo volto a portare chiarore nell’entusiasmo durante il quale la soglia di presenza si condensa e genera lo spontaneo atto creativo. Per raggiungere questa lucidità mossa da passione, in cui la ragione non è annebbiata ma trasformata dall’entusiasmo passionale, è necessaria un’attenzione alla presenza e precisamente a un particolare stato della presenza umana, al crearsi di uno specifico contesto interiore che permetta l’emergere dell’intuizione, quella forma di ‘ragionamento’ al di fuori dal controllo razionale. Per creare bisogna essere ispirati. Che cosa è l’ispirazione in arte? L’elaborato teorico di tesi Studio sulla presenza e la volontà creativa nell’arte e nella vita (2020/21) si è sviluppato da questa domanda, chiedendomi, cioè, cosa facesse di un artista quello che è, e cosa fosse la creatività riferita a una persona.



La creazione è descritta da vari artisti come un momento di luce, di connessione, un lampo, uno stato di particolare concentrazione e densità. Questo fulgore non scaturisce dalla personalità, dall’ego, dai pattern automatici acquisiti dall’organismo per potersi assicurare una stabilità quotidiana, ma proviene primariamente da un modo di guardare, di esistere, di esserci, in ascolto silente di ciò che già c’è e che, secondariamente, predispone il terreno al ragionamento intuitivo. L’ispirazione è la condizione interiore che apre al pensiero intuitivo e permette l’atto creativo il quale è un evento percettivo nuovo finanche all’artista, che in quella condizione dona come farebbe un fiore. “Il compito mostruoso dell’attore è di essere consapevolmente spontaneo” è il titolo di un saggio di Magdalena Pietruska e Roger Rolin attori del Teatro Laboratorio Institutet för Scenkonst e sta a significare che la creatività è un fenomeno del reale e abita l’essere umano costantemente, ma necessita attenzione a profonde percezioni, a sensazioni inusitate.

«La creatività è un’attività biologica e necessaria alla sopravvivenza umana, non è una facoltà esclusiva dell’artista. L’uomo, infatti, deve interagire con una realtà non statica, ma in continua evoluzione e in grado di mutare in modo parzialmente prevedibile e parzialmente imprevedibile. La mente umana ha lo scopo di prevedere i cambiamenti della realtà per sfruttarli a proprio vantaggio, anticipando gli scenari futuri. Perciò i cambiamenti prevedibili vengono affrontati con gli strumenti del calcolo, della logica, dell’intelligenza consapevole. I cambiamenti imprevedibili della realtà vengono invece affrontati per mezzo di funzioni adattive come l’immaginazione, la fantasia, il sogno, e l’arte. Queste funzioni sono biologicamente creative. L’unica differenza fra la persona comune e l’artista è dovuta al fatto che alcuni modelli di adattamento creativo vengono assunti come modelli rappresentativi da un’intera cultura storica, e gli autori di questi modelli vengono perciò chiamati artisti».

L’atto creativo nell’essere umano è involontario, è un errore che volge alla vera spontaneità e, in situazioni ‘normali’, viene percepito dal sistema cosciente quotidiano come elemento di rigetto perché relativo a uno stato di crisi, di squilibrio, a ciò che è per sua natura instabile e in movimento. Per questo l’artista ricrea situazioni anormali, artificiali, ‘extra-quotidiane’. Pertanto è molto difficile osservare questo evento interiore dal punto di vista soggettivo. Inoltre occorre comprendere cosa sia comunemente definito ‘squilibrio’ e quale percezione soggettiva vi si associ; se e come il soggetto percepisca la sua presenza all’interno della quale la creazione sorge instancabilmente: «…today I know a little more: our inner life is the basis of artistic inspiration, a wellspring, a stimulus. To achieve that life, we push ourselves to the limit of fatigue, physical and mental exhaustion, to a point where we feel our Selves with all our weaknesses, faults, and mistakes». Bisogna tenere a mente che l’atto creativo come ho qui inteso è un momento della ricerca e dell’esistenza di una persona. Esso non è dato per assunto e stabile alla personalità dell’artista, né assodato grazie a una condotta morale specifica, ma è frutto di un lavoro passionale lucido e invisibile noto solo alla persona che lo conduce che è portavoce ultima del proprio agire, cui, eventualmente, la storia attribuirà un posto nella sua narrazione. Per comprendere le varie implicazioni storiche e culturali sulla propria soggettività bisogna anche osservare quali siano i modelli rappresentativi della società in cui si è immersi rispetto a certi termini come ad esempio stabilità/instabilità quindi verificarne e trovarne il senso attraverso una ricerca personale. Nonostante la caratteristica involontarietà dell’atto creativo soggettivo l’artista non è preda inconsapevole delle sue estasi: «Gli artisti nella nostra società gerarchica sono equiparati ai santi, ai pazzi, ai criminali. Infatti essi non parlano mai per loro volontà (se accettano e sfruttano il ruolo a loro riservato dalla tradizione) o perché non vengono interpellati né ascoltati, in quanto quello che direbbero, a priori non è ritenuto attendibile, perché essi sono ufficialmente considerati strumenti passivi e incoscienti di una qualche “ispirazione” (cfr. “estasi”, “allucinazione”, “raptus”) di cui essi sarebbero conduttori o medium.



Quest’antica concezione dell’artista (cfr. del santo, del pazzo, del criminale) presuppone una classe di critici dell’arte (cfr. sacerdoti, psichiatri, giuristi) ufficialmente qualificati a comprendere, a rivelare, a curare, a giudicare, a selezionare, a manipolare, a divulgare ciò che gli autori stessi avrebbero ottenuto in stato di “trance”. Insomma gli autori non sono più autori, ma, attraverso questa gerarchia superiore di amministratori ufficiali, vengono socialmente ridotti alla stregua dei pazzi, cioè dichiarati incapaci di riconoscere il senso e il valore di ciò che loro stessi hanno raggiunto con la ricerca e l’esperimento». Per questo ho voluto sondare le mie stesse percezioni attraverso una ricerca artistica e sperimentale iniziata nel 2019. L’intensità di alcune trasformazioni raggiunte mediante l’agire artistico aziona l’importante evento soggettivo dell’integrazione narcisitica e mette le radici per una più sottile percezione della presenza, la quale ho voluto osservare sperimentalmente usando pratiche di osservazione, meditazione e sviluppo di tecniche pertinenti all’essere presenti a se stessi. I risultati di questa particolare condensazione sono stati registrati attraverso il gioco di dadi Quick Squin, solitario a sei dadi che ha fornito alcuni rilievi significativi nell’ambito dell’osservazione sull’andamento della presenza e della volontà creativa. La scelta di un gioco a tiro casuale è ampiamente motivata all’interno dello studio di tesi.

L’artista in ogni scienza ha una sua specifica qualità che in qualche modo lo ‘salva’ e lo ‘condanna’ rispetto al mondo in cui vive: sente se stesso/a. Ovvero ascolta e percepisce le leggi di cui è fatta la creazione e che non ha inventato. Forse artista è proprio chi si relaziona con e interroga la creazione e le sue leggi, e in questo dialogo immagina risposte possibili. La presenza che esprime attraverso il suo semplice modo d’essere, di camminare, di guardare, rivela questa concentrazione interiore. Questo stato è concreta esperienza di sé. La presenza, l’esserci, è uno stato che può cogliere inaspettatamente durante qualsiasi momento e rompere il velo illusorio e artificiale sulla quale si fonda la nostra esistenza. Nelle pratiche artistiche il lucido furore è un modo per trascendersi e imparare da se stessi: se la creazione è nel nostro corpo non c’è bisogno di cercare fuori, la tecnica è solo uno strumento di pulizia dello sguardo, per vedere meglio ciò che già c’è.

di Francesca Tarantino

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