Ospiti cattivi

Mother! ovvero l’ambiguità del dono

cattivi


«Io sarò ciò che sarò»
Dio (Esodo)
«Fuoco irrompendo giudicherà catturerà tutte le cose»
Eraclito (Frammenti)
«vi è un grande anno del divenire, un’immensità di anno grande:
esso, come una clessidra, deve sempre di nuovo rovesciarsi,
per potere sempre di nuovo scorrere, e finire di scorrere»
Nietzsche (Così Parlò Zarathustra)

Saranno i regali di compleanno azzeccati o lo stipendio a fine mese, ma ricevere pare proprio una bella parola. Eppure a dar retta all’etimo (sempre utili le gite nell’etimologia) si scoprono cose interessanti. Per esempio che il verbo latino capere (prendere) è la radice del verbo ‘ricevere’ ma anche dell’aggettivo ‘cattivo’, che, letteralmente, significa ‘preso’, ‘catturato’ cosa che, nella morale arcaica, era segno di inferiorità meritevole di schiavitù.

A rifletterci, però, sorge il dubbio che nel ricevere sia implicito che qualcuno venga preso e catturato e che quel qualcuno, magari, potrebbe proprio essere chi riceve. Del resto, come ci spiegherebbe Marcel Mauss, nelle culture arcaiche accogliere un dono vincolava a una relazione col donatore; in un certo senso si faceva un dono per legare qualcuno, proprio per farlo prigioniero, ovvero ‘cattivo’. Motivo per cui l’atto di ricevere doni, in passato, non doveva esser proprio motivo di gioia, non più di quella che si prova nell’apporre la firma sul mutuo con cui ci indebitiamo,

Ancor oggi c’è chi, memore di Virgilio, teme «Danaos et dona ferentes» e accoglie i doni come patenti di debolezza. Forse non del tutto a torto. Il fatto è che chi dà, chi offre, ha un’iniziativa; agisce. Mentre chi riceve, al contrario, patisce. Non stupirebbe scoprire che arcaicamente, in una logica patriarcale e guerriera, l’atto di ricevere fosse inteso come gesto femminile (Yin), mentre il donare, al contrario, fosse atto maschile (Yang); questo specialmente se si riceveva non in seguito a un dono fatto in precedenza e indipendentemente che a ricevere fosse un uomo o a donare una donna.

Nell’I-Ching l’esagramma n. 2 (Il Ricettivo) pertanto rappresenta la Terra non casualmente. In una logica guerriera la terra è l’esito d’una sottomissione, una specie di “spazio Criseide”, l’effetto d’una cattura e schiavizzazione. Motivo per cui la terra si presta facilmente come metafora della femminilità e, viceversa, la femminilità si presta a essere metafora di un territorio (si pensi all’espressione retorica «Madre Russia»).

In molte culture rurali la terra è femmina proprio perché elemento passivo per antonomasia. La terra riceve due volte: prima l’azione dell’uomo, ad esempio dell’aratro (che è la lama con la quale il contadino disciplina la terra) e poi riceve il dono del seme che la vincola a una restituzione (sotto forma di messi).

cattivi luce

Se pensate che tutto questo sia un retaggio del passato non state forse tenendo conto che quando (per usare un’espressione da signore borghesi) molto urbanamente «riceviamo in casa», facciamo “i cattivi”. Ovvero: siamo e creiamo prigionieri. Ricevere ospiti comporta prendere (persone) e dare (cibo, bevande, letti). Avere ospiti è, allo stesso tempo, essere ostaggi e tenere in ostaggio, catturare e essere catturati, Insomma un cosa due volte “cattiva”.

Chi non ci credesse potrebbe dare uno sguardo a ciò che accade a Jennifer Lawrence in Mother! di Darren Aronofski, un thriller psicologico e surreale i cui riferimenti potrebbero essere il Polański de L’inquilino del terzo piano (più che di Rosmary’s baby come s’è detto) e il Buñuel de L’angelo sterminatore.

Nel film, la cui azione si svolge in un eterno presente all’interno di una casa, la protagonista (senza nome) è la giovane lei d’una coppia in cui anche lui, un ben più âgée poeta in crisi creativa, non ha un nome. Lui ha da poco assistito (nell’incipit del film) all’incendio e alla traumatica distruzione della sua casa di cui resta solo un cristallo grande un pugno (formatosi per combustione). Il cristallo è una reliquia conservata nel suo studio, il cuore della nuova magione di legno posta al centro di un parco. Una casa dalla pianta ottagonale, replica fedele della prima, percorsa da una scala a chiocciola.

Lei è completamente dedita a Lui. Per consentirgli di scrivere con serenità s’occupa di tutto: dalle faccende domestiche al restauro della casa con cui sembra aver instaurato un rapporto quasi simbiotico. Tra lui e lei si percepisce una cera tensione nervosa, Lui le vuol bene ma anche la evita e il film è giocato come un thriller sentimentale in cui la suspense è azionata proprio da un meccanismo nel quale lei cerca lui e non lo trova o, se lo trova, lo pretende per sé, ma lui sfugge e la trascura per altri. Un giorno infatti si presenta per errore alla porta uno sconosciuto. Il poeta non vede l’ora d’un diversivo dalle sue inconcludenti sedute di lavoro o di potersi sottrarre allo sguardo tra il preoccupato e il deluso di lei e invita l’uomo a fermarsi a dormire; senza coinvolgere la padrona di casa nella decisione. È solo il primo di numerosi ospiti terribili che si presenteranno in breve tempo a casa e che lei dovrà ricevere.

Allo sconosciuto s’aggiunge sua moglie. Insieme, strafottenti alle regole dell’ospite, romperanno persino il cristallo a cui il poeta teneva, facendolo arrabbiare (lui sigillerà lo studio con delle assi di legno). Nel mentre si presentano anche i due figli dei nuovi arrivati; litigano, si picchiano in casa e uno dei due ucciderà l’altro, rompendogli la testa sul pavimento. Qui si forma un buco da cui il sangue cola in cantina, dove lei pulendo scopre una stanza (murata) con un serbatoio di petrolio che alimenta la casa. Risalita apprende che il poeta ha consentito ai genitori del ragazzo morto di celebrarne in casa il lutto. Arrivano i conoscenti della coppia affranta e progressivamente trasformano il momento di dolore in una festa scatenata, fino a che, incuranti degli avvertimenti di lei, qualcuno si siede sul lavello e allaga casa. A questo punto lei s’infuria e caccia tutti.

casa bruciata

Lui e lei litigano. La tensione verbale si trasforma in tensione erotica e fanno l’amore. Il giorno dopo lei è convinta d’essere incinta e lui ritrova finalmente l’ispirazione proprio commentando che un figlio sarebbe «ricevere il dono più bello». Scrive un testo e lo pubblica con enorme successo. Da qual momento la casa diventa luogo d’un pellegrinaggio di fan che danno vita a un vero e proprio culto del poeta.

Alcuni però iniziano a litigare tra loro per il manoscritto originale, in un crescendo sempre più surreale, tanto che la casa diviene un vero e proprio teatro di guerra, con l’editore ufficiale che giustizia alcuni seguaci. Nel frattempo lei partorisce barricata nel vecchio studio riaperto. Fuori i fan del poeta vogliono vedere il bambino. Lui glielo mostra, ma i fan nel contenderselo lo uccidono. Lei, questa volta veramente infuriata, si vendica del poeta e dei fan dando il via a una conflagrazione della casa. Lui sopravvive e chiede a lei, prima che muoia, in dono il cuore. Il cuore diventa un cristallo e il film si chiude a loop.

Accolto al festival di Venezia del 2017 con sonori fischi Mother! è un film difficile perché giocato su più registri. C’è l’allegoria biblica: il poeta è Dio, la Madre è l’anima della Terra (la casa) i fanatici l’Umanità. Il cinema di Aronofski in effetti è ricco di riferimenti all’ebraismo (da Pi – il teorema del delirio, a Noah) qui commisti a elementi di stoicismo (la conflagrazione finale, l’Eterno Ritorno). C’è il registro ecologico innestato in quello delle relazioni di coppia: la generosità del poeta, un folle egocentrismo maschile contro cui il sano egoismo femminile è impotente, allude al nostro catastrofico stile di vita consumistico, espressione del patriarcato. C’è poi un registro più profondo: il poeta è un artista e la madre è il terreno della creazione, la casa del poeta, ossia l’Arte e il retaggio culturale simbolicamente racchiusi in un cristallo ricevuto in dono sacrificale e senza cui il processo artistico non può ricominciare, ogni volta simile ma diverso.

di Amedeo Liberti

Autore

  • È redattore de La Tigre di Carta. Dopo gli studi di Filosofia e in Analisi e Gestione dell'Ambiente e del Paesaggio, si dedica alla sua terza grande passione assieme a Pensiero Teoretico ed Ecologia, fare il videomaker. Un suo corto "La Banalità Del Mare" è stato accettato al XIII Siena Short Film Festival. Oggi lavora come proiezionista per la Fondazione Cineteca Italiana. In pratica è sempre al cinema.