Amore e guerra nel Don Giovanni di Mozart

Alle radici di un mito occidentale

giovanni

Il mito di Don Giovanni appartiene alla modernità occidentale in ogni suo aspetto. Si tratta di una vicenda legata ad un contesto storico e culturale ben preciso, che nasce da un lato come espressione della profonda crisi delle istituzioni dell’Europa moderna e dall’altro come reazione ad un imposto rigorismo morale, cioè quello della Controriforma cattolica. La figura di Don Giovanni, per quanto controversa, riesce a far emergere alcune delle patologie distintive di una società che, attraverso la maschera di una finta armonia, cerca di assolutizzare i concetti di bene e male, di giusto e ingiusto, negando che tutto il sistema si basi sulla violenza e sulla forza.

Sembra impossibile, dunque, un collegamento tra questo mito e i concetti di armonia ed equilibrio, principi che soprattutto nella cultura orientale regolano la natura delle cose. Tuttavia, è proprio questa operazione filosofica che può gettare un po’ di luce sul cosiddetto “angolo oscuro” della commedia nera di Don Giovanni: individuare un’analogia tra il macrocosmo delle leggi della natura e il microcosmo delle relazioni umane.

Jean Rousset individua tre elementi costitutivi del mito: il morto, l’incostanza dell’eroe, il gruppo femminile. Se la tradizione dà la priorità al Convitato di pietra e, negli ultimi due secoli, alla figura di Don Giovanni, ritengo che ragionare sul gruppo femminile sia di vitale importanza per comprendere il senso profondo di questo mito e, di conseguenza, rovesciarne la lettura tradizionale. In questo senso, diventa interessante riflettere sul “ricettivo” rispetto al mito di Don Giovanni, in particolare nella versione di Mozart e Da Ponte: in quest’opera, infatti, «i personaggi femminili sono così pieni di odio e di violenza vocale, che ci troviamo spesso urtati e indotti a neutralità. […] Tutto quello che c’è di musica appassionata nell’opera appartiene a loro, ed è sempre passione di donne arrabbiate o ferite. Mozart vede la guerra tra sessi ugualmente brutta da entrambe le parti»[1]. L’amore qui, parafrasando Clausewitz, è la prosecuzione della guerra con altri mezzi.

giovanni ritratto Henrietta

Il fallimento romantico del mito di Don Giovanni deriva essenzialmente dalla negazione della reciprocità della violenza: considerare Don Giovanni come io immediato nel suo rapporto con il soprannaturale, prescindendo dalla dimensione collettiva e politica della vicenda, ha come conseguenza una separazione netta tra carnefice e vittime, in una comunità la cui armonia viene minata dalla condotta eccezionale di un singolo individuo. La dimensione didattica e morale della punizione finale, nella storia del mito, ha sempre avuto un’importanza decisiva, rifacendosi ad una teologia che garantisce la trascendenza del sistema giudiziario nel suo complesso, mascherando dunque la vendetta con la sacralità delle accuse, togliendo agli antagonisti ogni responsabilità: l’omissione del concertato conclusivo nell’Ottocento è la dimostrazione della tendenza romantica a nascondere tanto il meccanismo della vendetta quanto il fatto che questa nasca necessariamente dal confronto con gli altri. Separare in modo netto carnefice e vittima, chi agisce da chi subisce un’offesa, in questo caso, significa dare un giudizio morale definitivo e insindacabile, legittimando la condanna di Don Giovanni, un sacrificio necessario per il recupero della pace e dell’ordine.

Si può affermare, al contrario, che nel Don Giovanni di Mozart l’intreccio prende vita dallo scontro violento tra azione e reazione: ogni riflessione critica su quest’opera deve partire da questo elemento. Le comunità umane, insegna Girard, hanno bisogno di distinguere i buoni dai cattivi, i giusti dagli ingiusti, i carnefici dalle vittime: il pensiero occidentale, in particolare, è abituato a pensare quasi tutto per sfere separate, anche le cose che riguardano la morale e le relazioni. Nel caso specifico di Don Giovanni non ci sono dubbi sul fatto che sia il gruppo femminile, prima ancora dell’intera comunità, a ricevere un’offesa. La passione del protagonista minaccia poi di infrangere alla base tutto ciò su cui si fonda qualsiasi accordo, necessario ad ogni essere umano che conduca una vita sociale: la concordia degli individui nel darsi delle regole da rispettare. Tutto quello che garantisce stabilità, come la fedeltà e la lealtà, vacilla.

Una riflessione sul significato profondo del “ricettivo”, mai inteso come passività, permette di superare questa dualità, questa distinzione nettissima tra carnefice e vittima. L’oltraggio di Don Giovanni in relazione alle donne consiste principalmente nella falsa promessa di matrimonio, istituzione che in quel contesto specifico rappresenta l’ordine, la fedeltà, il rispetto dei contratti. Tuttavia, in Mozart è evidente come tutti coloro che ricevono un’offesa, in un modo o nell’altro, non siano mai completamente passivi: se Donna Elvira è mossa dalla gelosia, Donna Anna è accecata dal desiderio della vendetta della morte del padre. Don Ottavio le dice «hai sposo e padre in me», ma subisce egli stesso un vero e proprio ricatto morale, che lo porta a cadere nello stesso meccanismo vendicatorio, demolendo l’unica barriera che lo separava da Don Giovanni, cioè la legalità: finché non vendicherà la morte del Commendatore, non potrà sposare Donna Anna. Zerlina, dopo essere stata sedotta, seduce a sua volta Masetto, scaricando la colpa di un’eventuale tradimento su Don Giovanni e sul suo potere persuasivo.

Giulia Grisi nel ruolo di Donna Anna

In una lettura non romantica[2], girardiana, del Don Giovanni di Mozart e Da Ponte, si può notare come tra primo e secondo atto avvenga un ribaltamento della direzione delle forze in campo: nel finale del primo atto, in particolare, si assiste a quella che Girard chiama «crisi di indifferenziazione», che innesca una vera e propria caccia all’uomo.

Gli opposti di quest’opera, passione e ragione, vita e morte, amore e guerra, legalità e giustizia privata, comico e tragico, non esistono singolarmente, ma sono ricondotti ad unità, intesi come polarità di un grande “unico”: sono fasi complementari e mai esclusive di quel principio che anima la vita. Le relazioni umane sono rappresentate come dotate di una dinamicità intrinseca e Don Giovanni, nel bene e nel male, mette in evidenza tutta la loro mutevolezza, con la sua lotta alla fissità della norma e delle convenzioni. Tutto quello che c’è di più vivo, di più vero e autentico, in questa vicenda, nasce essenzialmente dal conflitto.

Al di là di ogni giudizio morale sulla condotta di Don Giovanni, l’insegnamento più grande di quest’opera si può trovare nel concertato finale della scena ultima, non nell’«antichissima canzon», ma nella mancata riconciliazione: questa, infatti, mette in evidenza una verità fondamentale, cioè che il recupero della pace e dell’ordine attraverso una condanna a morte, fisica o spirituale che sia, è sicuramente una menzogna, e probabilmente non si può definire un atto giustizia. L’intuizione, quindi, è quella di interpretare l’opera come

uno specchio di quella cosa meravigliosa che è la vita, con tutte le sue innumerevoli diversità, il fatto degli uomini che si amano, si detestano, si combattono, si ingannano, si aiutano, si sacrificano, fanno le cose più strane, più pazze e più naturali, e tutte, anche le più strampalate, con una coerenza interiore insita nella trama della loro coscienza individuale, così e così fatta, imprevedibilmente diversa da creatura a creatura, per cui appunto accade che la vita sia così meravigliosamente diversa e che gli stessi fatti che sempre accadono quando l’uomo è sulla faccia della terra, in realtà siano ogni volta nuovi, perché non sono mai esattamente uguali gli individui che ogni volta si amano, si ritrovano, si lasciano, vanno in chiesa a sposarsi, contrattano un mercato, scendono sul terreno a duellare, fanno la guerra, fanno l’amore, piangono, ridono, nascono, muoiono[3].

Note
[1] I. Singer, Mozart and Beethoven: The Concept of Love in Their Operas, Cambridge, Mit Press, 1977, p. 48.
[2] M. Bianchi, Per una lettura non romantica del Don Giovanni di Mozart, in «In Circolo. Rivista di filosofia e culture», n. 11 (2021), pp. 421-442.
[3] M. Mila, Lettura del Don Giovanni di Mozart, Milano, BUR, 2011, p. 40.

di Matteo Bianchi

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