Ulisse e il Bronx

L’Odissea e The Warriors, due opere agli estremi opposti della cronologia, raccontano le stesse rinunce e gli stessi ritorni

«L’astuto sopravvive solo a prezzo del proprio sogno che egli paga disincantando se stesso come le potenze esterne. Proprio egli non può mai avere il tutto, deve sempre sapere aspettare, aver pazienza, rinunciare».
T. W. Adorno, M. Horkheimer, Dialettica dell’illuminismo

«Guarda che posto di merda. E abbiamo combattuto tutta la notte per tornarci.»
Swan dei Warriors

Nessuno ha incarnato e forse ancora oggi incarna la figura dell’eroe per eccellenza come il Signor Nessuno per antonomasia: Odisseo, ovvero, Ulisse (per noi) ma anche Outis (per i Ciclopi). Fin da Omero l’eroe, almeno quello astuto, ha molte identità. Ulisse secret agent Zero Zero Zero. Sarà per questo che come Bond – James Bond – ha affascinato a ogni latitudine. Persino il persiano Aladino ha tratti dell’eroe acheo. Anche Aladino deve fingersi un altro e, ad esempio, deve saper gestire i desideri che gli sono concessi (al massimo tre) così come Ulisse deve incatenarsi alla nave e non cedere al desiderio suscitato dal canto delle sirene.

Ulisse, infatti, rappresenta l’individuo che sa controllare le pulsioni, che sa rinunciare e immolare i propri sogni all’altare di se stesso. Horkheimer e Adorno non solo fanno di Ulisse il modello esemplare della formazione del Sé (da un punto di vista psico-evolutivo l’Io freudiano è una specie di Odisseo tra la Cariddi dell’Es e la Scilla del Super-Io) ma vedono in Ulisse che ascolta il canto delle sirene (e sopravvive) una metafora del rapporto del Potere col Sapere. La conoscenza è Potere. Ulisse accede a un sapere, il canto delle sirene, il cui ascolto è negato agli uomini comuni (pena la morte); ma non si tratta di un accesso a conoscenze elitarie, quanto del fatto che il vero potere sta nell’autocontrollo, nel sacrificio di sé, nel saper rinunciare. L’eroe dell’Odissea sa che l’appagamento dei desideri può e talvolta deve essere rimandato a tempi migliori e che, in ogni caso, il desiderio va subordinato alla sopravvivenza. Tanto che Horkheimer e Adorno vedono in Ulisse anche il capostipite della mentalità borghese. In quest’ottica, le rinunce di Ulisse sarebbero delle rappresentazioni dei risparmi dei borghesi, degli accantonamenti di denaro del Capitalista.

L’eroe non è ancora uno dei “buoni”. L’etica di Ulisse non si distingue affatto da quella di un “cattivo”. Nell’Iliade fa lapidare Palamede, un compagno d’armi, solo perché è l’unico che rivaleggia con lui in astuzia e, nel tornare a Itaca, Ulisse e i suoi non ci pensano due volte a razziare città e violentare donne. Unico elemento che distingue Ulisse dai compagni è proprio il fatto che egli non s’abbandona mai completamente al piacere. Così non è poi una sorpresa scoprire che The Warriors – I Guerrieri della Notte (1978) ha elementi del racconto omerico anche se è incentrato su figure criminali. Sorprende invece – visto che Ulisse è l’esatto opposto di un seguace del precetto di Neil Young secondo cui è «meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente» – che a far le veci dell’eroe omerico in The Warriors ci sia uno sbarbatello vestito da hippie a Woodstock.

I Warriors sono una gang di New York che partecipa a un raduno di bande organizzato da Cyrus, leader criminale ambizioso. Tra le altre “tribù di quartiere” ci sono: i Riffs (in gergo “gentaglia”), molto organizzati (ricordano a tratti le Black Panthers); i Baseball Furies (vanno in giro vestiti da giocatori di baseball armati di mazze); i Thurnbull Ac’s (skinheads); le Lizzies (gang femminile); i Rogues (un po’ Rusty il selvaggio e un po’ nazisti) e i Punks (monellacci ipertrofici). Cyrus vorrebbe organizzare le varie bande giovanili di New York, di norma divise e rivali, per prendere tutti insieme il controllo della città e gestire direttamente lo spaccio di droghe, ma viene inaspettatamente ucciso. La colpa dell’omicidio è fatta ricadere sugli incolpevoli Warriors che, braccati sia dalle altre bande sia dalla banda della Legge (la polizia), devono cercare di tornare nel loro territorio (Coney Island) attraversando in una notte interi quartieri ostili.

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Fin qui, si dirà, c’è poco dell’Odissea. In effetti il nostos a cui si riferisce il film non è solo quello di Omero, ma anche quello del Senofonte dell’Anabasi. The Warriors è una riedizione degli spartani di Senofonte che tornano in patria a guerra persa. Perché il ritorno dei Warriors a Coney Island è, di fatto, una metafora del ritorno a casa di tutta una generazione all’indomani del Vietnam. È il racconto di una gioventù che è stata portata dallo Zio Sam a combattere la guerriglia in Indocina e che poi, invece, la guerriglia se l’è portata dietro con sé. Una gioventù dimenticata e tradita che fa riemergere in territorio domestico il trauma della sconfitta e, come in un acting out psicanalitico, rivive il Vietnam per le strade di New York (o di Los Angeles) nei vari ghetti e nei vari Bronx.

La generazione ingannata, insomma, inizia a pensare che i veri nemici non siano i Viet, ma altri americani. È significativo che la prima banda da affrontare siano gli Orphans, la cui divisa è una maglietta dei Marines. Così come è significativo il canto che il capo dei “cattivi” del film, i Rogues (“canaglie” come tutti i nemici degli USA) intona per sfidare i Guerrieri nel finale: «Guerrieri, giochiamo a fare la guerra?». Gli elementi omerici del film, invece, stanno tutti nelle figure femminili e, in particolare, nel rapporto che il protagonista, il misogino Swan, intrattiene con la sensuale e troppo disponibile Mercy che, nel film, incarna il ruolo di tante donne omeriche: Elena[1], Calipso e, infine, Penelope. Come nell’Odissea il pericolo non si trova solo tra le braccia armate, ma anche fra le tentazioni del bel sesso, così i Warriors devono sopravvivere anche alle seduzioni pericolose di donne fatali che incontrano lungo la strada del ritorno.

Il primo a scoprirlo è Ajax, rivale interno alla banda di Swan, che finisce arrestato da una poliziotta in borghese ingannatrice come Circe per non aver saputo evitare di fare il porco; ma le sirene sono in ogni donna del film, come scopriranno alcuni dei Guerrieri nel covo della gang femminile delle Lizzies. L’unico che resiste alle avance e alle profferte di Mercy è appunto Swan. È lui a incarnare Ulisse proprio perché è l’unico che sa rimandare al momento giusto la realizzazione dei desideri, l’unico che antepone a tutto il ritorno a casa.

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Se l’eroe omerico, come detto, è colui che procrastina i desideri, dato che il desiderio di Ulisse è quello di tornare a Itaca, non c’è poi da stupirsi che ci metta vent’anni per realizzarlo. Swan ci riesce invece in una notte. Forse il desiderio del ritorno a casa di Ulisse non è, in realtà, altro che il desiderio di Penelope che il proprio uomo torni a casa. Nella civiltà greca, la compartimentazione tra i sessi era tanto marcata quanto lo è nell’islam tradizionale. Possiamo quindi far correre l’immaginazione e pensare che l’Odissea sia stata, se non addirittura scritta da una donna (una Penelope che disfa e rifà la trama del romanzo come fa la regina di Itaca col suo arazzo?), probabilmente compilata per le donne. Dal lato maschile della casa si ascoltava l’Iliade, in quello femminile l’Odissea. Se è così, allora, è chiaro che il desiderio di Ulisse, che costa tante rinunce, è in realtà una proiezione dei timori e dei desideri di Penelope: Ulisse è morto? No, trattenuto da altre braccia… ma se la rinuncia è l’altro grande leitmotiv dell’Odissea, assieme al nostos, ossia al ritorno, è proprio la rinuncia a segnare la differenza tra il ritorno di Swan e quello di Ulisse.

Non c’è nessuna Penelope ad aspettare Swan, nessun palazzo reale, nessuna patria. Sebbene al suo arrivo egli debba affrontare i suoi Proci, i Rogues che l’aspettano al varco, il desiderio di ritorno di Swan, le sue rinunce, non sono dettate da alcuna nostalgia di o per una Penelope, ma solo da necessità di sopravvivenza. L’America che l’aspetta non è Itaca, ma un posto di merda in cui gli uomini, armati di spray, marcano i muri come cani.

Note

[1] È Mercy, ad esempio, che spinge gli Orphans ad attaccare i Warriors.

di Amedeo Liberti

Autore

  • È redattore de La Tigre di Carta. Dopo gli studi di Filosofia e in Analisi e Gestione dell'Ambiente e del Paesaggio, si dedica alla sua terza grande passione assieme a Pensiero Teoretico ed Ecologia, fare il videomaker. Un suo corto "La Banalità Del Mare" è stato accettato al XIII Siena Short Film Festival. Oggi lavora come proiezionista per la Fondazione Cineteca Italiana. In pratica è sempre al cinema.