Tra le strofe degli Ainur

Il Ritorno nelle canzoni di Tolkien

«Sono tornato» disse.
(Explicit de Il Ritorno del Re)[1]

A ben vedere, le opere di J.R.R. Tolkien abbondano di ritorni. Ritorna un Re Sotto la Montagna alla Montagna Solitaria. Ritorna un Re degli Uomini sul trono di Gondor. Ritornano gli Hobbit nella Contea, trovando nuove prove da affrontare prima di poterla dire “casa”. Ritornano gli Elfi a Ovest del Mare, lasciando per sempre la Terra di Mezzo. Eppure, si è spesso tentati di leggere le avventure di Bilbo Baggins e di suo nipote Frodo come storie di partenza e di fuga dal quotidiano, come un invito a inoltrarsi nell’ignoto spinti da un mago con il gusto dell’avventura.

Tuttavia, si fraintenderebbe il senso profondo di questo invito se non ci si accorgesse che il “là” (there) indicatoci s’intreccia sempre a un “ritorno” – un onnipervasivo “qui di nuovo” (back again) – che attraversa tutta la narrazione e la poetica del professore di Oxford.

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Nella sua semplicità, questa grammatica che lega “partenza” e “ritorno” presenta però alcune problematicità interpretative. Il back e il return che coronano l’architettura narrativa de Lo Hobbit e de Il Signore degli Anelli vanno forse intesi come un “ritorno al principio”, come la restaurazione circolare di un ordine primordiale? D’altronde, sarebbe questa un’idea di “ritorno” affine alle letture tolkieniane della prima tradizione critica italiana che, rifacendosi alle tesi simboliche ed esoteriche di Julius Evola e Furio Jesi, monopolizzarono il dibattito nostrano sulla Terra di Mezzo nell’alveo di una cultura di estrema destra[2], che ancora oggi vede riproposte frasi come «Le radici profonde non gelano [mai]» (Deep roots are not reached by the frost[3]).

A questa concezione circolare del “ritorno” può tuttavia essere opposta un’idea più articolata, per la quale, dietro all’ottica restaurativa del “qui di nuovo”, vigerebbe una peculiare e costante linea di sviluppo come anima del romance tolkieniano.

È però forse possibile rintracciare un riflesso di questa cifra poetica nella struttura delle canzoni con cui Tolkien correda la prosa dei suoi due romanzi. D’altronde, se nella finzione il mondo di Arda è stato creato sulla base del grande canto dei semidivini Ainur, si può supporre con una fantasia ermeneutica che il legendarium tolkieniano affondi le proprie radici nei versi che lo accompagnano.

I canti di Tolkien abbondano infatti di versi ricorrenti che legano alcuni componimenti l’uno all’altro.

Uno dei maggiori esempi di rime che “ritornano” è la canzone dei nani all’inizio de Lo Hobbit, intonata alla vigilia del loro viaggio (TH, p. 14):

[A] Far over the misty mountains cold,
[B] To dungeons deep and caverns old,
[C] We must awake, ere break of day
To seek the pale enchanted gold.

Dopodiché, nel momento in cui riprendono possesso della loro dimora nelle sale della Montagna Solitaria, tra le strofe cantano i versi (TH, p. 240):

[A1] Now call we over mountains cold,
[B1] ‘Come back unto the caverns old’!

La riproposizione delle rime accade proprio a compimento dell’impresa, ma con una differenza radicale: stavolta le parole sono rivolte a tutto il popolo dei Nani, per invitarlo a intraprendere il viaggio già compiuto dal loro re. Se la prima occorrenza guidava il ritorno alla Montagna della sola compagnia di Thorin Scudodiquercia per sfidare il suo nemico Smaug, ora l’avventura si fa esodo, e diventa il richiamo per l’intera genìa contro la schiera dei propri nemici. Gli esuli hanno smesso di essere tali, e il calco dei versi segna uno sviluppo narrativo fondamentale del romanzo, decretando un ampliamento del teatro dello scontro.

La ripresa dei versi di Far Over The Misty Mountains Cold non si limita alle pagine de Lo Hobbit. Ne Il Signore degli Anelli, infatti, gli Hobbit in partenza da Criconca intonano un canto «composto sulla falsariga della canzone dei Nani»[4], che recita:

[D1] Farewell we call to hearth and hall!
[E1] Though wind may blow and rain may fall,
[C1] We must away ere break of day
Far over the wood and mountain tall.

La canzone (LOTR, p. 106) non si limita a riproporre uno dei versi sopraccitati, ma lo raccorda anche al: [D] «Upon the hearth the fire is red / Beneath the roof there is a bed» del canto Let them pass! di Bilbo (LOTR, p. 77), per parafrasare dopo qualche verso persino la chiusura del suo The Road Goes Ever On And On (LOTR, p. 35), rimodulata a sua volta sull’attacco del canto del suo ritorno alla Contea in The Hobbit (TH, p. 273)[5].

È questa canzone a sancire l’inizio solenne dell’impresa dell’Anello, presenti tutti e quattro gli hobbit di cui Tolkien narrerà le gesta, pronti a partire oltre i confini a loro noti; il maestro di Oxford sottolinea l’importanza del momento inserendo la loro “apertura all’ignoto” come in coda al “già noto” ereditato dai canti di Bilbo, che fungono da motore al coraggio di Frodo e dei compagni per uscire dalla Contea. Ancora una volta, però, l’obiettivo del viaggio ha assunto una portata più ampia e, se da uno hobbit solitario si è passati a quattro, è vero che Bilbo «forse non è così singolare e unico»[6] come si poteva presumere dalle vicende del libro precedente.

Ancora una volta il ricorrere di uno stilema costituisce in Tolkien un’integrazione a un significato dato per appurato al principio, che ne rinnova completamente la portata. Non siamo dunque di fronte a un mero parallelismo formale, a una pura “riproposizione del medesimo”; si tratta bensì di una struttura d’ordine nella quale il procedere di un ritmo uniforme costituisce una continua linea di sviluppo del senso complessivo proposto dal mondo della Terra di Mezzo.

Seguendo l’ipotesi di lavoro iniziale, la struttura con cui Tolkien compone i suoi versi è dunque un analogo del modo in cui va a costituire il senso degli eventi narrati, facendo sì che avvenimenti “minori” siano il metro per permettere di avvenire a quelli “maggiori”, assumendo una visione classicamente organicista[7] per cui gli elementi di rinnovamento e di sviluppo non sono estrinseci al mondo destinato a cambiare, ma sono già celati al suo interno sotto una veste dall’apparenza non immediata. Solo al mutare del contesto lo stesso elemento acquisisce dunque un nuovo significato che, difatti, prima non poteva essere compreso appieno.

La Terra di Mezzo non esprime dunque la nostalgia per un’arcadia perduta, ma la paziente opera di chi sa che nel presente abitano le radici di un senso che, sebbene non ancora noto, è da compiersi. Gli eventi immaginati da Tolkien non si impongono perciò con il gesto eccezionale di un eroe capace di restaurare uno stadio primordiale ed essenzialmente predeterminato, ma mediante la rilettura di dettagli apparentemente marginali con cui l’essenza originaria del suo mondo continua a esprimersi nei propri mutamenti, dai quali viene però a sua volta rinnovata.

Se dunque al legendarium del maestro di Oxford è sottesa un’ispirazione musicale, essa è ben distante dalle suggestioni aristocratiche e reazionarie del dionisiaco nietzschiano – accostandosi forse meglio a un immaginario di linee armoniche più familiare al mondo neoplatonico del De Musica e del De Ordine agostiniani. Non impera più il mondo dell’Anello wagneriano, dove gli dèi muoiono di fronte al sacrificio superomistico di Siegfried; in quello degli Anelli di Tolkien, gli autori della “Grande Musica” sanno aiutare gli Uomini Perituri a intraprendere la propria libera via rimodulando la propria presenza rima dopo rima, strofa dopo strofa, ritornello dopo ritornello.

Note

[1] J. R. R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, a cura di Q. Principe, Bompiani, Milano 2001.

[2] Wu Ming 4, Difendere la Terra di Mezzo, Odoya, Città di Castello 2013.

[3] La notizia della citazione tolkieniana da parte della sezione calabrese di CasaPound è dello scorso 19 giugno, dalle pagine di La Repubblica. L’originale di Tolkien (LOTR, p. 170) ha un intento ossimorico che si perde nella traduzione.

[4] J. R. R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, tr. it. di O. Fatica, Bompiani, Milano 2019.

[5] Nonché il verso [E] «Rain may fall and wind may blow» di una canzone da bevuta intonata da Frodo, Sam e Pippin durante il cammino nella Contea (LOTR, p. 90).

[6] J. R. R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, tr. it. cit.

[7] Ove per “organicismo” si intende un sistema causale che spieghi la parte con il tutto, e viceversa.

Tutte le citazioni in inglese delle canzoni sono tratte da

  • TH: J.R.R.Tolkien, The Hobbit. Or there and back again, Harper Collins, Londra 2011.
  • LOTR: J.R.R.Tolkien, The Lord of the Rings, Harper Collins, Londra 2007.

di Roberto Rossi

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