L’attesa

Penelope e il disturbo ossessivo compulsivo: una trama classica sull’ordito di una teoria moderna

Una delle immagini più potenti dell’Odissea è Penelope che tesse e disfa ogni giorno il lenzuolo funebre per Laerte. Uno stratagemma su cui si può ricamare molto; sembra quasi, alla lettura, che ci sia nella moglie di Ulisse una sottostante “coercizione al ripetere”: in un modo strano, il gesto di Penelope ricorda quello che farebbe una persona affetta da Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC). Infatti, in questo disturbo, abbiamo una coercizione a ripetere qualcosa, che sia un pensiero o che sia un gesto, atta a dare un ordine alla realtà, così da averne un pieno controllo. E poi viene la compulsione, sotto forma di stratagemma con la funzione di gestire l’ansia, di placarla, come vedremo.

Il più delle volte quest’ultima non funziona, perché l’ossessione è troppo forte, ma soprattutto diventa via via proteiforme: può essere un’idea, uno stato d’animo o una sensazione intrusiva e ricorrente che si ripete costantemente.

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Per capire l’entità del fenomeno nella nostra contemporaneità sono utili alcuni dati epidemiologici: il DOC è un disturbo che colpisce una percentuale stimata tra il 2-3% della popolazione generale. Alcuni studi hanno stimato una percentuale di gran lunga maggiore, il 10%. Questi dati mostrano come esso sia il quarto disturbo psichiatrico per frequenza. L’esordio clinico è in genere tra i 19 e i 22 anni; i maschi hanno un esordio più precoce rispetto alle donne.

Il DOC può esordire anche nell’infanzia (sono stati descritti casi di esordio della malattia a 2 anni). Sono numeri non trascurabili, soprattutto se si considera che dietro di essi si celano persone che spesso soffrono molto.
Per entrare nelle dinamiche di questa patologia è utile concentrarsi su diverse parole tematiche che la rappresentano: tempo, dubbio e angoscia.

Il tempo

L’eterno ritorno sulle proprie azioni condiziona con forza il proprio tempo, poiché si manifesta con una coercizione a ripetere che impedisce all’individuo di muoversi, di agire, di esistere. Ripensando al mito, si potrebbe immaginare che la coercizione a ripetere di Penelope sia legata all’ossessione che il marito sia vivo e che per questo sia necessario tentare di fermare il tempo, impedirgli di scorrere, così da rimanere attaccata all’aspettativa che un giorno lui tornerà. E il lenzuolo funebre eternamente ricomposto è una figura allegorica della morte di Penelope, ossia della sua volontà di compartecipare alla morte di Laerte e, allo stesso modo, a quella ipotetica di Ulisse.

Il dubbio

Nel DOC il dubbio è una costante, è la base della patologia. Si ripete di continuo: parte come un’insidia di poca importanza, ma poi si avvinghia a ogni pensiero, ne percuote il ritmo che, a poco a poco, comincia a fermarsi in un silenzio assordante. Può essere il dubbio di aver chiuso o meno la porta, di aver lasciato la luce accesa o di aver dimenticato qualcosa, o il dubbio di poter fare del male a qualcuno. Nei casi più gravi questo dubbio diventa una ragnatela inestricabile, che finisce col ricamare costantemente dubbi su dubbi in un castello di incertezze che si autoalimenta.
Nel DOC l’automatismo non è contemplato, non è accettato, bisogna essere sicuri di aver fatto quel gesto, bisogna fare in modo che l’automatismo cessi di essere tale; questo atteggiamento è figlio di una ricerca spasmodica di controllo sulla situazione o sull’ambiente. Il dubbio subentra all’interno dell’automatismo: la ripetizione ossessiva, l’eterno ritorno sui propri passi, non permette all’individuo di andare avanti. È un costante aggrapparsi al controllo del mondo attorno.
In Penelope è forte il dubbio, costantemente riproposto dentro di sé: Ulisse è o non è vivo? Tornerà? Un dubbio che la tormenta e la fa ritornare sempre su quel telo funebre, quasi un ritessere con esso la propria fedeltà al fatto che il marito ritornerà.

L’angoscia

Immaginatevi di avere un pensiero improvviso, che scaturisce dal nulla mentre state passeggiando amabilmente per Milano, e che questo pensiero cominci a martellarvi di continuo, facendovi sentire in una tensione costante, irresistibile, conducendovi a uno stato d’ansia incredibile: questo è il pensiero intrusivo.
Il paziente in genere è angosciato, e a buon diritto! Bisogna prestare in questo caso particolare attenzione all’insight di malattia, ossia la coscienza di essere malati. Si possono riscontrare tre gradi di insight: alto, in cui il paziente percepisce il fatto che i pensieri intrusivi sono esterni a sé, ossia ego-distonici, e quindi sa che i propri dubbi sono totalmente infondati; medio, in cui il paziente pensa che le ossessioni con tutta probabilità siano infondate; basso, in cui il paziente è convinto delle proprie ossessioni e le reputa non solo fondate, ma anche reali. In quest’ultimo caso si può assistere a delle vere e proprie psicosi, poiché si è in presenza di un pensiero il cui contenuto stesso è delirante. A queste ossessioni seguono le compulsioni, ossia dei riti, dei gesti, dei comportamenti codificati, volti a placare l’angoscia data dai pensieri intrusivi.
In Penelope l’angoscia predomina: l’ansia che il marito non torni la porta a essere totalmente imbevuta di insicurezze e incertezze, di cui ricolma la tela, una sorta di totem, un modo per ritardare l’accettazione di una possibile realtà drammatica, ossia che il marito sia morto. Una morte nella morte, simbolizzata dal lenzuolo funebre.

Per concludere vorrei aprire una parentesi che ritengo importante. Le patologie psichiatriche stanno avendo un incremento impressionante in termini di incidenza e prevalenza. Per questo, nell’ambito medico, queste patologie richiedono un’attenzione particolare: vanno riconosciute e indirizzate per tempo, di modo che siano trattate adeguatamente. Gli effetti della passata trascuratezza rispetto a tali patologie si vede nel fatto che spesso, in reparto, molti pazienti si scoprono affetti da patologie psichiatriche solo in età molto avanzata, con tutte le conseguenze del caso (prolungamento dei ricoveri, scarsa collaborazione del paziente, terapie spesso inefficaci perché non assunte in modo adeguato ecc.).

Il ritorno, tema di questo numero, bene si presta a essere trattato insieme al DOC, ma in realtà ogni patologia psichiatrica sta vivendo una forma di ritorno: grazie alla riforma Basaglia e alla chiusura dei manicomi, sta emergendo quanto sia stato poco lungimirante trascurare le patologie psicologiche nell’ambito clinico, vista l’alta frequenza delle stesse. Infatti, tali patologie stanno tornando protagoniste nell’ambito della Sanità Pubblica e verranno tenute in considerazione sempre di più. Questo aspetto è molto interessante perché mostra come nell’ambito patologico tutto sia in evoluzione, e lo diventa ancora di più se si considera come da parte del curante sia fondamentale l’ascolto del paziente. Bisogna riflettere e ritornare anche su singole parole, che diventano come delle porte da cui scaturiscono dei dettagli fondamentali per formulare una diagnosi. Non so se Penelope fosse una donna Ossessivo Compulsiva – sinceramente non credo! Tuttavia, questo episodio del poema omerico mi ha facilitato nello strutturare un articolo medico dedicato al DOC: l’eterno ritorno su un manto funebre, il pensiero angosciato di dover avanzare nella propria esistenza, il tentativo disperato di cristallizzare il tempo con stratagemmi complessi e articolati. Tutti elementi che si possono osservare ogni giorno, in moltissime persone. Eugenio Borgna, psichiatra fenomenologico, una volta ha detto che tutti abbiamo dei sintomi psichiatrici. E penso che ciascuno di voi abbia potuto osservare come tante cose che ho descritto, in misura minore, siano sentimenti e comportamenti esperiti diverse volte nelle nostre vite e, per così dire, normali. Allora dove sta il limite? Nell’eterno ritorno verso lo stesso identico gesto. Come quello di Penelope che ritesse ogni giorno il medesimo lenzuolo. Un eterno desiderio di ripetizione che ferma l’esistenza, blocca ogni rapporto e rende la vita impossibile.

Per approfondire

B. J, Sadock, P. Ruiz, V. A. Sadock, E. Sacchetti, H. I. Kaplan, G. De Rénoche, C. S. Pataki e N. Sussman, Kaplan & Sadock’s Sinossi di psichiatria: scienze del comportamento, psicologia clinica, Piccin, Padova 2018.

di Victor Attilio Campagna

Autore

  • Tre anni di Lettere Antiche, ora a Medicina e Chirurgia. Per non perdere l'identità si rifugia nella letteratura, da cui esce solo per scrivere qualcosa. Può suonare strano, ma «Un medico non può essere tale senza aver letto Dostoevskij» (Rugarli).