Nell’arte giapponese i colori oro e rosso rappresentano fortuna, ricchezza e potere ed erano impiegati soprattutto nella pittura della scuola Kanō. Blu e viola, delicati ed eleganti, erano invece colori rappresentativi dell’arte ukiyo-e.
Oro (金色, kiniro)
L’arte ufficiale della scuola Kanō aveva scopo decorativo ed era legata all’aristocrazia militare. Tra i suoi pittori più rappresentativi vi fu Kanō Eitoku, a cui è attribuito lo schermo a otto pannelli Alberi di cipressi (XVI-XVII secolo).
L’uso di sfondi dorati nei dipinti è a volte talmente pervasivo che tende a un abbagliante monocromo.
Rosso (赤, aka)
Il rosso ha un valore più ambiguo: è il colore del sangue e del fuoco, ma, su influenza della cultura cinese, significa anche vigore e fortuna.
Viene impiegato a piccoli tocchi per esaltare il piumaggio degli uccelli, i petali dei fiori, le vesti sontuose, come nei pannelli attribuiti a Kanō Naganobu che raffigurano l’Imperatore Ming Huang e la concubina Yang Guifei (XVI secolo).
Blu (青, ao)
A differenza della scuola Kanō, lo stile ukiyo-e, “immagine del mondo fluttuante“, aveva uno scopo più commerciale: era usato per poster pubblicitari e stampe destinate anche alla gente comune.
La stampa ukiyo-e più famosa di tutte, La grande onda di Kanagawa di Hokusai (1830-1831), fa un ampissimo uso del blu.
Il pigmento usato è il blu di Prussia, il primo colore sintetico della storia, importato in Giappone dai Paesi Bassi a partire dal 1820. Da allora dilagò una vera e propria “rivoluzione blu”, in cui si diffusero xilografie interamente in blu dette aizuri-e.
Prima di allora nell’arte giapponese venivano usati altri due colori: un verde-blu scuro derivante dall’azzurrite, che però aveva il difetto di tendere a sbiadire col tempo, e il prezioso indaco. Questo era stato il colore più nobile nella società giapponese sin dal periodo Heian (VIII-XII secolo) ed era il simbolo della famiglia reale.
Viola (紫, murasaki)
Il colore delle donne raffinate, delle vesti eleganti, della virtù, ma anche della complessità e del mistero: ne è un esempio il trittico di Utagawa Kunisada (XIX secolo).