Le nude fronde sotterranee: le piante pozzo

Esistono piante che possono essere considerate pozzi naturali?

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i sono in botanica e fisiologia dei tessuti e degli organi detti “pozzo”: sono tutti quelli non fotosintetici, che accumulano e diffondono nutrienti o li ricevono dal resto dell’albero o della pianta per accrescersi.

L’albero nella mitologia era considerato come l’antenato dell’umanità. Infatti gli alberi non erano ritenuti positivi per meri scopi utilitaristici o anche semplicemente rituali; erano letteralmente divinità, e venerati come tali. Il primo albero cosmico, l’Yggdrasill, è il frassino nel mito norreno. Il frassino cosmico sorregge i nove mondi coi suoi rami e i nove mondi a loro volta raccolgono l’universo intero. I suoi rami raggiungono il cielo, il tronco risiede sulla terra e le radici sprofondano fino ai più profondi inferi sotterranei. Secondo il Grímnismál, poema dell’Edda poetica e fonte della mitologia norrena, poggia su tre radici; una va verso il cielo degli dèi, un’altra dove risiedono i Giganti, la terza radice raggiunge il Niflheimr dove si trova l’uomo primordiale. Da questa nasce la fonte Hvergelmir (“Pozzo risonante”) da cui si dipartono tutti i fiumi esistenti. Le piante, quindi, sia nella mitologia che nella botanica, possono essere considerate come pozzi naturali, che si occupano dell’assorbimento di acqua e nutrimenti da trasportare poi a tutti i tessuti e gli organi della pianta stessa.

L’organo specializzato per questa funzione è la radice. Nelle piante a seme la prima radice si chiama primaria e da questa si sviluppano quelle secondarie o laterali, che costituiscono poi l’intero apparato radicale. Questo si divide in varie zone. Nella porzione terminale c’è la cuffia, costituita da cellule morte e statoliti, coinvolte nella percezione della gravità per la crescita delle radici nella giusta direzione. Le cellule in questa zona vanno velocemente verso la degenerazione, poiché si sfaldano per crescere in profondità. Nell’apice radicale si trovano cellule meristematiche, paragonabili alle cellule staminali animali, dalla cui attività mitotica prendono origine tutti i tessuti primari della radice.

Appena sopra l’apice meristematico si trova la zona di differenziazione, dove le cellule si diversificano e crescono per distensione aumentando le loro dimensioni. Verso la zona esterna si differenziano in cellule del rizoderma, tessuto primario di rivestimento e protezione della radice, mentre verso l’interno si distinguono protofloema e protoxilema, separati dal tessuto fondamentale. Le cellule di questi tessuti, durante l’accrescimento, passano da una forma poliedrica, tipica delle cellule meristematiche, a una forma tondeggiante che permette la formazione di spazi intercellulari. Grazie a questi spazi e alla parete primaria i tessuti radicali sono molto permeabili all’acqua, ai soluti disciolti e all’ossigeno.

Il cilindro radicale centrale presenta il sistema vascolare, strutturato in due tipi di tessuti: lo xilema, per la conduzione dell’acqua e nutrienti dalle radici al fusto e alle foglie apicali; il floema, invece, per il trasporto delle sostanze prodotte dal metabolismo delle foglie a tutta la pianta. Il corpo restante della radice è costituito da una struttura secondaria, i cui elementi si originano dall’accrescimento dei tessuti meristematici e formano lo xilema e il floema secondari. Lo stesso rizoderma si modifica e origina, nella zona più esterna, il sughero, che costituirà il tegumento della struttura secondaria.

Il tessuto vascolare delle piante è composto dai vasi, costituiti da cellule morte chiamate tracheidi o vasi chiusi e trachee o vasi aperti.

I due tipi di cellule si differenziano per l’ampiezza del lume: le tracheidi hanno un lume stretto e sono allungate, mentre le trachee hanno lume ampio e sono più corte. In base poi ai vari ispessimenti delle pareti possono esserci diversi tipi di vasi, ad esempio vasi anulati, spiralati, reticolari o punteggiati.

Un altro tessuto conduttore è quello cribroso, costituito da cellule e tubi cribrosi. È differente dal tessuto vascolare perché serve per il trasporto della linfa elaborata dalle foglie al resto della pianta, dove verrà utilizzata o accumulata in siti di riserva. Generalmente la funzionalità dei tubi cribrosi è limitata al periodo vegetativo.

Tutti i componenti vascolari e cribrosi sono riuniti nei fasci, quelli vascolari per lo xilema, e quelli cribrosi per il floema. Lo xilema primario si distingue in protoxilema e successivamente metaxilema, il primo costituito da pochi vasi, il secondo con una struttura molto più complessa e un maggior numero di vasi. Analogamente il floema primario comprende protofloema e metafloema.

Quindi il meccanismo di trasporto nel suolo e nello xilema prevede il movimento dell’acqua attraverso un flusso di massa in risposta al gradiente di pressione; perciò, quando l’acqua attraversa le membrane, la forza motrice che la spinge attraverso di esse è il gradiente di potenziale idrico.

Identificare le sostanze che vengono traslocate sia attraverso il tessuto floematico che quello xilematico è molto complesso. In alcuni studi sperimentali si utilizzano gli afidi: infatti questi piccoli insetti possono essere collocati in un esatto punto permettendo la perforazione del cribro in modo preciso, senza contaminazioni. In seguito si può procedere in due modi: o si attende che l’afide produca la melata (succo del cribro, elaborato però dal suo intestino e dal quale saranno stati rimossi dei soluti), oppure, dopo anestesia con CO2, vengono recisi i rostri dell’insetto e analizzato direttamente l’esudato, la cui contaminazione con la saliva dell’afide è trascurabile.

Nelle radici vi è quindi un flusso sia di nutrienti proveniente dal terreno che di prodotti metabolici dall’apice fogliare, ma non solo, poiché esistono radici con funzioni di riserva o di ancoraggio (avventizie).

Infatti, le radici possono specializzarsi in: radici tuberizzate per l’accumulo di nutrienti, pneumatofori o radici respiratorie che crescono verso l’alto negli ambienti acquatici e acquitrinosi, formazioni a mangrovie che sono utili per sollevare la pianta dall’acqua negli ambienti paludosi, austori, radici parassite che si innestano nel floema della pianta parassitata e radici contrattili funzionali per l’interramento della base del fusto.

Cipressi, Vincent Van Gogh, 1889, Collezione Brooklyn Museum. Calamo, matita e inchiostro su carta.
Cipressi, Vincent Van Gogh, 1889, Collezione Brooklyn Museum. Calamo, matita e inchiostro su carta.

Delle radici completamente diverse da quelle descritte e sicuramente opposte rispetto al mitologico Yggdrasill sono quelle del cipresso, che scendono a fuso in profondità nel terreno senza svilupparsi minimamente in orizzontale.

Il cipresso è l’albero legato al lutto. Associato già nella mitologia greca al culto dei morti, fu utilizzato dagli etruschi e dai greci come albero sacro funerario. Si trova nelle aree cimiteriali proprio per questo motivo e anche perché le sue radici non interferiscono con le zone di sepoltura. E così gli alberi in tutte le credenze e mitologie sono stati associati alla vita, alla morte, alla rinascita, alla saggezza e alla conoscenza. Non solo, gli alberi stessi hanno ispirato l’Alfabeto ogamico per la trascrittura delle antiche lingue celtiche. Ogni lettera ogamica corrisponde a un albero e a un preciso periodo del calendario. Dalla B di Beith (birch – betulla) alla Idad (yew – tasso) viene racchiuso il calendario e tutto il ciclo della vita. Il rimando del cipresso al regno sepolcrale sviluppa così la metafora del pozzo verso il tema degli inferi.

Bibliografia

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di Veronica Fiocchi

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