Universo pieno, universo vuoto

Galassie, ammassi e super-ammassi: appunti di cosmologia frattale

‹ Vai all’articolo precedente

… mi portava con sé per negozi di tappeti persiani, una delle sue grandi passioni. Mentre lui e i venditori contrattavano o dibattevano sulla qualità di certi pezzi, io mi divertivo a saltare da una montagna di tappeti all’altra, perdendomi nella morbidezza del tessuto, nell’odore umido che emanavano e nei colori gerarchicamente organizzati. Quei disegni sembravano volermi condurre in un percorso magico, fatto di passaggi segreti che aprivano a mondi paralleli. Le parole magiche per aprirli stavano nascoste qua e là nel disegno intessuto, con grafie arabeggianti. Mi piace pensare che anche gli scatti e gli effetti fotografici di Negar Takbiri siano partiti da simili esperienze, vissute in prima persona nel suo Iran: una realtà multi-sfaccettata, narrata da intrecci culturali e geometrie surreali di nodi di lana di pecora.

Tabriz persiano, Los Angeles County Museum of Art

Quel che più colpisce nella mise en abyme dei suoi scatti è l’alternarsi spasmodico di soggetto e sfondo, un avvicendamento strutturato di pieno e vuoto. Al di là di una tecnica fotografica o di un aspetto artistico, si tratta di una questione che può assumere sfumature prettamente ontologiche. L’argomento circa “cosa è pieno e cosa è vuoto” è rifiutato dalla concezione aristotelica (Natura abhorret a vacuo) ma è gestito con naturalezza dal taoismo (il vuoto è la condizione di possibilità di tutti gli eventi e quindi massimamente… pieno), e diventa un punto importante da affrontare per la scienza del Novecento.

La fisica quantistica in questo senso ha sposato una posizione vicina al punto di vista taoista. Nel mondo subatomico il vuoto è solo un’apparenza, in quanto pervaso da incessanti fluttuazioni energetiche che creano particelle e antiparticelle le quali subito – in un tempo inversamente proporzionale alla loro energia – si annichiliscono; allo stesso modo un sūtra recita: «La forma è vuoto, e il vuoto in realtà è forma».

Una rivisitazione da un’immagine dall’Osservatorio ESO di La Silla (Cile) in cui si individuano migliaia di galassie, su più distanze, che affollano un’area di cielo che potrebbe essere coperta da una luna piena. Oltre alle galassie e ad altre stelle, si riescono a distinguere anche traiettorie di diversi asteroidi.

Si interroga sul vero significato di pieno e vuoto anche quella fisica che si occupa di tutt’altre scale dimensionali. La cosmologia si propone di decodificare il pattern di distribuzione della materia nell’universo e la sua evoluzione nel tempo, una sfida che l’uomo ha potuto iniziare ad affrontare osservativamente solo in tempi piuttosto recenti. Osservando a occhio nudo il cielo stellato, a un primo sguardo le stelle sembrano distribuirsi in maniera uniforme sulla volta celeste. Negli anni Venti le galassie, fino ad allora considerate dei semplici “grumi” nebulosi di stelle, furono identificate da Edwin Hubble come oggetti celesti indipendenti dalla nostra galassia. Si notò nei decenni seguenti che le galassie sono in realtà raccolte a decine in ammassi di galassie, che dagli anni Ottanta sappiamo essere a loro volta strutturati in super-ammassi.

E i super-ammassi in cosa si aggregano? Se questa struttura a matrioska si ripetesse all’infinito, la materia luminosa non sarebbe distribuita in maniera uniforme: l’universo si rivelerebbe come un infinito alternarsi di pieni e di vuoti. Al contrario, il Modello Cosmologico Standard (che discende direttamente dalle equazioni della Relatività Generale di Einstein) poggia sul Principio Cosmologico: se su piccole scale l’universo appare disomogeneo, su ordini di grandezza sufficientemente grandi le disomogeneità tendono a scomparire e la materia è distribuita più o meno equamente nello spazio.

Nella comunità scientifica non manca chi ha messo in dubbio questa assunzione, considerata anche la difficoltà di trovarne la dimostrazione empirica definitiva. Con alcuni colleghi dell’Università La Sapienza di Roma, il fisico della materia Luciano Pietronero[1] ha proposto un modello di universo in cui la materia segue una geometria frattale, dove con ciò si intende un sistema apparentemente simile a qualunque scala lo si osservi (si parla di proprietà di autosimilarità): lo zoom di una sola parte rivela la stessa complessità della struttura nel suo insieme. Si tratta di un punto di vista controverso, ampiamente dibattuto negli ultimi decenni sulla base dei dati osservativi raccolti in diverse survey che hanno mappato un numero progressivamente sempre maggiore di galassie.

L’osservazione di strutture definite[2] come il super-ammasso Sloan Great Wall (osservato per la prima volta nel 2003), che si estende come un filamento per più di un miliardo di anni luce, è uno dei punti chiave su cui verte il dibattito: queste “ragnatele” circondano ampie regioni di spazio apparentemente vuoto, veri e propri pozzi di buio. Chi difende il Principio Cosmologico sostiene che zoomando in lontananza sarà possibile scorgere una maggiore omogeneità. Il gruppo di Pietronero, facendo leva sul fatto che il pattern frattale si starebbe già estendendo ben oltre le aspettative, celebra l’osservazione come l’ennesima prova della propria teoria.

Super-ammasso Sloan Great Wall

Andando a minare il Principio Cosmologico, queste osservazioni suggeriscono anche la necessità di nuovi modelli sulla formazione ed evoluzione delle strutture cosmiche. Secondo il Modello Cosmologico Standard, queste si sarebbero andate a formare secondo un processo bottom up, con una reazione a catena di collassi gravitazionali che hanno fatto aggregare dapprima le stelle in galassie, per poi raccoglierle in ammassi e super-ammassi. Mentre la materia collassava, lo spazio si espandeva: strutture su scale di grandezza troppo grandi dovrebbero esser state impedite dall’espansione. Secondo l’astrofisico francese Laurent Nottale ciò può invece succedere se lo spaziotempo stesso è a sua volta frattale.

Se vogliamo allora immaginarci un universo-matrioska dobbiamo pensare che a un certo punto il nostro universo sarà contenuto in un altro… universo. Al contrario di alcune teorie del multiverso, in cui diversi universi esistono l’uno “a fianco” all’altro in una qualche gigantesca struttura, il multiverso frattale contempla la possibilità che possano esistere universi di diverse scale di grandezza incastonati gli uni dentro gli altri. A questo proposito è spesso citato a paragone un brano dall’Auguries of Innocence di William Blake:

To see a world in a grain of sand
And a heaven in a wild flower,
Hold infinity in the palm of your hand,
And eternity in an hour.

In un modello frattale dell’universo, anche in un granello di sabbia può esser contenuto un altro universo. Quale opzione dunque per una descrizione cosmologica definitiva? Nei prossimi anni arriveranno forse risposte osservative in grado di fare una buona volta chiarezza? O potrà piuttosto servire un fine tuning di diversi modelli, un’“accordatura” fra le teorie come si fa tra due strumenti in orchestra, tale da unire gli aspetti ben descritti da un modello e quelli giustificati dall’altro? E il legame con la musica non è certo casuale, perché…

Vai all’articolo successivo ›

Note

[1] L. Pietronero, “The Fractal Structure of the Universe: Correlations of Galaxies and Clusters”, in Physica A, n. 144, 1987, p. 257.

[2] È opportuno segnalare che da qualche anno è stata suggerita l’ipotesi che non si tratti di un’unica struttura ma di tre ammassi sovrapposti sul piano celeste.

di Amedeo Bellodi

Autore

  • Unisce orgoglio classicista (voleva dedicare la sua vita alla letteratura greca), curiosità scientifica (è poi finito a studiare astrofisica) e passione per la musica (il pianoforte su tutti).