“Naturale” è davvero migliore?

Metodi usati dall’uomo per addomesticare le piante

Il sapiens del passato era nomade, migrava seguendo le stagioni per la raccolta e i branchi per la caccia. La nascita dell’agricoltura ha stravolto questo stile di vita portandolo alla sedentarietà, forse è per questo che rimane nell’uomo moderno il bisogno di “migrare” per brevi o lunghi periodi.

Inizia dunque adattandosi al territorio, ma anche adattando il territorio alle sue esigenze, disboscando e cambiandone la conformazione, non solo, infatti da questo momento inizia l’addomesticamento di piante e animali. Per quanto riguarda gli animali non risulta difficile pensare che siano stati addomesticati, selezionati per docilità e mansuetudine. Ma la stessa identica cosa vale anche per le piante, infatti nessun organismo nasce per essere naturalmente buono e per nutrire altri esseri viventi. Il dogma ormai così abusato ai giorni nostri “è buono perché è naturale” oltre a non avere alcun senso, non riconosce l’immenso lavoro fatto dall’uomo in diecimila anni per selezionare le specie più adatte alla coltivazione e al nostro nutrimento.

Esattamente come gli animali anche i vegetali hanno dei sistemi di difesa contro i predatori, per portare avanti il loro obiettivo di riprodursi e diffondersi. Perciò per addomesticare le piante è stata necessaria una progressiva selezione di quelle con minori difese e tossicità per l’alimentazione umana.

Il grano, che è alla base della nostra alimentazione, deriva in realtà dall’incrocio tra il frumento selvatico (Triticum urartu) e un’erba delle capre (Aegilops speltoides) che ha dato origine a un farro ancestrale (Triticum dicoccoides) di tipo tetraploide (si sono sommati i corredi cromosomici diploidi dei due progenitori, quindi da due copie di tutti i cromosomi sono diventate quattro).

Dal farro ancestrale tetraploide deriva il grano duro (Triticum durum). Sempre il farro ancestrale incrociato spontaneamente con un’erbaccia (Aegilops taushii) ha formato un farro che a sua volta è esaploide. Da questo nuovo incrocio deriva poi il grano tenero (Triticum aestivum), che costituisce il 95% del grano coltivato nel mondo. Nei vertebrati sarebbero inconcepibili modifiche di questo genere, dal frumento di partenza fino ad arrivare al grano delle nostre tavole il corredo cromosomico si è sestuplicato, raccogliendo tutti i genomi delle piante precedenti.
I primi addomesticatori di piante hanno fatto una selezione ulteriore che in natura non avrebbe avuto alcun senso e non sarebbe mai sopravvissuta; per rendere più semplice la mietitura hanno selezionato delle spighe che non disperdessero semi su una superficie vasta, così da farli germogliare tutti nelle stessa area, per sfruttarla al massimo. E così facendo man mano vennero fatti incroci sempre più mirati per arrivare a rese migliori e sfamare sempre più persone.

Cereali

L’altezza media di una pianta di grano trenta anni fa era di circa un metro e mezzo, ora sono alte la metà, per ottimizzare la produzione (da una tonnellata di grano per ettaro a quasi sette al giorno d’oggi), e tutto questo è frutto di continui interventi tecnologici dell’uomo per rispondere al fabbisogno in continuo aumento.

A oggi circa 2550 varietà di vegetali subiscono mutagenesi con isotopi radioattivi, dalle patate alle ciliegie. Ma i soli incroci di differenti varietà di piante o l’uso di mutagenesi con isotopi radioattivi per velocizzare le mutazioni non bastava a mantenere alto il livello delle produzioni agricole. L’utilizzo degli OGM nasce come soluzione a queste problematiche, a oggi il loro impiego ha diminuito l’uso della chimica in agricoltura, riducendo drasticamente gli insetticidi sulle colture.

Il primo OGM viene introdotto nel mercato americano nel 1994, si tratta di un pomodoro (il Flavr Savr) che marciva molto più lentamente, facilitava quindi la raccolta e la distribuzione dello stesso.

Nel 1996 l’azienda Monsanto inizia la coltivazione della soia geneticamente migliorata, nel 2013 il 79% della soia coltivata derivava da semi modificati.

Le aziende di biotecnologia, chimica e sementiera subirono una crescita, alcune vennero accorpate e ci fu una generale corsa al controllo dei brevetti e della produzione di semi migliorati. Dall’altra parte le imprese ambientaliste continuavano a richiedere sempre maggior controlli e sicurezze a costi altissimi: una pianta modificata era quasi più controllata di un farmaco di base. Le piccole azienze biotech non potevano in alcun modo sostenere tutti quei costi e perciò tutto ricadde nelle mani delle grosse multinazionali. Oggigiorno le spese per commercializzare una pianta OGM vanno dai 50 ai 100 milioni di euro, mentre sono necessarie solo poche migliaia di euro se si usano metodi di manipolazione genetica che non includono enzimi di restrizione sul DNA (questi costi riguardano soprattutto i controlli di sola sicurezza).

Gli enzimi di restrizione sono proteine specifiche in grado di tagliare e anche disattivare il DNA estraneo. Fungono quindi da protezione, ad esempio nel caso di attacco del DNA da parte di batteri e batteriofagi.

Il DNA è costituito da sequenze di basi azotate di quattro tipologie: adenina-timina, guanina-citosina, che si appaiano a due a due. Le quattro basi non hanno ordine e sequenza, perciò tutte le loro possibili combinazioni e ripetizioni costituiscono l’enorme variabilità del codice genetico. Esistono vari tipi di enzimi di restrizione e ognuno di essi seleziona e può tagliare una determinata sequenza delle basi azotate. Vediamo in pratica come questo metodo di selezione può essere usato sulle piante: il batterio più usato è il Bacillus thuringiensis, che subisce un taglio con l’enzima HindIII a livello del gene CryIAb che codifica per una proteina che può diventare una tossina per il sistema digerente di vari insetti (soprattutto che attaccano colture del mais e del cotone).

Quindi, facendo finta che i filamenti di DNA siano costituiti da pezzetti di lego tutti incastrati tra loro, questi vengono tagliati dall’enzima sulle sequenze determinate e il pezzo utile di DNA batterico può essere riattaccato sul DNA tagliato della pianta, facendo un collage di pezzi. In questo modo la pianta stessa può poi codificare e produrre quella tossina utile per proteggersi dagli insetti, come era in grado di fare il batterio.
La maggior parte delle piante che conosciamo oggi non sono altro che incroci con altre piante e miscugli genetici. Per gli animali e l’uomo molti di questi procedimenti sarebbero impensabili, come ad esempio raddoppiare corredi cromosomici, che invece ha reso così produttivo e buono il nostro grano.

Nel caso umano stesso si riscontrano varie mutazioni del tutto casuali e a oggi due esseri umani hanno solo 3 milioni e mezzo di mutazioni che li contraddistinguono, ciò spiega quanto sia sbagliato parlare di razze umane. Siamo tutti stretti discendenti del nostro vicinissimo progenitore Homo sapiens africano. Essere razzisti non solo non ha fondamento logico, in quanto non esistono razze umane, ma è ancora più idiota perché è come odiare un nostro nonno lontano.

Biografia

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di Veronica Fiocchi

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