La raccolta di leggi: ordine e caos

La raccolta di leggi, pur apparendo una banale forma di organizzazione delle norme, quasi fosse il cassetto del giurista, ha un aspetto molto curioso: è nata con l’assolutismo.

La volontà di codificare non proviene da una frivola brama di ordine da cui è affetto il legislatore, ma la ratio consiste nel conferire coerenza e organicità al sistema normativo, al fine di rendere immediata la comprensione delle norme anche per il comune cittadino. Difatti, secondo il principio della certezza del diritto statuito dalla Corte di giustizia, il quadro normativo dev’essere “chiaro, accessibile e prevedibile negli effetti”. Quindi, se i fini della codificazione sono tanto nobili, perché questa nasce in contesti di tirannia?

I padri del nostro diritto, com’è noto, sono i romani. Questi, autori di una normativa eccelsa da cui ancora oggi traiamo ispirazione, hanno codificato molto tardi il diritto.

Nel periodo in cui Roma sorgeva, l’età arcaica, la raccolta di leggi era ancora un lontano miraggio: lo Stato, infatti, aveva un ruolo limitato e le persone facevano valere i propri diritti da sé, seguendo la loro idea di giustizia. Non desta sorpresa che in un contesto autarchico, in cui lo scambio era l’eccezione poiché si viveva di quanto si produceva, lo Stato non riuscisse ad imporsi con le leggi.

Successivamente, con le guerre puniche, Roma iniziò la sua travolgente espansione ed il diritto, con l’inizio del commercio e della vita cittadina, divenne una necessità. La città di Roma iniziò a brulicare di giuristi e pretori, già a quei tempi professioni di gran moda, che si dilettavano nell’interpretazione normativa e nell’applicazione delle leggi.

L’età e la libertà repubblicana tramontarono con l’arrivo di Augusto che, nel 27 a.C., istituì il principato, dando inizio al periodo classico. I nostri eroi giuristi e pretori non sparirono ma vennero affiancati dai principi. Il diritto illuminato, non ancora codificato, di quel periodo viveva sull’onda della serenità generatasi col principato: non solo vi erano molteplici istituti, tutti calzanti con il contesto e i bisogni romani, ma la visione assunse una portata universale, in quanto le norme, pur provenendo da un’esperienza specifica, erano adatte ad ogni esigenza.

La codificazione nasce verso la fine del III sec. d.C. con l’assolutismo che, rinomato nemico della cultura, si impose vanificando il sogno intellettuale dell’epoca classica. Il diritto si volgarizzò e le norme, che prima parevano frutto delle mani di un’abile sarta, divennero angusti intrecci derivanti dall’autorità e dalla morale cristiana. Nota codificazione del periodo fu il Corpus Iuris Civilis, un’illuminata raccolta di leggi con cui l’imperatore Giustiniano decise di cristallizzare ciò che di universale vi era nel diritto classico, ossia ciò che, pur essendo mutato il contesto, poteva sopravvivere.

Corpus Iuris Civilis

Con il Corpus Iuris Civilis si conclude l’epoca del diritto romano. L’avvento della codificazione nella storia ha abbracciato l’infinito mondo di norme rendendolo limitato e comprensibile. L’assolutismo ha così ordinato il caos, imponendosi come gli dei dell’antica Grecia nei confronti dei Titani, potenti divinità origine dell’anarchia e del disordine, imprigionati nelle viscere della terra, dopo i quali regnarono l’Olimpo e la gerarchia.

Quanto esposto dimostra come anche i periodi oscuri della storia celino delle pepite: d’altronde, il nostro attuale codice civile, opera eccelsa, deriva dal periodo fascista. Pertanto, la capacità propria del periodo classico, di modellare le leggi alle esigenze umane, è tramontata con l’avvento del codice? No: la raccolta di leggi pur se all’apparenza cristallizza il diritto, in realtà ne permette il continuo fluire. La terminologia utilizzata dal legislatore è così sfuggente da lasciar spazio all’interpretazione, grazie alla quale i giudici odierni modellano le norme, arrivando addirittura a tutelare diritti non espressamente riconosciuti. Pensiamo, a titolo esemplificativo, al testamento biologico o al riconoscimento della convivenza. L’opera mediatrice del giudice, figura intermedia tra cielo e terra, tra norme e umani, ci permette di vivere l’ordine dell’assolutismo ed, insieme, la flessibilità del periodo classico, tramite un processo legislativo che si snoda secondo un ordine preciso: interesse collettivo, recepimento dell’interesse da parte dei magistrati, lettura della norma in chiave interpretativa e, a chiusura del perfetto cerchio, l’intervento del legislatore, che prende atto, per ultimo, di ciò che la società è già pronta a recepire.

di Lorenza De Meo

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