La mappa è l’infinita ombra del vero

Ambiguità e oscurità del mondo rappresentato

Ricordo nitidamente una lezione di geografia alle scuole superiori: era maggio e capivo a malapena una briciola del mondo che solo allora iniziavo a esplorare. Quella mattina la professoressa entrò in classe e senza dire una parola prese del nastro adesivo e appese alla lavagna un planisfero. Ci chiese se lo riconoscessimo. Io cercai lo sguardo dei miei compagni di classe: su ognuno dei nostri volti era dipinta un’espressione confusa, pensavamo che la professoressa ci stesse prendendo in giro. Certo che lo riconoscevamo, era un planisfero, chi pensava che fossimo? Eppure, allo stesso tempo c’era qualcosa di disturbante in quella carta così familiare, tanto che dovetti scrutarla per una decina di secondi prima di rendermene conto.

L’Oceano Pacifico.

Era quella grande zona azzurra che mi disturbava tanto; in quel planisfero non era stato brutalmente diviso, mentre quella sorte era toccata all’Oceano Atlantico, e le Americhe ora si trovavano sul lato destro della carta. La professoressa aspettò che tutti trasformassero la perplessità in sincero stupore e curiosità, dopodiché ci disse che in Cina sarebbero stati altrettanto stupiti nel vedere il nostro planisfero, visto che ci stava mostrando quello adottato in tutte le scuole cinesi. Prese ancora il nastro adesivo e accanto all’altro appese un altro planisfero, finalmente davvero familiare. Ci chiese di guardarli bene e di dirle perché, secondo noi, l’altro ci sembrasse così strano. Ci lasciò qualche secondo di occhi fissi alternativamente sul pavimento o sul soffitto, poi pronunciò una frase che posso dire, senza esagerare, diede una svolta alla mia vita, o per lo meno al modo in cui guardavo la realtà:

«Questa mappa vi sembra strana perché non siete al centro di essa».

Rivelazione. Il fastidio del planisfero “straniero” stava tutto lì, nel fatto che non fossi riuscita a trovare l’Italia dove stava di solito: al centro, insieme a tutta l’Europa.

La rappresentazione della Terra è stata ed è tuttora fondamentale per le comunità umane, senza esclusioni. Tutte le società hanno cercato di rappresentare, spesso graficamente, il mondo in cui vivono, con risultati abissalmente differenti nel tempo e nello spazio. Non è possibile in questa sede esplorare questi risultati, perciò vorrei limitarmi a riflettere sulla nostra visione, dove per nostra intendo occidentale.

La Carta Genovese. Mappamondo del 1457

La Carta Genovese. Mappamondo del 1457

Nel corso della storia, man mano che la società esplorava ogni angolo del globo terracqueo, le varie rappresentazioni cartografiche andavano ampliandosi, modificandosi e riempendosi di dettagli: distanze, gradi, paralleli, meridiani, simboli vari. Pensare un mondo senza carte geografiche non sarebbe possibile, proprio perché la nostra immagine del mondo è modellata su quelle mappe, su quelle linee più o meno spesse tracciate su un foglio di carta o, nel XXI secolo, su immagini satellitari e carte digitali. D’altra parte, però, non esistono né esiteranno mai mappe capaci di riprodurre la Terra, saranno sempre e solo delle rappresentazioni, e ciò implica necessariamente una distanza – seppur minima a volte – dalla realtà.

Le carte geografiche non sono altro che la trasformazione di uno spazio tridimensionale in uno bidimensionale. Potrebbe sembrare una banalità, eppure ancora si discute sul modo di trasformare il nostro geoide in un disegno. Le proiezioni cartografiche, infatti, pongono problemi irrisolvibili legati alla loro stessa natura: sono delle semplificazioni, da tre a due dimensioni, da grande a piccolo. Il potere delle mappe sta nella loro capacità di rendere il mondo comprensibile, un potere che racchiude anche tutta la loro ambiguità.

Ogni proiezione deve necessariamente sacrificare una percentuale – più o meno grande – di accuratezza solo per esistere; può basarsi su forma, area, distanza o direzione, ma non potrà mai riprodurre tutti e quattro questi parametri in modo accurato contemporaneamente. Un famoso esempio è la proiezione di Mercatore, la quale è disegnata su una rete cartesiana ortogonale di paralleli e meridiani che distorce progressivamente gli oggetti che incontra, deformandoli sempre di più quanto più sono vicini ai poli.

Rappresentazioni della Terra come questa hanno sicuramente distorto la nostra visione del mondo, dipingendo nella nostra testa un planisfero in cui la Svezia è più grande del Madagascar, quando invece è il contrario. Se questo errore di percezione si fermasse alle dimensioni, probabilmente non se ne discuterebbe più, ma in realtà i Paesi deformati e allungati sono anche i Paesi più ricchi, il cui potere politico è nettamente superiore ai paesi vicini all’Equatore, la cui proiezione è più fedele ma, d’altra parte, li fa sembrare più piccoli. Per questo motivo l’intero continente africano, di 30 milioni di chilometri quadrati, pare poco più grande dell’Europa, quando invece quest’ultima ha soli 10 milioni di chilometri quadrati di superficie. La dimensione politica e la dimensione geografica non dovrebbero sovrapporsi, eppure spesso è proprio ciò che accade.

Rappresentare gli spazi su una carta geografica, oltre a rimpicciolirli, allungarli, restringerli o deformarli, significa anche immobilizzarli, eliminando ogni movimento: le correnti marine, le cascate, i terremoti, le frane, le eruzioni vulcaniche, il vento, la foresta che cresce, gli animali che costruiscono nidi, gli esseri umani che incessantemente si spostano, distruggono, trasformano, creano.

Proprio gli esseri umani, una delle più grandi forze trasformatrici sul pianeta, sono completamente assenti. Una linea spessa e nera rappresenta un’autostrada a otto corsie nella città di Los Angeles, un pallino rosso individua la città di Roma. La complessità dei luoghi e dei territori urbanizzati, ma anche rurali, è completamente evitata. Risulta chiaro che non si può fare altrimenti: la semplificazione è necessaria per la comprensione del mondo in cui viviamo, per avere una visione d’insieme e uno strumento di analisi e interpretazione.

Escludere le società e gli individui dalle mappe, d’altra parte, ha un lato che è possibile definire oscuro. Le carte tematiche o politiche, in particolare, mostrano un mondo essenzializzato, ridotto a una mera cosa senza vita.

Immaginiamo un planisfero politico. Gli Stati sono divisi da linee nere e la loro superficie è uniformemente colorata con tonalità diverse, per distinguerli tra loro. L’ambiguità sta proprio nell’uniformità: all’interno dei confini statali è tutto uguale, tutto rosa o giallo. L’incredibile complessità della vita umana è ridotta a un codice cromatico. Un territorio, un popolo. Un colore, uno Stato. Nel momento in cui guardiamo un planisfero e stabiliamo una corrispondenza biunivoca puntando il dito su una porzione di superficie di Terra e identificandola come un’entità fissa, nella nostra testa si crea un’immagine illusoria per la sua semplicità. Lo stesso discorso, forse in maniera addirittura più significativa, vale per altre rappresentazioni cartografiche: le mappe linguistiche, le mappe “etniche”; le mappe migratorie, le mappe occupazionali, le mappe sull’orientamento religioso, ecc.

Carte geografiche basate su tabelle, medie, percentuali, arrotondamenti, sono tanto utili ed efficaci quanto profondamente ambigue. Nel momento in cui si disegna su una mappa dove si parla una determinata lingua ecco che la si fossilizza, fino alla rappresentazione cartografica successiva, ma tra l’una e l’altra esisterà sempre uno scarto non rappresentabile. La staticità della cartografia, parzialmente superata grazie alla tecnologia, che comunque offre tutt’al più una serie di rappresentazioni statiche in successione, esclude la possibilità di rappresentare le processualità che incessantemente attraversano ogni spazio sulla Terra, che siano presenti esseri umani o solo fenomeni naturali.

Le semplificazioni delle mappe, la complessità del reale, nonché l’utilità della cartografia e la distorsione della percezione del mondo sono facce di una stessa medaglia, un gioco di ombre e luci. Non è possibile avere le une senza le altre e attraverso questa consapevolezza è necessario guardare il mondo, nella vita quotidiana come su una mappa.

di Greta Furlan

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