Il minuto Michel

di John De Martino

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Tante cose piccole formano una forza domatrice, qualcosa di tendente al liquido: un corpo fluido che assume la forma di ciò che attraversa, con determinata coesione avvolge l’obiettivo e lo sormonta. Dieci dita scorrono indistinguibili sopra un manto più bianco che nero. È un corpo solo, piccolo.

Ciò di cui vorrei parlare con le battute che ho a disposizione riguarda proprio ciò che l’I Ching sembra avermi messo su un piatto d’argento; tuttavia potrebbe esserci modo di far fiorire una discreta incertezza su ciò che il libro intende per “piccolo”.

L’osteogenesi imperfetta è una malattia genetica importante: detto in parole spicce, per non dire ignoranti in materia, clinicamente mostra una devastante fragilità ossea, crea problemi a carico dello scheletro, delle articolazioni, degli occhi e molto altro. È conosciuta anche come malattia di Lobstein, sindrome di Vrolik, oppure, se vogliamo più poeticamente: la sindrome delle ossa di cristallo. Da questa singolare malattia era affetto uno di quei personaggi che, purtroppo o per fortuna, arrivano da noi in punta di piedi, si avvicinano tramite più canali, influenzando più di un valore nella nostra vita, restano con noi sempre troppo poco e poi finiscono per essere sepolti di fianco alla lapide di Fryderyk Chopin.

Un omino minuscolo, fragilissimo solo fisicamente, alto novantasette centimetri e non di più, ha cambiato la storia della musica. Michel Antoine Petrucciani, nato nel 1962 a Orange, nella Provenza francese, suonava il pianoforte. In verità, tutte le cose piccole sono graziose: non c’è dubbio che questa affermazione, se presa così come la leggiamo, davanti alla figura di questo personaggio, sembra non aver colto nel segno. La sindrome colpisce Michel e lo rende minuscolo, gobbo, (qui spero di non scatenare l’ira funesta dei miei colleghi filosofi) oggettivamente brutto: un volto semi imbronciato, pallido, ombroso, apparentemente assente, sembra mostrare segni di velata disapprovazione. In realtà il pianista è un uomo dall’atteggiamento positivo, estremamente comune se vogliamo, spesso ironico e spiritoso: il lato cerebrale e comportamentale non subisce danni per via della malattia, il che ci porta a configurare un minuto e panciuto omino, da una parte con la battuta sempre pronta, dall’altra in grado di esporsi e discutere di argomenti “alti”, accompagnato dalle sue fidate stampelle:

I don’t know anything. I believe in God and I don’t: I believe in a force, because there’s a lot of things I can’t really explain. I don’t know anything, so I’m scared because I don’t know what to expect. I’ll tell you the truth, if you go deeper in my thoughts, I would be very deceived if there’s nothing. I’d go: shit! I thought it was something! And there’s nothing! I want to go back, I want to be back on earth!

Non so nulla. Credo e non credo in Dio: credo in una qualche forza, perché ci sono un sacco di cose che non mi so spiegare. Non conosco nulla, quindi ho paura, perché non so cosa aspettarmi. Ti dirò la verità, se vuoi sapere davvero come la penso, mi sentirei seriamente ingannato se non ci fosse nulla. Penserei: ma che cazzo, pensavo ci fosse qualcosa! E invece non c’è nulla! Voglio tornare indietro, voglio tornare indietro sulla terra!

C’è bisogno, per far valere la propria volontà, di ferma decisione interiore e di mite adattamento esteriore. Questa è l’immagine della forza domatrice piccola che attraversa il mio malinconico ricordo di questo musicista. Si tratta di una forza piccola che affronta il grande mondo dominato dall’uomo opportunista e individualista: è il vento, che soffia alto nel cielo e ostacola l’alito crescente del creativo. Il vento soffia in direzione ostinata e contraria, l’omino dalle mani possenti affronta anche l’esagramma di sviluppo, uscendone sempre con preziosa dignità:

Sometimes I think someone upstairs saved me from being ordinary.

Ogni tanto penso che qualcuno, di sopra, mi abbia salvato dall’essere ordinario.

Le mani, quando suona, gli fanno male. Dopo tanti anni, Michel vi è abituato, non considera più il dolore fisico come un fattore limitante: fa parte del suo percorso di crescita, lo ha accompagnato fin da quando, da bambino, distrusse con un martello un pianoforte giocattolo che il padre gli regalò, immaginando i plasticosi tasti come una dentatura inquietante.

I’m a brat. My philosophy is to have a really good time and never let anything stop me from doing what I want to do. It’s like driving a car, waiting for an accident. That’s no way to drive a car. If you have an accident, you have an accident—c’est la vie.

Sono un fetente. La mia filosofia è quella di passare dei bei momenti, evitando che qualsiasi cosa possa impedirmi di fare ciò che voglio. È come guidare un’auto con l’idea di fare un incidente. Non è il modo di guidare un’automobile. Se fai un incidente, fai un incidente – c’est la vie.

Il vento, per l’I Ching, rappresenta una forza che cerca di ostacolare il movimento del creativo, senza però impedirgli definitivamente di affrontare le proprie sfide, cercare il proprio obiettivo personale. Nel caso di Michel, il vento è il reale, la natura, il mondo che lo circonda. Non è necessario andare troppo in profondità: alzarsi la mattina, guardarsi e scoprirsi al di sotto del livello a cui convenzionalmente viene attribuita la normalità. Al tempo stesso, la difficoltà rimane tale, non diventerà mai impossibilità, non riuscirà mai a mettere sul serio k.o. la propria preda. Petrucciani fa leva su questo e si considera “fortunato” nell’avere questa malattia «perché mi ha permesso di non distrarmi dallo strumento, per nessun motivo. Potevo fare solo quello». Come se non bastasse, la natura o la genetica o il destino (date peso a ciò in cui credete di più), hanno fatto in modo che il giovane pianista avesse mani grosse, enormi in proporzione al resto del corpo, seppur doloranti, che gli hanno permesso di sviluppare un tocco e un suono che, se non si fosse al corrente della sua storia, potrebbe far pensare a un uomo tarchiato, imponente nel fraseggio e nella stazza fisica. All’interno di un ragionamento volto a supporre un semplice procedimento psicologico per causa ed effetto, si potrebbe considerare questo carattere del pianista come un fattore di sfogo: una via per far defluire i pensieri e al tempo stesso un ottimo modo per darsi dei contorni, caratterizzarsi di fronte a uno strumento venti volte più grosso di lui, con il fine di raggiungere una finezza ritmica che solo certi batteristi potrebbero vantare, in un genere musicale che effettivamente potremmo definire moderno e ritmico.

L’immenso sassofonista americano Wayne Shorter (di cui ho lungamente parlato in un precedente numero della rivista) in un’intervista dice di Petrucciani:

There’s a lot of people walking around, full-grown and so-called normal—they have everything that they were born with at the right leg length, arm length, and stuff like that. They’re symmetrical in every way, but they live their lives like they are armless, legless, brainless, and they live their life with blame. I never heard Michel complain about anything. Michel didn’t look in the mirror and complain about what he saw. Michel was a great musician—a great musician—and great, ultimately, because he was a great human being because he had the ability to feel and give to others of that feeling, and he gave to others through his music.

C’è un sacco di gente per la strada, sana e forte, chiamata quindi “normale”, con tutto ciò che serve, fin dalla nascita, nel posto giusto, gambe e braccia eccetera. Sono simmetrici in ogni senso, ma vivono la loro vita come se fossero senza braccia, senza gambe, senza cervello, e vivono la propria vita con risentimento. Non ho mai sentito Michel lamentarsi. Michel non si guardava allo specchio lamentandosi di ciò che vedeva. Michel era un grande, grande musicista, e grande, in ultima analisi, perché era un meraviglioso essere umano, perché aveva una grande sensibilità e regalava al prossimo il prodotto di questa, ed è riuscito a dare agli altri tutto questo tramite la sua musica.

La forza domatrice piccola sta nella lucidità e nella prontezza di un uomo, grande quanto Michel Petrucciani. La lucidità cosa fa? Delucida. Schiarisce il grigio che stordisce deviando i progetti e allontanando le ambizioni; è una vela che convoglia il vento rendendolo da elemento disturbante a valvola propulsiva. La prontezza, quella vera, grandissimo dono che solo i pochi geni della storia hanno potuto utilizzare, nasce dalla vera dedizione, quella che si costruisce in anni di lavoro, ed è il solo mezzo in grado di muovere ed elevare un messaggio artistico chiaro, verso gli occhi, le orecchie e soprattutto la bocca di tutti, che inevitabilmente rimane spalancata.

Discografia

Michel Petrucciani – 1981, Owl Records, con Jean-François Jenny-Clark (contrabbasso) e Aldo Romano (batteria)

Estate – 1982, IRD, con Furio Di Castri (contrabbasso) e Aldo Romano

Live at Village Vanguard – 1984, Blue Note, con Palle Danielsson (contrabbasso) ed Eliot Zigmund (batteria)

Pianism – 1985, Blue Note, con Palle Danielsson ed Eliot Zigmund

Power of Three – 1986, Blue Note, con Wayne Shorter (sassofoni) e Jim Hall (chitarra)

Playground – 1991, Blue Note, con Adam Holzman (tastiere), Omar Hakim (batteria), Steve Thornton (percussioni), Anthony Jackson (basso elettrico), Aldo Romano

Autore

  • Studia batteria jazz alla Civica di Milano. È un musicista nato, anche se per capirlo ha dovuto studiare per un anno filosofia. Ora vive praticamente nel suo box, dove si esercita e invita gli amici musicisti.