Tony Scott – Legno nero

di John De Martino

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Fra i molti esempi in musica dell’ascendere e del pozzo simboli di fama e declino dell’artista, quello del clarinettista Tony Scott è particolare. L’astensione dalla gloria, la lotta per i diritti umani e la tragedia privata: un paladino con il legno nero in mano al posto della spada.

Il legno, la terra. Una miscela di caduta e salto, elevazione. Avviarsi verso Sud reca salute. C’è qualcosa che mi blocca nell’ultimo monito del libro, vedrò di non cadere sotto le sue grinfie.
Il legno, la terra. Questo mi coglie incuriosito, gli elementi naturali costringono ad un radicamento sostanzioso, per noi poveri cittadini avvolti nel grigio significa ricordare alla mente: attenzione, guarda che tutto quel che vedi è l’un per cento della storia del luogo su cui poggi i piedi. La musica, qui, vince.
Ho l’impressione di non avere totalmente ragione quando scrivo di tutto questo, ma mi avvalgo di un emendamento a mio favore che certamente non esiste (mi avvalgo della facoltà di non dire necessariamente la verità), a favore di un dialogo tra me e il lettore che, non per forza, ci sarà. È molto musicale tutto ciò.
Provo, butto lì un’idea, ho la certezza che, da qualche parte, qualcuno la riterrà la più opportuna. Tutti gli altri la considereranno la scelta peggiore: così succede nel costruire musica, così accade sotto il grande cielo dell’arte. Ogni volta che si affronta un treno in faccia come questo, senza averne la minima coscienza, un musicista acquisisce qualche punto, minuscolo, impercettibile, di consapevolezza in più. È come guardare giù, in un profondo pozzo, profondissimo, e credere che alla fine un po’ d’acqua da qualche parte verrà fuori, senza rendersi conto di essere in un luogo desertico, da mesi in siccità: due gocce, nonostante tutto, salteranno fuori. Sperare di arrivare al nocciolo, per qualcuno, in un mondo di kiwi e banane.
Guardo giù, nel pozzo, speranzoso, narciso. Cado giù, nel desiderio di vedere fino in fondo se quell’acqua comparirà mai e mi darà da vivere, un giorno. Salto, mi elevo, nel mio virtuoso essere sempre lì, appoggiato a quel pozzo, tutti i giorni, con la sensazione di fare la cosa giusta. L’ascesa non mi garba profondamente in quanto termine, mi rimanda a qualcosa di già alto, innecessariamente: mi piace parlare di cose basse, che, se proprio proprio, salgono gradatamente, magari subito prima di ricadere giù. In questo senso, in realtà, ci stimola l’I King, come se non fosse già abbastanza chiaro: senza saltare gradini importanti, salire passo per passo verso il proprio obiettivo.
Il significato di un termine come quello proposto dall’estrazione del libro cinese, potrebbe destare facili conclusioni. Immagine musicaHo quindi deciso di porre all’attenzione un nome, nella storia della musica, che, con una sottile lacrimuccia, ci porta agli occhi un grande significato della parola ‘Ascesa’.
Anthony Joseph Sciacca è un ragazzo americano di origine siciliana. Nasce nel 1921 e si diploma alla migliore accademia di Jazz al mondo, la Juilliard School di New York, all’età di 22 anni. Continua il suo percorso di alto profilo suonando tra gli anni Quaranta e Cinquanta con tanti grandi maestri dell’epoca, tra cui Charlie Parker e Billie Holiday. Suona il clarinetto, i sassofoni alto, tenore e baritono (per gli intenditori, il sassofono tenore dispone di una trasposizione diversa dall’alto e il baritono, cosa che spinge tendenzialmente i sassofonisti a suonare o l’alto e il baritono, in Eb, cioè mi-bemolle, oppure il soprano e il tenore in Bb, cioè sì-bemolle), pianoforte, arrangia e compone.
Ho deciso di prendere spunto dalla figura di questo musicista, meglio conosciuto come Tony Scott, perché la sua, davvero sua, ascesa, nel corso di questa curiosa vita si svilupperà in modo estremamente singolare.
Uno spirito incessante sempre in cerca di movimento, un clarinetto con un suono e un volume mai ascoltati prima, una personalità degna del miglior oratore, Tony fa sfracelli con la sua musica, tanto da arrivare a definirsi “il miglior clarinettista del mondo”. Una figura a volte carnevalesca, a volte funerea, dalle mille sfaccettature: da totalmente pelato al capello bianco lunghissimo e barba altrettanto lunga. Tra le sue più grandi passioni c’è la scoperta, il movimento, il viaggio. Nei suoi lunghi e vissuti viaggi, scopre culture infinitamente diverse dalla sua, ricche di materiale da portare a casa o, eventualmente, da riportare nel suo suonare: nel febbraio del 1964, infatti, incide per l’etichetta Verve un disco che rimarrà indelebile, che lo identificherà e lo porterà ad una finissima consapevolezza personale e artistica. “Music for Zen Meditation” viene inciso insieme a due musicisti giapponesi, Hozan Yamamoto allo shakuhachi (flauto giapponese in bambù molto usato in musiche Zen o di carattere meditativo) e Shinichi Yuize al koto (decisamente più conosciuto dello shakuhachi, è lo strumento nazionale giapponese, seppur di antiche origini cinesi. Una base di legno su cui poggiano tredici corde con tredici ponticelli, forma uno strumento lungo quasi due metri da pizzicare con le dita), portando con sé uno spessore che rimarrà indelebile, come manifesto della soprannominata World Music, l’incontro tra cultura occidentale ed orientale in ambito musicale.
La figura di Tony Scott crea in me una sottile forma di malinconia, un colore più acceso degli altri: spinto dal fortissimo interesse per il genere umano, si batte per i diritti civili per lunga parte della sua vita, portando dentro di sé fuochi raccolti nei lunghi e profondi viaggi intrapresi. In uno di questi, però, si dice sia accaduto un episodio che avrebbe cambiato quasi completamente la sua persona: si dice (fonte non confermata) che sua moglie dell’epoca, Fran Attaway, abbia raccontato che in Indonesia, Scott fu scambiato per una spia, incarcerato e probabilmente torturato. Non sarebbe stato più lo stesso.
L’ascesa di un grande personaggio trova facilmente ora una interpretazione. Passo dopo passo, senza saltare gradini apparentemente superflui, a contatto con la terra, ci si muove verso terre lontane; verso sud si sta meglio. La musica questa volta sembra solo condire una personalità latente totale, che, inevitabilmente, prima o poi esplode. Il calore con cui suona nel disco, citato poco fa, non dà altre possibili interpretazioni sulla grandezza di un musicista geniale e dimenticato.
Esatto, dimenticato. Tony Scott, nella ultima parte della sua vita, decide di tornare alle origini, il che significa per lui andare a vivere in Italia. Inglobato in un mondo che non gli è mai appartenuto, viene infilato in situazioni musicalmente squallide, da programmi televisivi ed eventi ‘all’italiana’, all’interno dei quali il musicista viene preso per un vecchio pazzo, ormai agli sgoccioli, considerata l’età avanzata e l’evidente instabilità psicologica. Passa gli ultimi anni della propria vita in un lento ma costante processo di decadimento umano e artistico: anarchico e stravagante, l’ultimo Tony Scott consuma il proprio felicissimo delirio lungo un viale del tramonto che è un paradossale quanto esemplare calvario. L’Italia, non più culla d’artisti, è diventata, nel favorirne l’ingiusto oblio, la sua tomba.
Il regista Franco Mareno nel 2010 dirige un documentario sulla vita del musicista americano: Io sono Tony Scott, ovvero come l’Italia fece fuori il più grande clarinettista del Jazz. In un’intervista dichiara:
“(…) Tony lo ho amato e lo amo tutt’ora come musicista e come persona perché Tony è stato un Don Chisciotte, è stato un idealista come pochi. Nel periodo di massima discriminazione, Tony è stato anche un grande paladino e difensore dei diritti civili come pochi”.
Scott muore a Roma il 28 marzo 2007. La sua tomba, posta, quasi sbattuta nel cimitero di Salemi, in Sicilia, accoglie malevolmente il viaggio verso sud di una stella mal ricordata, malintesa. Ora, dopo tutto questo, immagino il pozzo come un lunghissimo clarinetto nero, uno strumento che ha elevato una grande persona alla scoperta disperata del genere umano.
Rimando nuovamente all’ascolto del disco ‘Music for Zen Meditation’ del 1964.

BIBLIOGRAFIA
Tony Scott in South Africa, Tony Scott, 1957, RCA Music for Zen Meditation, Tony Scott,1964,
Verve Records.
Music for Yoga Meditation and Other Joys, Tony Scott, 1968, Verve Records.
The Old Lion Roars, Tony Scott and the Mario Ru- sca Trio, 2004, Saar Records.

Autore

  • Studia batteria jazz alla Civica di Milano. È un musicista nato, anche se per capirlo ha dovuto studiare per un anno filosofia. Ora vive praticamente nel suo box, dove si esercita e invita gli amici musicisti.