La stoltezza giovanile



L’argomento partorito prematuramente dalla nostra lettura dell’I Ching, e destinato alla pubblicazione in questa sacra primavera, è intitolato: «La stoltezza giovanile», dal capitolo quarto del libro cinese.
L’immagine si ottiene combinando gli elementi naturali della montagna e dell’acqua. Visto che il monte è in posizione superiore e il fiume impetuoso gli sta sotto, scaturisce l’idea di una gioventù imbelle destinata a crescere in una solida saggezza. L’una benvista, quindi, in quanto foriera dell’altra.
La storia cinese, tuttavia, ci fornisce alcuni cortocircuiti anagrafici nell’ascesa al trono di imperatori bambini, troppo giovani per regnare davvero e perciò affidati spesso alla tutela di inquietanti eminenze grige, come la famosa Imperatrice Madre Cixi, che manipolò la sacra immagine di facciata sia del figlio Tonghzi, incoronato a soli cinque anni, che del nipote Guangxu, consacrato ad appena quattro anni, per governare al loro posto. In entrambi i casi, l’epilogo fu a dir poco mesto. Giunti alla maggiore età, dunque divenuti pericolosi, Guangxu fu recluso nelle sue stanze fino alla misteriosa morte. Tonghzi invece morì ufficialmente di vaiolo o sifilide, ma più probabilmente fu avvelenato.
L’arte del blocco della crescita, come nella truce pratica dei piedini di loto imposta alle bambine cinesi, è quanto di più lontano dal cammino di crescita spirituale suggerito dall’I Ching. Piuttosto, la famosa storia di Pu Yu, il celebre ultimo imperatore di Bertolucci, dovrebbe rendergli giustizia. Investito di un potere ben più grande di lui a soli due anni, vissuto nella beata ignoranza fino all’arrivo delle truppe del Kuomintang nella Città proibita, dopo la rivoluzione, a informarlo che l’Impero ormai non esisteva più e che lui, adesso, era un ragazzino come tanti in un nuovo mondo socialista. Questo è il vero romanzo di formazione moderno. La parabola rovesciata del giovane Pu Yu, da imperatore a giardiniere, lo potrebbe qualificare come un “nato due volte”.

L’espressione, che a noi ricorda Dioniso oppure la “seconda nascita” hegeliana dell’uomo all’interno della società civile, in Oriente può far riferimento al primo degli stadi della vita (Āśrama) degli uomini hindu. Fino ai 24 anni, infatti, si è dei Brahmācarya, ossia persone in armonia con il Brahman, la legge del cosmo. Si tratta di giovani apprendisti chiamati a rispettare il celibato, l’astinenza sessuale e le istruzioni del guru cui vengono affidati. Questa prima fase ha inizio con il rito dell’Upanayana che li inizia alla vita con lo status, appunto, di “nati due volte” (dvija). Ovviamente, e qui il fulcro, lo sviluppo non era mai tanto lineare e i percorsi di scoperta, come sempre, attraversavano inevitabilmente infrazioni ed eversività. Colpisce per tatto e realismo il film Samsara, del 2011, dove un giovane monaco imbocca un cammino á rebour dall’ascesi anacoretica fino all’amore carnale per una donna. È il doppio filo su cui si muove anche il classico di Kipling, dove Kim rimbalza dalla via verso l’illuminazione agli intrighi spionistici del Grande Gioco, udendo campane agli antipodi come quella del Colonnello Creighton secondo cui: «I bambini non dovrebbero vedere il tappeto sul telaio finché il disegno non è chiaro», disconoscendo loro l’uscita dallo stato di minorità, per dirla con Kant, al suo maestro lama che, nonostante le lunghe esperienze, dichiara: «E ora voi, che siete piccoli, ne sapete quanto me che sono vecchio». D’altronde, nell’immagine stessa di questi piccoli grandi uomini che trapela dai libri di Kipling, sul conio della figura inaugurata dal suo amico Baden-Powell, cioè quella di giovani scout, non troppo nascostamente bambini-soldato, sopravvive questa stessa ambiguità.



Come (quasi) sempre, infine, da quelle parti il Paese delle contraddizioni rimane il Giappone. Lo osserviamo ad esempio frastornato dall’età moderna e dall’avvento sconsiderato dell’occidentalizzazione traverso fenomeni opposti. Da una parte i Bōsōzoku, le tribù di riders motociclisti della sottocultura, che imperversavano per le strade vestiti da pagliacci e compiendo atti di vandalismo in cui, esaltati dai manga, i giovani studenti ritrovavano un ideale di ribellione. Dall’altra, invece, il confortevole immaginario di Miyazaki, dove frequentemente i bambini sono dotati di maggiore spessore e visione incantata di adulti ormai spoeticizzati. Dietro la griglia di partenza di queste correnti miste, rimangono le ultime rudi parole sputate da Mishima nelle Lezioni spirituali per giovani samurai, poco prima di commettere harakiri. In questi scritti, declina il dualismo fra il “grigio conformismo” della sua società e “l’anarchismo caotico” degli Zengakuren, i movimenti studenteschi, verso il binomio arte-vita, dove rispetto al solito ordine che vuole l’arte simbolo di una maturità distillata da una vita vissuta nei suoi anni floridi (primum vivere, deinde…), afferma invece di essersi svezzato nell’arte per poi apprestarsi esteticamente a vivere, sotto l’egida quindi di un’ancor non sazia sete di esperienza, controllata dalla disciplina della cultura. Purtroppo, il rovescio della medaglia della sua Associazione degli Scudi, di giovani radunati per allenarsi e servire il Paese, nell’ideale di una “Filosofia dell’azione” che non concede spazio ai rovelli della mente, suggerisce tendenze destroidi che ricordano le deresponsabilizzazioni alla Eichmann sull’agire senza pensare. Motto, fra l’altro, caro al best-seller Lo Zen e il tiro con l’arco, pubblicato da Herrigel, il quale non dimentichiamo che era iscritto al partito nazionalsocialista.
Anziché il Mishima ormai vizzo degli ultimi anni, preferisco quindi tornare al giovane Mishima e a uno dei suoi primi romanzi, L’età verde, dove il protagonista, un giovane alunno, disapprova il conservatorismo del padre che gli impone il proprio modello di perfezione. Il giovane Makoto, pensando al padre, si chiede: «Sarà sempre stato un uomo virtuoso, sin da quando emise i primi vagiti?”, e prosegue affermando che il genitore ha torto a imporgli austeramente di non sbagliare mai, “perché gli esseri umani giungono alla verità solo attraverso gli errori». Se consideriamo che in giapponese Makoto significa “verità”, significa che il cattivo esempio del padre gli impedisce quindi di essere propriamente se stesso.



Queste parole sembrano interpretare da vicino il suggerimento dell’I Ching quando, nel capitolo sulla Stoltezza giovanile, annuncia: Consultato una prima volta, io rispondo. Se egli consulta due, tre volte è importuno. Come dire: Errare humanum est, eccetera.
Stavolta chiuderei quindi con una citazione di alto livello, che andrebbe rivista anziché letta. Nella puntata dei Simpson in cui l’indiano Apu perde il lavoro al minimarket, Homer (parodiando 7 anni in Tibet), lo accompagna in cima alla vetta dove risiede il tempio del primo negozio “Gran convenienza” nel mondo, per usare uno dei tre desideri che il Maestro concede a tutti i visitatori che hanno l’ardire di arrivare fin lassù, al fine di poter essere riassunto. Prima che Apu riesca ad aprir bocca, però, Homer lo interrompe chiedendo: «Lei è davvero il capo dei Market Jet?», e l’altro: «Sì», «Davvero?», insiste Homer, «Sì», ripete il Maestro, «Lei?!», «Sì», ribadisce, e poi aggiunge: «Ho risposto alle vostre tre richieste, grazie e arrivederci». Lo sketch si chiude con Homer, icona della stoltezza giovanile protratta negli anni, che commenta: «Questo sì è stato un mega fiasco, ma sarà stato davvero il capo dei Market Jet?». A quel punto Apu gli mette le mani al collo.

di Federico Filippo Fagotto

Autore

  • Federico Filippo si risveglia dal sonno dogmatico nella bella facoltà di Filosofia in Statale e si riaddormenta con gli studi a Venezia. Tornato a Milano, dopo il gong della laurea in Scienze Filosofiche, inizia collaborazioni con la cattedra di Estetica e nel frattempo, in fuga dall’accademismo, ha la fortuna di radunare un gruppo di ragazzi pieni di stoffa e fondare la rivista di arte e cultura La Tigre di Carta, cui segue l’Associazione culturale La Taiga che gestisce il teatro e circolo culturale Corte dei Miracoli. Fra editoria ed eventi, gioca col violoncello il bridge e lo yoga. Tutto ciò non fa bene alla salute... meglio scrivere!