I ragazzi “terribili” di Superstudio e il radical design

Architettura radicale

Nella metà degli anni Sessanta del Novecento, in tutto il mondo e anche in Italia si respiravano venti di cambiamento ed emancipazione. Erano gli anni del boom economico, dell’avvento del consumismo, dell’allontanamento dalla civiltà rurale italiana e di pari passo della controcultura e della contestazione giovanile, gli anni del fermento anti-sistema, degli hippy e del rock progressivo.

Firenze, come molte città d’Italia, in quegli anni era un crogiolo di novità e mostre, di eventi e circoli, era il suolo perfetto dove potevano nascere movimenti artistici e culturali di avanguardia, alimentati dal desiderio di indipendenza giovanile e dal fermento delle occupazioni universitarie.

È proprio alla facoltà di Architettura di Firenze che alcuni dei futuri architetti e designer più interessanti del periodo si conobbero, dando vita a movimenti radicali, visionari e anticonformisti.

I giovani futuri architetti, delusi dal mondo accademico, ritenuto obsoleto e borghese, sebbene riconoscessero come maestri Le Corbusier e Mies Van der Rohe, rifiutarono l’avanzata del Razionalismo in architettura e nel design e sentirono la necessità di rompere quegli schemi troppo stretti per l’epoca che stavano vivendo e quegli ideali dai quali non si sentivano più rappresentati.

Nel 1966, proprio nell’anno della terribile alluvione di Firenze, un gruppo di studenti e giovani neolaureati, formati da Adolfo Natalini e Cristiano Toraldo di Francia, a cui si aggiunsero in un secondo momento anche Roberto e Alessandro Magris, Gian Piero Frassinelli e Alessandro Poli, dette vita a Superstudio, uno studio multidisciplinare che ben presto divenne un nome di riferimento per quella che verrà definita solo più tardi Architettura Radicale.

È a un solo mese di distanza da quell’alluvione, che mise in ginocchio la città, che Superstudio (in prima formazione con il solo Adolfo Natalini) e Archizoom, altro gruppo fiorentino, fondato dai neolaureati Andrea Branzi, Gilberto Corretti, Paolo Deganello e Massimo Morozzi, esordirono a Pistoia con la mostra “Superarchitettura”, con la quale conquistarono un ruolo di spicco sia in ambito nazionale che internazionale grazie ai loro progetti visionari, dissacranti e alle loro idee radicali.

“Superarchitettura è l’architettura della super produzione, del super consumo, della superinduzione per il consumo, del supermercato, del superuomo e della superbenzina.”

Così recitava il colorato manifesto della mostra, che si tenne in un seminterrato di due stanze. Non solo la locandina era colorata, con il suo fondo giallo e le scritte turchesi, ma tutti gli oggetti e le installazioni create ad hoc per l’esposizione sembravano uscite da un cartoon vivace ed esuberante e resero quell’ambiente angusto e stretto un’esplosione di forme a tinte brillanti. Da quell’esposizione nacquero i prototipi di alcuni arredi, geniali e anticonformisti, che divennero oggetti di design tutt’ora in produzione, come la lampada Passiflora, una sorta di tronco di colonna luminoso, e il divano SuperOnda, un blocco di poliuretano senza scocca rivestito in Skai lucido, tagliato da una S in due parti che si incastrano dando vita a numerose configurazioni diverse: poltrona, chaise longue e letto. Un po’ arredo, un po’ scultura, un po’ elemento pop che sembra venir fuori da un’estrosa scenografia teatrale piuttosto che da una fabbrica di mobili.

Rifiutando la logica del funzionalismo, “Form follows function”, tipica del Movimento Razionalista, il design radicale creava qualcosa di “altro”, visionario, psichedelico e capace di influenzare le facoltà sensoriali del fruitore. Era dissacrante e ribelle, era giovane e folle, si opponeva alla logica consumistica del prodotto industriale perfettamente riproducibile in serie, omologato: ogni oggetto era come un’opera d’arte, un atto di contestazione sociale e culturale.

Il concetto di Architettura e design radicale a quell’epoca non c’era e non furono loro a coniare quest’espressione. Le loro idee però erano radicali per davvero e così rivoluzionarie e folli da immaginare paesaggi naturali e distese di grattacieli attraversati da enormi solidi monumentali, campate di strutture colossali che invadevano lo spazio, che fossero le scogliere o Manhattan o i Canyon, e che prepotentemente fuori scala si innestavano nel paesaggio come fino a quel momento era conosciuto. Era architettura, era avanguardia, era contaminazione.

Dal 1968 oltre a “Monumento Continuo” (1969) che avvolge le città come un reticolato fluido, nacquero “Istogrammi di Architettura” e le “Dodici città ideali” (1971), progetti teorici e concettuali che mixavano utopia, pessimismo, ironia. Nei loro progetti il disegno non era più una rappresentazione funzionale e in scala della realtà, ma assumeva un carattere concettuale, puramente artistico, visionario e allo stesso tempo simbolo di contestazione.

Agli inizi degli anni Settanta la multidisciplinarietà di Superstudio, oltre all’architettura, alla grafica e all’arte (basti pensare ai fotomontaggi di Monumento Continuo che si fondono con le opere di Walter De Maria, esponente delle Land Art), contaminò l’idea di città, intesa come un organismo privo di barriere e gerarchie.

Il gruppo non abbandonò il design di prodotto dedicandosi a una “Superidea”: il gigantesco Monumento Continuo, l’enorme architettura attraversata dal reticolato nero su sfondo bianco si riduce di dimensioni e diventa il concept di Quaderna, la più architettonica delle collezioni finora disegnate nel mondo del mobile.

Come un grande quaderno a quadretti, lo stesso sul quale, i bambini imparano a scrivere e a rappresentare i numeri, prese forma una famiglia di arredi unici e iconici, mai visti fino ad allora e ancora oggi audaci, estrosi e insuperabili.

Quei mobili sono dei solidi puri, delle forme semplici, essenziali, quasi infantili, rivestiti in laminato bianco quadrettato (l’azienda Abet Print, su disegno di Superstudio, lo creò e produsse appositamente) e che un’azienda lungimirante come Zanotta decise di mettere in produzione e trasformare in icone del Design.

In quegli anni anche Archizoom si dedicò alle tematiche concettuali che riguardavano la città, proponendo Non Stop City, una città senza barriere e senza architettura, una metropoli fluida e senza confini all’interno della quale si muovono flussi di persone, merci e informazioni.

Le idee sviluppate dai movimenti radicali italiani espressero un linguaggio più caratteristico e specifico rispetto alle correnti europee radicali, sebbene dovessero comunque essere lette insieme alla poetica compositiva di Rem Koolhass, degli Archigram, di Hans Hollein e Arata Isozaki.

Tra gli artisti e designer italiani che nel tempo abbracciarono il concetto di Radical Design troviamo Gaetano Pesce, Ufo, Riccardo Dalisi, Gruppo Strum, Studio65 e Alessandro Mendini che da direttore artistico della rivista “Casabella” (dal 1970 al 1977) promosse e diffuse le idee radicali in tutta Europa.

In Italia chi più di tutti riuscì a catalizzare ed esprimere le idee emergenti e rivoluzionarie del Radical Design (o Controdesign), intese come forma di contestazione, e a svilupparle negli anni successivi fu Ettore Sottsass: precorse i tempi, come art director di Poltronova (l’azienda che investì sui folli prototipi dei radical designer) dal 1957 e con l’idea del design come critica sociale contribuì alla diffusione del movimento e alla sua evoluzione.

Sottsass parteciperà insieme a tutti i massimi esponenti del movimento, come Superstudio, Archizoom, Strum, Ugo la Pietra, Gae Aulenti, alla mostra Italy: the new domestic landscape, curata nel 1972 da Emilio Ambasz al MoMa di New York, una sorta di catalogo del design radicale. Per molti, tra cui i Superstudio, l’esposizione al MoMa fu un’esperienza conclusiva, una sorta di testamento del gruppo, che di lì a poco si sciolse permettendo ai suoi componenti di intraprendere strade autonome come progettisti, lasciando in eredità un grande patrimonio di studi, pubblicazioni e utopie concettuali, sul futuro delle città, sull’arte e sull’architettura in generale.

Se nei primi anni la produzione radicale si avvicinò, per concetto e forma, agli stilemi della Pop Art e alle avanguardie artistiche a cavallo tra i due decenni ’60-‘70, verso la metà di questi ultimi lo spirito rivoluzionario si placa, evolvendo nel Neomodern che esploderà nel decennio successivo e che vedrà nel gruppo Memphis, fondato dallo stesso Sottssass nel 1981, e in Alchymia i due massimi rappresentanti.

di Caterina Frittelli

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