V per Vittimismo

Lettura critica di un film ideologico



Oppure anche V per Virus.

Come quello che dilaga nella Londra distopica di V per Vendetta, film del 2005 diretto da James McTeigue, scritto dai fratelli Wachowski, e basato sull’omonima graphic novel di Alan Moore e David Lloyd.

Nota preliminare: i nerd mi odieranno, ma mi baserò principalmente sul film piuttosto che sul fumetto, che pure ho letto. Questo principalmente perché il film è molto più conosciuto del fumetto, tanto da essere ormai iconico, e perché per ciò che voglio dire non ho ravvisato una vera differenza di fondo tra i due prodotti, al netto delle altre discrepanze; tuttavia a volte nel testo potrò fare riferimento anche alla graphic novel per alcuni particolari. Insomma faccio un po’ come mi pare.

La prima cosa che mi ha colpito nel rivedere V per Vendetta è stato proprio il tema del virus. Prima del COVID-19 non avrei dato molta importanza a questo particolare, e difatti neanche me ne ricordavo. Ma ovviamente adesso tutto quello che tratta di morbi/contagi/virus/armi batteriologiche cattura subito l’attenzione: ebbene, in ossequio alle tesi complottiste più spinte, nel film il virus è stato creato in laboratorio e utilizzato come minaccia perenne da parte del partito nazionalista Norsefire, per mantenere in vigore il proprio regime dittatoriale, clerico-fascista e tradizionalista.

Qua emerge subito un elemento interessante: tenendo ferma la teoria girardiana per cui le pestilenze, nelle mitologie, simboleggiano spesso le crisi sociali violente, possiamo ricavarne che in V per Vendetta il contagio virale rappresenta esattamente lo scatenarsi dell’anarchia sociale da cui il Norsefire, o chi per lui, ci dovrebbe proteggere. Questa lettura è rafforzata dallo stesso personaggio di V, il ribelle anarchico la cui missione prende forma proprio dopo che è stato utilizzato come cavia umana nel laboratorio segreto di sperimentazione sul virus dell’allora sotto-consigliere, e ora gran cancelliere e tiranno, Adam Sutler.

Ora, io credo che i fratelli (divenute poi sorelle) Wachowski siano piuttosto ossessionati dal tema intimamente cristiano del sacrificio di uno per il bene di tutti: tutti noi ricordiamo, ad esempio, il finale di Matrix Revolution con la “crocifissione digitale” di Neo; in V per Vendetta accade qualcosa di simile, ma più articolato nei rimandi. Il corpo morto di V viene posto sul vagone di una metro, circondato da fiori e esplosivo; la metro viene fatta partire, e quando arriva sotto il palazzo simbolo del potere politico, lo fa esplodere. Così V brucia insieme al sistema che lui stesso ha fatto crollare. La sua missione, la sua forma, è terminata. Nato dal fuoco dell’incendio del laboratorio biochimico, morto nel fuoco purificatore della libertà. Questa scena riprende quella della graphic novel: anzi, nel fumetto si sottolinea apertamente che la morte di V doveva richiamare un “funerale vichingo” (e il capitolo dell’attentato finale significativamente si intitola “Valhalla”). Tuttavia, i fratelli Wachowski modificano ciò che accade dopo, e così “battezzano” l’intero film: mentre nel fumetto non si è sicuri dell’esito positivo della liberazione della società, nel film è tutto molto più irenico e ingenuo. L’anarchia può trionfare perché gli uomini in fondo sono buoni, hanno capito il messaggio di V e quindi vivranno nella pace e nella libertà. Il sacrificio di V redime l’umanità, come quello di Cristo: muore per la verità e la libertà dei suoi fratelli.

Questo elemento cristiano fa emergere ancora più chiaramente quanto in realtà il film nel suo complesso sia una caricatura del cristianesimo, e V una caricatura di Cristo. Non a caso, forse, indossa la maschera del ribelle cattolico Guy Fawkes. Ma se Cristo è la vittima innocente, V fa la vittima. V per Vendetta è un film vittimistico dal principio alla fine (in questo senso ci possiamo ricollegare a quanto scritto da altri autori del Blog sul film Joker). Tutto il film mira a giustificare V per i crimini che compie: egli è una vittima innocente e perciò merita vendetta. Non c’è da ravvisare nessun meccanismo vittimario, perché esso è apertamente presentato, anzi talmente in primo piano da far dubitare che sia onesto!

C’è una battuta del film, che non ho ritrovato nella graphic novel, assolutamente emblematica in questo senso: V proclama

«Io sono il frutto di quello che mi è stato fatto. È il principio fondamentale dell’universo: a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria» (nell’originale «What was done to me created me. It’s a basic principle of the universe that every action causes an equal and opposing reaction»).

Come a dire: se io sono così non è colpa mia, non è mia responsabilità. È colpa della società sfruttatrice e violenta. Le mie violenze, i miei attentati, sono in realtà vendette legittime.

La prova del fatto che gli spettatori – me compreso s’intende – siano portati a perdonare tutto a V si ha quando questi tortura fisicamente e psicologicamente Evey, la ragazza che diventerà sua complice. V mette in scena una finta cattura da parte degli agenti del Norsefire: la fa rinchiudere per settimane in una cella, picchiare, interrogare, le fa radere tutti i capelli, la riduce a uno scheletro umano… il tutto per farla emancipare dalle sue paure, illusioni, ristrettezze mentali, e convertire alla verità dell’anarchia. E questo processo riesce: Evey, quando scopre di essere stata ingannata, inizialmente è allibita, arrabbiata, infuriata, disperata, ma infine il suo stesso aguzzino le svela di aver fatto tutto per lei, per farla finalmente svegliare, e così il nuovo individuo libero Evey rinasce dall’acqua di una pioggia torrenziale, così come V era nato dal fuoco.



Ovviamente qua nessuno si sognerebbe di tirare in ballo sindrome di Stoccolma o chissà che: se una volontaria di una ONG come Silvia Romano si converte all’islam dopo mesi di reclusione forzata nelle mani di terroristi musulmani, allora deve essere stata violentata psicologicamente, mentre se una ragazza tenuta prigioniera per settimane da un anarchico diventa improvvisamente anarchica allora la sua è un’illuminazione, un’emancipazione, un aver trovato il proprio “vero Sé”. Anzi, quello che V compie su Evey non è terrorismo psicologico, bensì sarebbe un atto d’amore, come lui stesso dichiara. Certo.

Per fortuna è stato proprio un filosofo anarcoide pazzo d’intelligenza, Slavoj Žižek, a criticare V per Vendetta, scorgendo al di sotto dell’immagine superficiale e manichea che il film si sforza di presentare, un elemento molto più interessante e profondo: la somiglianza ambigua tra V e il dittatore Adam Sutler (che nel fumetto si chiama Susan, sì lo so). Quella dell’esercizio della violenza psicologica è solo uno degli elementi che rende i due personaggi dei “doppi mimetici”. Seguiamo Žižek:

«Nonostante V per Vendetta sia stato elogiato (niente meno che da Toni Negri, tra gli altri) e, ancor di più, criticato per la sua posizione “radicale” – finanche pro-terroristica – esso non va fino in fondo: si esime dal trarre le conseguenze del parallelismo tra “V” e Sutler. Il partito del Norsefire, infatti, come apprendiamo, è l’istigatore del terrore che sta combattendo – ma cosa dire dell’ulteriore identità tra Sutler e “V”? In entrambi i casi, non vediamo mai il volto vivente del personaggio (a parte, alla fine, quello di Sutler terrorizzato, quando sta per morire): vediamo Sutler soltanto su degli schermi televisivi, e “V” è uno specialista nel manipolare lo schermo. Inoltre, il corpo morto di “V” è posto sul treno con l’esplosivo, in una sorta di funerale vichingo che stranamente rievoca il nome del partito di governo: Norsefire. Così, l’episodio in cui Evey – la ragazza che si unisce a “V” – viene imprigionata e torturata dallo stesso “V” per imparare a superare la paura ed essere libera, non è forse da porre in stretta analogia con ciò che Sutler fa a tutta la popolazione inglese, terrorizzandola affinché divenga libera e ribelle? Visto che il modello di “V” è Guy Fawkes (egli indossa la maschera di Guy), è ancora più strano che il film si rifiuti di trarre l’evidente lezione chestertoniana dalla propria trama: l’identità ultima tra “V” e Sutler. In altre parole, la scena mancante del film sarebbe quella in cui, quando Evey toglie la maschera del morente “V”, si vedrebbe al di sotto il volto di Sutler»[1].

Žižek forse non aveva visto il film da qualche tempo, perché altrimenti si sarebbe ricordato che una scena simile in realtà c’è, anche se ben “mascherata”!

Il conduttore televisivo Gordon, fuorilegge in quanto omosessuale, galvanizzato da ciò che sta facendo V mette in scena un siparietto comico in cui si permette di sbeffeggiare il dittatore Sutler in diretta nazionale, pensando di passarla liscia… mentre poco dopo viene ovviamente ucciso.

Il fatto interessante è che nel siparietto un finto Sutler viene preso in giro da un finto V, ma quando Sutler fa arrestare V dalle guardie e gli fa togliere la maschera… al di sotto si scopre che c’è Sutler stesso. A quel punto non si sa più chi sia Sutler e chi sia V, e i due si puntano il dito l’uno l’altro e si scambiano battute che definire mimetiche è persino superfluo:

1 – “Io sono il vostro cancelliere, lasciatemi stare!”
2 – “No, io sono il cancelliere!”

1 – “Soldati, quell’uomo è un terrorista!”
2 – “Vi ordino di sparare a quel traditore!”

E via così. Finché entrambi urlano “fuoco” e entrambi vengono uccisi. Esattamente come alla fine del film.

V è l’altra faccia del potere violento. Non il suo agnello innocente, né il suo capro espiatorio. Ma la sua maschera.

Note
[1] S. Žižek, J. Milbank, La Mostruosità di Cristo, Transeuropa 2010, p. 58.

di Damiano Bondi

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