Gli anelli del potere e il fan-baiting

La tecnologia delle anime e i dispositivi di governo



Navigando su Twitter, mi sono imbattuto in questo thread.

Il fan-baiting sarebbe quindi una strategia di marketing volta a suscitare di proposito la zuffa tra i fruitori di un prodotto, al fine di sfruttare come pubblicità gratuita la risonanza mediatica che questi alterchi avrebbero (l’importante è che se ne parli recita quello che ormai può essere definito un motto della saggezza impersonale globale della società di consumo, perché chiamarla saggezza popolare cozza alquanto con l’afflato omogeneizzante del contemporaneo, nonché offensivo nei confronti delle tradizionali saggezze popolari).

In questa strategia, in primo luogo si esporrebbero di proposito attori alla molestia da parte del pubblico, suscitando il riconoscimento della persona degli attori esclusivamente in virtù di una differenza (sessuale, etnica, etc.) che sarebbe così posta dalla produzione stessa quale elemento cardine del riconoscimento; una forma di discriminazione, in fondo, in quanto indica una caratteristica personale come fattore che permette di identificare primariamente (discriminare, nel senso etimologico) tale persona. E già qui, i miei sensi girardiani mi pongono in allerta.

In secondo luogo, questa strategia punterebbe a suscitare la controreazione di un bacino di fruitori diverso, magari non strettamente interessato al tema oggetto della nuova produzione (come la nuova saga ispirata a Tolkien): questo bacino di utenti da una parte non solo prenderebbe parte all’alterco, mosso dal proprio afflato dei buoni sentimenti, che ingiungono di scendere in campo in difesa della vittima, senza questionare chi sia il carnefice – colui che tale l’ha resa, e senza questionare quali siano le strategie da questo messo in atto (o, per una maggiore evocazione foucaultiana, i dispositivi che vengono messi in atto), ma si unirebbero compiaciuti alle file dei fruitori attivi del nuovo prodotto. Nuovi consumatori.

Al di là delle intenzioni argomentative dell’autore dei tweet, da lettore di Girard non ho potuto non sentirlo chiamato in causa.

Questa presunta strategia di marketing sfrutterebbe quindi tanto la rivalità mimetica e il risentimento che suscita l’uno nell’altro l’alterigia con cui i contendenti si guardano reciprocamente dall’alto in basso e si oppongono l’uno all’altro, quanto la disposizione di un selezionato capro espiatorio, disposto non per riattivare il meccanismo del sacro e ristabilire l’ordine e la concordia con il sangue della vittima, ma per fomentare la stessa crisi di indifferenziazione mimetica facendo intervenire una falsa parola di verità che non svela il meccanismo sacrificale in corso, lo rivela appunto per ri-velarlo, occultarlo dietro questa proliferazione di una parola-rituale di denuncia. Così viene neutralizzato lo svelamento del meccanismo del capro espiatorio, indicandolo solo per fomentare una nuova polarizzazione.

La strategia messa in atto come fan-baiting propone così lo schiacciamento degli utenti-fruitori a soggettualità mimetiche articolate su una differenziazione romantica e binaria proposta dal marketing. È un riduzionismo delle soggettualità al romanticismo della purezza, meglio, all’imitazione binaria di un romanticismo della purezza: o quella dei buoni sentimenti sempre ligi nel condannare, o quella dell’aderenza apotropaica a una tradizione o a un culto filologico delle fonti.



Per chi ha ormai, come chi scrive, alcune primavere alle spalle, non sarà difficile ricordare l’effetto creato dai primi episodi di guerrilla marketing: si poneva alla popolazione della città come un evento, un evento artistico, a volte, ma sempre un evento che suscitava la parola; poneva l’urgenza di prendere una posizione, di farne parte. Di fatto, il guerrilla marketing è anch’esso un dispositivo che ritaglia delle posizioni per i soggetti e per gli oggetti, proprio perché innanzitutto ritaglia sia delle forme di soggettualità fruitrici, delle trame sinestetiche, sia perché ritaglia dei discorsi – e anche in essi ovviamente delle forme soggetto-oggetto – dei racconti della propria esperienza, dei racconti di sé dai quali si estrae foucaultianamente un sapere che costituirà l’archivio su cui si continueranno modulare le soggettualità, un sapere che è, appunto, potere, potere di produzione del reale[1]. È un dispositivo di governo, in senso foucaultiano. È quindi un dispositivo che non si limita a proporre un’occasione di consumo ai soggetti, ma propone delle forme di soggettualità come oggetti di consumo per attingere alla possibilità di realizzarsi romanticamente a pieno. Propone alle singolarità delle soggettualità che risultano di consumo da parte dello stesso sistema sapere-potere, che può estrarre da esse delle forze disciplinate, le quali convergono entro delle relazioni per esso profittevoli.

Alla ricerca su internet di ulteriori informazioni su questo fenomeno, mi sono imbattuto in un altro autore che, considerando questo fenomeno, si chiedeva «ma i produttori amano i propri fan?»; non ricordo se fosse un articolo o un tweet, accidenti a non averlo salvato, ma non posso che condividere la domanda che veniva posta, e prenderla addirittura come una domanda retorica.

No, non amano i propri fan. Amano il valore monetario che possono estrarre dalla forma di soggettualità che i fan collaborano a costruirsi, il valore monetario che possono estrarre dalle forze, dalle dynameis che, così disciplinate, articolano profittevoli scambi.

Ancora peggio dello sfruttamento a fini monetari, l’aberrazione di questa strategia è proprio la sua natura di dispositivo foucaultiano, di strategia di un sistema sapere-potere che dispone per le singolarità una forma di soggettualità nella quale la natura mimetica prende esclusivamente la forma della competizione; nella quale la costruzione prospettica di relazioni discorsive che pongano l’urgenza di una differenziazione etica[2] come prassi della parrēsia, viene sostituita da competizioni verbali in cui anche la riflessione su un problema etico come quello della discriminazione diviene solo punto di differenziazione romantica polarizzante, di competizione per una prevaricazione dalla quale si ambisce ottenere la mostrina dei migliori con cui rivendicare la propria superiorità.

L’aberrazione è quella di consegnare alle singolarità, quale unica forma in cui abitare il mondo, un campo di relazioni attorno cui costruirsi il quale dispone un soggettualità abitata dal risentimento del sottosuolo, dal romanticismo, dalle passioni tristi della speranza data solo dal dominio dell’altro. Alterità che cessa di esistere se non come strumento, come estensione di tale dominio o dei propri fantasmi.

Ma anche per l’ultimo Foucault esisteva una possibilità di disarticolare il campo cui ci assegna il dispositivo, disarticolandone le prassi.

Quindi, «No grazie, non compro niente». O, se preferite, «I would prefer not».

Note
[1] Cfr. M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione (1975).
[2] Cfr. M. Foucault, Il coraggio della verità. Il governo di sé e degli altri II. Corso al Collège de France (1984).

di Simone Berno

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