Il Fervore



Il tema di questo numero è il prosieguo naturale del precedente, “naturale” in tutti i sensi.

L’oggetto della scorsa edizione, infatti, era (per chi lo ricorda) il Ricettivo, la fertilità e il femminile, cluster di archetipi legati alla Terra, resa simbolicamente da sei linee yin (il femmineo della coppia Yin-Yang) disegnate una sopra l’altra. Il capitolo 16 dell’I Ching, invece, è contrassegnato da un simbolo che, rispetto al precedente, modifica una sola linea yin trasformandola in yang, il che sembra trascurabile ma lascia spazio a ricche interpretazioni. L’elemento naturale superiore diventa quello del Tuono, l’elemento inferiore rimane quello della Terra, suggerendo quindi un fenomeno naturale celeste che, in elettricità e fragore, si abbatte al suolo. Da qui l’idea di un fervore!

C’è qualcosa di cosmogonico in questa dinamica. Anche i cinesi, in effetti, hanno una loro Genesi di sapore quasi vedico, nella figura titanica di Pangu, dio del tuono e creatore dell’universo, il quale per mezzo di una saetta usata a mo’ di ascia separa il cielo (Yang) dalla terra (Yin), avviando il divenire nel suo gioco di opposti.

Di qui, un tornado di forze antagoniste riecheggia nei miti eziologici di quasi tutto il bacino indo-iranico. In India abbiamo la lotta tra Indra, dio del tuono, e Varuna, dio dei cieli ma anche della terra. Quest’ultimo, come molti suoi fratelli, trasmigra poi etimologicamente in Iran nella divinità di Ahura-Mazda, fino a quella ellenica di Urano, non a caso tutte identificabili in figure arcaiche, ossia: le divinità di qualcun altro, di qualche popolo preistorico, forse nemico, forse sconfitto. Ci restano i fossili di questi antenati, sottoforma di reliquie simboliche. Il fulmine è ciò che rimane sepolto sotto la terra del nostro panorama mitico. Si tratta di Vajra, la folgore adamantina che usa Indra per separare gli elementi della terra e del cielo, proprio come Pangu, proprio come Zeus, proprio come Thor. Se ne impossessa anche Perun, dio del tuono nel panteon slavo, per combattere contro Veles, dio della terra, in cui di nuovo risuona la radice di “Varuna”. Questa potente arma è un sinolo di fulmine e tuono, di scintilla e boato, di lux creatrice e Verbo iniziatico.



Vajra diverrà, avanti nei secoli, effige della strenua via buddhista verso l’illuminazione, poiché se l’aggiudicherà il bodhisattva Mañjuśrī nel suo aspetto irato, trasformandosi appunto in Vajrabhairava, “Il feroce adamantino”. Per chi volesse un tremore iconico, visiti la collezione permanente nei musei del Castello Sforzesco. Pare che dopo la guerra, ricostruendo le mura abbattute dai bombardamenti, sia stata rinvenuta una grande e inquietante statua orientale che lo raffigura, e ancora oggi non si capisce bene da dove provenga, forse trafugata chissà dove e abbandonata dai nazisti durante la frenetica ritirata.

Interessante, circa l’assimilazione buddhista del tuono-fulmine di Vajra, è l’idea che la stessa arma che, nelle mani di Indra, separò agli albori gli enti del cosmo, sia anche in grado di riunirli nella sintesi panteista del Dharma, se usata a dovere dagli illuminati. C’è un simile spunto nello sciamanismo siberiano, dove il nume Sjujule-Chaan usa il tuono-fulmine per smembrare e poi ricomporre il corpo di un potente sciamano. Oltre che a Osiride, ci fa pensare alla morte di Romolo che, secondo l’agiografia, fu colpito da un lampo ed eternato per miracolo durante una tempesta nella divinità di Quirino. Secondo le cronache, al contrario, i senatori lo squartarono e ne trafugarono i pezzi sotto le rosse toghe.



Per concludere il tour sul nostro tappeto volante, invito a un approfondimento sorto da una digressione cui si concede il testo dell’I Ching rispetto alla musica, laddove dice che il tuono come «forza elettrica» si fa simile alla melodia come «oscura potenza dei sentimenti», come «fervore del cuore». Se infatti le divinità del tuono sono spesso legate ad accenti musicali, come Raijin, dio giapponese del tuono con sempre in mano grandi tamburi, ci si può fermare a riflettere sul fatto che il delay percettivo fra l’apparizione del fulmine e l’insorgere del tuono scardina, nella cognizione arcaica, la confidenza verso i rapporti causa-effetto, invocando una spiegazione ulteriore che chiama in causa un apporto divino. Il Tuono è forse la prima delle divinità animiste, poiché il suo schianto risuona alle orecchie degli antichi come un autentico acusma, un fantasma sensoriale la cui fonte d’emissione è invisibile e, perciò, sovrumana. È quindi già di per sé “musica” in quanto «metafisica dei suoni», per dirla con Schopenhauer, e ciò era vivamente avvertito anche dalla cultura confuciana che a lungo ha incubato il testo dell’I Ching. Confucio lodava la musica per il suo effetto catartico sulle emozioni pericolose, e nello Yueji, il Trattato sulla musica tradizionale cinese, scritto fra il I e il II secolo a.C. nell’epoca degli Han occidentali, si dice che la musica origina dal cuore dell’uomo e rientra nel sistema cosmologico cinese grazie al potere di mettere in sintonia le energie dell’Yin e dello Yang.

«Gli antichi re facevano della musica», vaticina l’I Ching, «Per onorare i meriti. E la presentavano come magnifica offerta al Dio supremo».

Alla voce altitonante degli dèi, insomma, risponde con un’eco la musica degli uomini.

di Federico Filippo Fagotto

Autore

  • Federico Filippo si risveglia dal sonno dogmatico nella bella facoltà di Filosofia in Statale e si riaddormenta con gli studi a Venezia. Tornato a Milano, dopo il gong della laurea in Scienze Filosofiche, inizia collaborazioni con la cattedra di Estetica e nel frattempo, in fuga dall’accademismo, ha la fortuna di radunare un gruppo di ragazzi pieni di stoffa e fondare la rivista di arte e cultura La Tigre di Carta, cui segue l’Associazione culturale La Taiga che gestisce il teatro e circolo culturale Corte dei Miracoli. Fra editoria ed eventi, gioca col violoncello il bridge e lo yoga. Tutto ciò non fa bene alla salute... meglio scrivere!