Nel Paese degli agnostici

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Il giorno in cui nacque il piccolo Jacopo, suo padre, Amedeo l’ebreo, era in birreria con l’agnostico Giacomo, il suo più vecchio e caro amico.

Sarah aveva avuto undici ore di travaglio, senza pausa pranzo. Era entrata in ospedale alle otto del mattino e ne era uscita alle sette di sera, con la borsa dei pannolini sulla spalla sinistra e il piccolo Jacopo saldamente attaccato alla tetta destra.

Sul tavolo c’erano soltanto: un posacenere, il permesso temporaneo di uscita di Amedeo e il cellulare da taschino di ultima generazione, con rifiniture in ebano, di Giacomo.

L’oste sarà passato una mezza dozzina di volte a quel tavolo per controllare quei due, svuotare il posacenere dai mozziconi o pulire il legno dalle chiazze di negroni sbagliato.

Tremavano tanto. Soprattutto con il bicchiere in mano. Nessuno dei due però aveva paura: Giacomo era timido, non sopportava gli sguardi fissi, di confusione e di disprezzo, degli altri clienti, disposti a cerchio attorno a loro (chissà perché Amedeo aveva prenotato proprio il tavolino al centro del bar?); Amedeo, invece, tremava dal freddo. Era giugno, indossava un golfino, ma ormai era abituato al caldo della bolla di vetro. Il ghetto nuovo, infatti, era una maestosa costruzione di design, una semisfera volutamente asimmetrica nell’antico quartiere sud-sudovest della città costituita da un unico, grande, blocco di vetro antiproiettile.

Fa caldo in una bolla di vetro. Ci si imbarazza a essere osservati dagli avventori di una birreria.

Dopo tre anni che non si vedevano, Amedeo rispondeva a tutte le domande del vecchio amico. Come si sta nel ghetto? In quanti siete? La popolazione è in aumento da queste parti, sui condomini della zona libera si costruiscono nuovi piani sopra quelli vecchi, sapessi quanto cozzano i moderni muri a vetro riflettente sopra quelli in mattone grezzo e granito, e la città continua ad allargare i propri confini, ma come fate voi che non potete espandervi in orizzontale, né sconfinare in verticale, sempre bloccati dalla bolla? È semplice, sorrideva Amedeo, i bambini, si mandano altrove.

A ogni risposta di Amedeo, Giacomo mostrava la sua migliore faccia stupita, esclamando: «Non ci posso credere!»

«Dovresti invece» gli bisbigliò all’ultima «è per questo che siamo qua».

A quel punto, davvero, Giacomo era confuso, a disagio, e incredulo.

Finì in sol sorso la birra che gli restava e corse, all’indietro, verso l’uscita. Un avventore, solo e dalla ciucca triste, improvvisò un applauso, finalmente rallegrato.

Ma Giacomo, fissato lo sguardo del suo vecchio amico, si ricompose. Andò al bancone e ordinò due bicchierini di grappa, che portò al tavolo.

Amedeo l’ebreo e l’agnostico Giacomo, sempre seduto il primo e ancora in piedi il secondo, brindarono assieme per la terza volta quella sera. Con mano ferma Giacomo, già che era in piedi, tenendo fisso lo sguardo verso l’altro seduto, si sistemò la camicia nei pantaloni ed estrasse il pettine dalla giacca, inumidito con l’unico liquido che aveva a portata di mano, per sistemarsi la riga dei capelli, dopo essersi asciugato con la propria cravatta il sudore dalla fronte.

«Quindi?» ruppe il silenzio Amedeo.

«Non posso aiutarti» inveì Giacomo, biascicando spazientito dalla richiesta di accogliere in casa propria un neonato fuggitivo «tengo famiglia. Perdonami» accesero ognuno la propria sigaretta «questa cosa è, come dire… troppo grossa».

Amedeo si alzò in piedi per raggiungere la statura dell’amico «Sai» ma non gli ressero le gambe e cadde sulla sedia «questa cosa non è reale» disse con l’osso sacro dolorante «quando sarà finita lo vedrai da te, spero solo di essere vivo anch’io per rinfacciartelo».

«È tanto reale da uccidere, invece».

«A me lo dici? Giacomo!» cominciava a stare bene seduto, soffocandosi la risata nella grappa. «Ti vedo ogni mattina passare davanti al ghetto, è sulla strada per il tuo lavoro? Prendi il caffè al bar di fronte, ti accendi una sigaretta e guardi attraverso il vetro. Sapete tutto, ma tanto non ci credete».

Amedeo si rimise il permesso di libera uscita in tasca, cacciò con uno schiaffo maldestro la mano di Giacomo che provava ad allungargli dei contanti, e s’incamminò in direzione del ghetto; ignorando l’avventore dalla ciucca triste, che di nuovo applaudiva.

di Daniel Bidussa

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