L’Attesa

attesa

Sul tema dell’Attesa si possono dire molte cose, e molte ne diranno gli articoli a seguire.

È quindi utile partire da un’immagine, quella che ci offre l’I Ching parlandoci dell’Esagramma n. 5: «Tutti gli esseri hanno bisogno di essere alimentati dall’alto. Ma l’elargizione di alimento ha il suo tempo e bisogna attenderlo». L’oracolo cinese desume questa sentenza ponderando, come sempre, sulla composizione grafica dei suoi simboli. In questo caso il simbolo Xu è composto dal trigramma dell’Acqua ( ) che sta sopra il trigramma del Cielo ( ), il che sembra un controsenso. Il libro lo risolve in modo temporale e non spaziale, interpretandolo cioè come: “acqua prima di cielo”, ergo usando l’ideogramma di “pioggia” () accanto a quello che significa: “e”, “poi”, “ma” (), donde l’idea dell’aspettativa della stagione pluviale, momento cruciale nella scala di valori arcaica. Ecco da dove proviene l’idea di un nutrimento.

Tuttavia, occorre lavorare sul senso, per evitare di confondere l’attesa con la stasi passiva tipica dell’attendismo messianico, anche perché l’immagine descritta dall’I Ching assomiglia fin troppo al versetto biblico sulla Manna dal cielo (Esodo, 16, 14-18). Infatti, il termine “manna” che proviene da Man hu – traducibile con “Che cos’è?” – rende bene l’idea dell’ignoto cui si va incontro nell’attesa, ma induce appunto una remissività ben diversa dalla cocciutaggine tutta epistemologica con cui invece si cerca di rispondere alla domanda fondamentale sul ti estì (il che cos’è della filosofia greca). È l’antropologia a regalarci l’aneddoto sul Culto del Cargo presso i melanesiani, che non sapendo cosa fossero e da dove venissero gli aiuti umanitari elargiti loro dagli occidentali, hanno finito per divinizzarli in un culto millenarista.

Esiste quindi una forma d’attesa, nella veste della speranza, che si connota in antitesi al principio di realtà. Per tenere la metafora del nutrimento, ricordiamo il famoso tacchino di Russell che, ingrassato ogni giorno, non può certo prevedere empiricamente di non venir sfamato per il suo piacere ma per la tavola di chi lo cucinerà.

attesa foresta pluviale

La seconda forma d’attesa, invece, cerca di andare incontro al principio di realtà, come credo tenti di fare – pur con i suoi strumenti archetipici – il testo dell’I Ching. Per dirla sempre in seno all’antropologia, ricordo qui le acute critiche mosse da Wittgenstein al Ramo d’oro di Frazer (nel testo: Note sul “Ramo d’oro” di Frazer,che chi scrive ha ritradotto all’interno del ‘The Ludwig Wittgenstein Project’). Come mai, provocava Wittgenstein, i nativi non eseguono la danza della pioggia durante la stagione secca, quando sarebbe loro più conveniente, ma appunto alle soglie della stagione delle piogge? Perché la magia cui fanno appello non controverte le leggi naturali, ma le asseconda anticipandole, in virtù di una forma d’attesa carica di presagi.

Ecco allora che l’immagine dell’acqua sopra il cielo, intesa come pioggia in procinto di rovesciarsi – quasi fosse il momento culminante e sospeso dell’urlo laocoontiano – è per un libro come l’I Ching un momento di autorispecchiamento. Se infatti il contrario dell’attesa è l’impazienza, che porta all’agire immediato, il vedere-prima-di-agire è l’essenza di qualsiasi oracolo. È dunque il nucleo dell’agire umano all’insegna della progettualità. L’impazienza è epimeteica – Epimeteo era colui che “vedendo dopo” (epi-meteo), agiva affrettatamente – mentre gli oracoli sono tutti “prometeici” (pro-meteo = “vedere prima”), in tutti i sensi di cui questo termine è stato stratificato nel tempo e in giusta risonanza con l’etimo del verbo ‘aspettare’ in quanto ad-specio = “guardare attentamente”.

Questa intensa osservazione anticipatrice prelude così all’attesa nel senso di “tendere verso”, cioè andare incontro a ciò che ci riguarda fatalmente. In fin dei conti, l’esatto opposto dell’attesa passiva così come noi la intendiamo.

Non è quindi l’attesa della morte, che tanto arriverà comunque ed è quindi, diremmo oggi, un dato non statistico, ovvero non incerto. È piuttosto l’attesa del significato, destinato a schiudersi solo in forza di un nostro intervento, il quale può rivelarsi in molteplici forme quali quelle della crisi (come in Aspettando Godot), o dell’amore (come nell’Amore ai tempi del colera).

attesa pioggia

Perciò, in attesa di leggere gli articoli che seguiranno, posso solo limitarmi a ingenerare nel lettore il senso di suspanse che prepara la sospensione d’incredulità del lettore e che contiene tanto l’attesa quanto la tensione. Cerco di farlo ricordando che “il medium è il messaggio”, per dirla con McLuhan. Avete cioè fra le mani uno strumento cartaceo, a suo modo (ormai) un pezzo d’antiquariato. Se nel lontano Medioevo il tempo della lettura coinvolgeva l’attesa, perché necessitava di decifrare e poi comprendere la grafia degli amanuensi, l’avvento della tipografia ha snellito quell’attesa ruminante permettendo all’occhio di scorrere sulla pagina grazie all’oggettivazione dei caratteri ortografici. Oggi avviene un ché di simile fra la cultura cartacea, in via d’estinzione, e quella digitale.

Se quindi i Classici, come l’I Ching, pur avendo perso la loro epoca non hanno perduto la loro funzione perché sono i libri che, come sappiamo, hanno sempre qualcosa da dire, i libri e le riviste di carta possono forse ancora indurre nel lettore un lieve scarto fra lettura e comprensione, apprestando il tempo disteso con cui si sfogliano e spulciano le pagine. Scarto nel quale scorre l’essenziale differenza fra prosa e poesia: la poesia è quella forma di scrittura in cui il tempo della lettura e quello della comprensione non coincidono. La poesia è l’attesa del significato che si rivela.

di Federico Filippo Fagotto

Autore

  • Federico Filippo si risveglia dal sonno dogmatico nella bella facoltà di Filosofia in Statale e si riaddormenta con gli studi a Venezia. Tornato a Milano, dopo il gong della laurea in Scienze Filosofiche, inizia collaborazioni con la cattedra di Estetica e nel frattempo, in fuga dall’accademismo, ha la fortuna di radunare un gruppo di ragazzi pieni di stoffa e fondare la rivista di arte e cultura La Tigre di Carta, cui segue l’Associazione culturale La Taiga che gestisce il teatro e circolo culturale Corte dei Miracoli. Fra editoria ed eventi, gioca col violoncello il bridge e lo yoga. Tutto ciò non fa bene alla salute... meglio scrivere!