L’amor vacui di Mimmo Jodice

Immaginario straniante di uno che guarda

mimmo jodice

16 ottobre 2021. MEET Digital Culture Center, Milano. Pronta ad ascoltare un mito del teatro visivo, mentre spettatori intorno a me esibiscono una conoscenza enciclopedica dei suoi spettacoli. Bob Wilson si presenta al pubblico:

(timidi colpi di tosse)

(colpi di tosse insistenti)

Good evening! e la traballante soglia di attenzione si riversa in un applauso liberatorio. Da un regista che ha esordito con le quattro ore di silenzio di Deafman Glance (1970) era il minimo che ci si potesse aspettare. Eppure un pubblico selezionato di ammiratori ha sopportato a stento quei tre minuti scarsi di silenzio. Chi scattava foto, chi registrava video, chi tossiva. Abituati a fluttuare sullo scorrere indistinto del tempo, non abbiamo più la pazienza di mettere a fuoco una struttura nel vuoto, di ascoltare un suono nel silenzio. Wilson scenografo disegna uno spazio di attesa funzionale alla connessione tra artista e pubblico. La distanza temporale è un elastico che accorcia quella spaziale, purché il silenzio contenga una decisa voglia di comunicare con gli altri. L’esagramma n.5 recita:

Attendere non è vuota speranza.

Vi è la certezza interiore del raggiungimento della meta.

Ora, la mia meta è scrivere l’articolo di fotografia. Riverberi mnemonici mi baluginano innanzi senza che io riesca a capire se mi sto concentrando o distraendo. Si tratta di una serie di scatti di Mimmo Jodice. Mi sorge un dubbio. Controllo la lunga lista dei suoi progetti fotografici e… ecco! Attesa è proprio il titolo di un suo progetto, oltre che di una corposa mostra antologica ospitata al museo Madre di Napoli nel 2016[1]. Il suo guardare lento si posa su un molo aggettante sopra un mare di nebbia, su una sedia osservatrice solitaria, su file di poltrone accovacciate senza pubblico.Attesa, riflessione, attenzione. Prima pensare, poi fotografare.

Un passo indietro. Nella Napoli degli anni Sessanta e Settanta, Mimmo Jodice ritaglia immagini piene, rumorose e ricche di gestualità partenopea per denunciare le degradanti condizioni in fabbriche, carceri, ospedali e documentare la straziante epidemia di colera nel centro storico più grande d’Italia (1973). Ma intensi anni di impegno civile strapiombano sulla risacca della delusione di non poter cambiare il mondo. L’alta marea della contestazione si ritira lasciando spazio a vuoto, silenzio, sospensione, riflessione. A partire dal 1980 le sue Vedute di Napoli segnano l’inizio della ricerca di zone di silenzio, di attesa, di riflessione, di resilienza. La figura umana è lasciata fuori dall’inquadratura, risultato di una scelta ponderata.

Pur percependo il termine metafisica come un’etichetta ostinatamente incollata alla sua produzione, Mimmo Jodice non nega l’ammirazione per le nature morte di Giorgio Morandi, per le sue bottiglie realizzate con lentezza meditata e affettuosa studiosità[2]. Le sue immagini stranianti appaiono in una dimensione senza tempo, fatta di un armonico intreccio tra passato, presente e futuro sospeso in un’attesa che nello stesso tempo è approdo per eterni ritorni. Passato, presente e futuro non sono colti nell’instantaneità dello scatto, ma attraverso la durata del processo fotografico. Il movimento non viene registrato dalla fotocamera, ma ricreato da Jodice nell’immagine stampata in camera oscura. In questo modo il fotografo esprime il proprio moto interiore accordandolo con quello di statue o persone, così preferisce chiamarle, manifestanti l’inquietudine di qualcosa che non ha mai cessato di esistere. Secoli di attesa approdano nel movimento delle stampe sotto l’ingranditore in camera oscura dove gesti mirati innestano una prolungata durata in frammenti di tempo. Oggetti inerti, chiusi nel buio, tornano a respirare grazie a una “archeologia dell’attesa” che fa dello smembramento percettivo il punto di osservazione privilegiato, mostrandoci rovine la cui incombente presenza incorpora l’assenza di quel che ne manca e la memoria di chi le creò[3].

I deserti luoghi di Jodice non sono vuoti definitivi. Per chi sa aspettare, qualcosa succede perché nel futuro anteriore il fotografo vive il presente della propria esperienza come il passato di un futuro. Ciò che non è, ma sarà stato[4].

La dimensione dell’attesa, ben lontana da un vacuo sguardo apatico, contiene un vuoto intriso dei ricordi impigliati di chi lo ha abitato. La quiete apparente nelle fotografie di Jodice palpita come un palcoscenico appena svestito del sipario, una scena vuota dove sta per succedere qualcosa.

Noi tutti viviamo nell’attesa, e non ce ne accorgiamo. Aspettiamo che succeda qualcosa o aspettiamo che qualcosa non succeda.

Jodice scandaglia senza sosta tutto ciò che lo circonda perché non si ritiene uno che fa fotografie, ma soprattutto, uno che guarda.

Amo queste piazzette solitarie, intercalate fra vie di scarso traffico, ed esse stesse senza maggior traffico delle vie. Sono radure inutili, cose in attesa, tra tumulti lontani. Sono piazzette di villaggio nella città[5].

Tra i soci fondatori del Touring Club Ciclistico Italiano (1894), Luigi Vittorio Bertarelli incoraggia i turisti a divenire costruttori di un nuovo immaginario privo delle banali fotografie di monumenti celebri ma ricco di vita quotidiana, costume locale e contesto. Appassionato viaggiatore ciclista nonché geografo e speleologo, raccomanda: Andate, pensate, fotografate.

Note

[1] Mimmo Jodice. Attesa / Waiting (dal/from 1960), Catalogo Mondadori Electa, 2018

[2] Longhi R., Momenti della pittura bolognese, Conferenza presso Università di Bologna, 1934

[3] Settis S., Incursioni. Arte contemporanea e tradizione, 2020 p. 143

[4] Chevrier J-F., Proust et la photographie. La résurrection de Venise, L’Arachnéen, Paris 2009 p. 51

[5] Pessoa F., Il libro dell’inquietudine, Universale Economica Feltrinelli, 2000 p. 111.

di Anna Laviosa

Credits
Figura 1. The Temptation of Saint Anthony. Regia di Bob Wilson e Bernice Johnson Reagon. Prodotto da Change Performing Arts Milano. Teatro degli Arcimboldi 2007 Foto di Laura Ferrari
Figura 2. The Old Woman. Regia scene e luci di Robert Wilson. Con Mikhail Baryshnikov (nella foto) e Willem Dafoe. Baryshnikov Productions, Change Performing Arts and The Watermill Center Project. Commissioato e prodotto da Manchester International Festival, Spoleto 56 Festival dei 2 Mondi, Théâtre de la Ville-Paris/Festival d’Automne à Paris, deSingel in Antwerp. Foto di Laura Ferrari 2013.


Autore