Ascesi nel pozzo e sulla Luna

«Una e la stessa è la via all’in su e la via all’in giù.»
Eraclito, frammento 60

«Più vicino ai marciapiedi dov’è vero quel che vedi…»
E la Luna bussò

“Ascendere” è una parola strana. Origina dal verbo latino “scandere” che, a sua volta, è ricondotto alla radice “skand” che significa sia muoversi verso l’alto sia muoversi verso il basso[1]. L’ascesa ha quindi sempre due sensi, uno esplicito e uno implicito. Come noterebbe Alice di Carroll dopo un assaggio di magici biscottini: mentre lei cresce e “ascende” le cose scendono e decrescono.

Si consideri tutto ciò nelle inevitabili implicazioni simboliche, visto che ora il discorso si dirigerà su un piano emblematico. Si può intendere l’ascendere, in metafora, anche come un processo che concerne l’intera Umanità.

La nostra ascensione, come specie, è iniziata quando abbiamo iniziato a distinguerci dagli altri animali. Prima ci siamo specializzati nella postura eretta e poi nel linguaggio. In seguito son venute la pastorizia, l’agricoltura e poi su, sempre più in su, alla conquista del cielo. Bene. Però sorge d’impeto una domanda: cos’è rimasto indietro? Cos’è finito nel pozzo, cos’è “asceso in basso” nel momento in cui, per riferirci all’evento massimamente emblematico, siamo saliti al punto più alto, sulla Luna?

Luna piena

Capture the Flag (Mike sulla Luna), un piccolo film d’animazione spagnolo uscito nei cinema nel 2015 (non in Italia), può aiutare a rispondere a questa domanda. Il film parte da un dubbio: «ma sulla Luna ci siamo andati veramente?» Il protagonista è un adolescente, Mike Goldwing, figlio e nipote di astronauti americani. Come molti ragazzini si dibatte tra i vari problemi legati alla sua età. Un’infatuazione per la ragazza irraggiungibile; il fatto di non aver mai vinto al suo gioco preferito (ruba bandiera praticata col kite-surf); il suo più grande cruccio è però l’incomunicabilità tra il padre e il nonno.

Almeno finché un giorno, mentre è al fast food coi genitori, un magnate della produzione energetica mostra in TV un film che svela che tutte le immagini dello sbarco lunare del 1969 son state, in verità, girate in studio da un regista (i cinefili vi riconosceranno facilmente un nome noto). L’allunaggio di Armstrong & Co. è stato una truffa, il moon hoax è la verità e non una leggenda.

Per chi non lo sapesse il moon hoax è un teorema complottista che ritiene un grande ed elaborato inganno lo sbarco americano sulla Luna. Tutte le argomentazioni di questo complotto si riducono a una: non ci sono prove direttamente verificabili dell’avvenuto allunaggio.

Le foto e i filmati? Potrebbero essere stati prodotti in studio (magari da Stanley Kubrick). Le rocce lunari? A poterne confermare la provenienza “extraterrestre” sono solo gli specialisti (geologi) che, oltretutto, potrebbero essere stati ingannati con artefatti. Le foto delle apparecchiature abbandonate scattate dai satelliti? Sono sempre e solo immagini (oltretutto spesso definite da enormi pixel che le rendono indecifrabili).

Insomma, per ogni prova presentata v’è il modo di sollevare un ragionevole dubbio. Uno degli argomenti più forti a favore dell’allunaggio è stato espresso da Umberto Eco. Il noto intellettuale ha fatto notare che un simile segreto avrebbe coinvolto troppe persone per rimanere a lungo tale. Tuttavia l’argomento appare oggi piuttosto debole. Non solo perché l’esistenza stessa d’una teoria del complotto lo contraddice, ma perché sappiamo che una semplice ditta d’auto (con molti più dipendenti della NASA) come la Volkswagen è riuscita a ingannare, per un decennio, quasi un miliardo di persone sulle sue emissioni “ecologiche”.

Il fascino di Capture the Flag sta nel fatto che, attraverso una storia d’avventura per ragazzi, ci offre degli spunti di riflessione sul tema del complotto lunare. In primo luogo il film mostra che anche chi sostiene che lo sbarco non è mai avvenuto potrebbe mentire per interesse. È il caso di Richard Carson (il tycoon di cui sopra). È infatti lui il vero falsario e non la NASA. È lui che ha fatto realizzare un falso filmato per screditare quelli veri. Una menzogna necessaria al suo scopo: accaparrarsi dell’Elio 3, preziosa risorsa energetica. Le prove dell’allunaggio del 1969 sono però d’ostacolo al suo diritto di monopolio. Per prima cosa deve dunque far sparire la famosa bandiera a stelle e strisce che da lassù svetta. Appronta quindi un razzo per impossessarsene. Il governo americano naturalmente capisce al volo a cosa punta Carson e prende una contromisura: gli astronauti della NASA dovranno anticipare Carson.

La corsa allo Spazio è dunque ricominciata e al comando della missione c’è proprio il padre di Mike. Purtroppo un incidente lo mette fuori gioco (come era già accaduto al nonno di Mike anni prima). Il papà di Mike deve rinunciare al suo sogno. Ancora una volta nessun Goldwing andrà sulla Luna. Sarà Mike a spezzare la «maledizione dei Goldwing». Volerà sulla Luna con il nonno, fermerà il cattivone e dimostrerà che Armstrong, cinquanta anni fa, lassù c’è stato.

Capture the Flag non si limita solo a offrire lo spunto per vivere o rivivere una delle più tipiche fantasie infantili (fare l’astronauta) ma suggerisce, implicitamente, che ogni dubbio sugli allunaggi americani cesserà solo quando l’ascendere sulla Luna sarà alla portata di bambini e vecchietti. Solo costoro metterebbero a tacere ogni assurda voce di falso. Solo alla concreta possibilità di viaggiare fin lassù per ciascuno non si può resistere.

Un fatto che la dice lunga sulla nostra specie e su come funziona la nostra adesione alla verità. Non a caso l’indimostrabilità definitiva d’un qualsiasi evento storico accade più di frequente di quel che si creda. Si pensi al negazionismo. Senza i testimoni diretti e il loro interesse a mantenere viva la verità della Shoah i dubbi sollevati da quanti negano i campi di sterminio sarebbero già oggi poco rintuzzabili.

Non solo lo scetticismo trova campi fertili là dove le verità appaiono inutili alla quotidianità della vita, ma è in questa stessa inutilità che s’accende viva l’immaginazione e proprio per questo ogni avvenimento degno di nota rischia di seguire la parabola del sacco di Troia e trasformarsi in leggenda.

Lo stesso avviene per l’allunaggio del 1969. In circa una generazione quell’evento è già per molti questione di fede, oggetto di credenza e in quanto tale sottoposto alle tensioni di forze immaginifiche o a distorsioni motivate spesso da idiosincrasie o speranze. L’odio o la disistima verso gli Stati Uniti, ad esempio, sono stati i pistoni che hanno alimentato il motore del moon hoax.

Non solo i pregiudizi negativi, naturalmente, possono interferire con la verità oggettiva. Se i pregiudizi sostengono i nostri dubbi, sono le speranze che accendono le credenze. È vero infatti che, indipendentemente dalla verità o meno d’un accadimento, spesso aderiamo a un racconto solo perché s’adatta alle nostre aspettative. Allo sbarco lunare la maggior parte degli esseri umani vuole e vorrà a lungo credere con forza, che esso sia incontrovertibile o no. L’allunaggio simboleggia la massima ascesa di cui è stata capace una scimmia implume, ma coraggiosa a sufficienza da calarsi dall’albero e ascendere al vuoto cosmico.

Proprio questo risponde alla domanda iniziale: «cos’è scivolato in basso, nel pozzo, mentre salivamo?». La risposta è semplice: la Terra tutta. Uno scivolare che è simbolico. C’è un rapporto diretto tra la mancanza di rispetto dell’Uomo dell’Antropocene verso la Natura e l’idea, rafforzata dall’ascesa sulla Luna, che di questo pianeta non avremo bisogno ancora a lungo. Così, se un dì venisse veramente rivelata la falsità dell’allunaggio, le energie psichiche del pianeta smetterebbero di rivolgersi in alto, verso la fuga stellare e si concentrerebbero sui problemi ecologici e politici del mondo. Perché, a furia d’ascendere verso le stelle, ciò che sta scivolando indietro, nel buio e sporco pozzo, è casa nostra.

Note

[1] La radice è ovviamente la stessa di “scendere”. Cfr. www.etimo.it.

di Amedeo Liberti

Autore

  • È redattore de La Tigre di Carta. Dopo gli studi di Filosofia e in Analisi e Gestione dell'Ambiente e del Paesaggio, si dedica alla sua terza grande passione assieme a Pensiero Teoretico ed Ecologia, fare il videomaker. Un suo corto "La Banalità Del Mare" è stato accettato al XIII Siena Short Film Festival. Oggi lavora come proiezionista per la Fondazione Cineteca Italiana. In pratica è sempre al cinema.