L’impressionismo di Zandò

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di Ilaria Iannuzzi

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C’è un punto preciso nello spazio e nel tempo in cui, nella storia dell’arte, si affaccia La compagnia fra gli uomini: è una storia che più nota non si può e comincia a Parigi, nel 1874.

Fino a quel momento, gruppi di artisti avevano certamente lavorato a stretto contatto, vi erano state scuole e botteghe, ma si trattava di tutt’altra storia, o meglio di tutt’altro esagramma: L’esercito. Ora, invece di un capomastro alla testa di una truppa armata di pennello o scalpello, una compagnia di uomini si trova in un caffè parigino, si scambia idee, si influenza a vicenda e forma un fronte comune contro l’accademismo. Ma, appunto, è una storia che più nota non si può: come può valere la pena raccontarla di nuovo?

Oggi c’è un gran parlare di “mostre inutili”. Gli esperti, ma anche i semplici appassionati d’arte, hanno spesso la sgradevole sensazione che molte delle esposizioni temporanee che ogni anno fanno viaggiare qualche quadro famoso nelle nostre città non siano altro che delle mosse commerciali che non hanno in verità molto da raccontare.

Se dunque ci domandiamo come si possa parlare ancora dell’impressionismo senza farlo sembrare una storia trita e ritrita, o peggio una mossa commerciale, una bella risposta possiamo trovarla a Palazzo Zabarella, a Padova.

Ci sono due motivi per cui la mostra “L’impressionismo di Zandomeneghi” (inaugurata a ottobre e in conclusione a gennaio) ci restituisce un’esperienza inedita. In primo luogo, la prospettiva che sceglie per raccontarci l’avventura della nostra rivoluzionaria compagnia di uomini è quella di uno di uno dei suoi protagonisti forse più a margine dell’attenzione, ma sicuramente dalla stessa capacità di ammaliarci: il veneziano Federico Zandomeneghi, Zandò per gli amici. Oltre cento opere provenienti da collezioni italiane e internazionali celebrano il centenario della morte di questo Italien de Paris, restituendoci la possibilità di ripercorrere tutto il suo itinerario artistico e di riscoprire il suo talento e il suo elegante fascino..

tè-zandomeneghiZandomeneghi nasce a Venezia nel 1841 in una famiglia di scultori, ma scopre presto la sua vocazione per la pittura. Nelle prime sale al piano terra di Palazzo Zabarella osserviamo la sua iniziale adesione alla pittura di storia di stampo romantico, poi ci muoviamo verso la sua emancipazione verso uno stile più moderno e sperimentale – quello dei Macchiaioli – e la dedizione a temi di impegno sociale.

Poi saliamo le scale e l’ondata di colore che ci travolge ci fa immediatamente comprendere che siamo arrivati in quel punto nello spazio e nel tempo cruciale e magico per la storia dell’arte: Parigi, 1874. Per tutto il secondo piano vediamo Zandomeneghi fare conoscenza con la vita moderna, legarsi alla compagnia che frequentava il caffè Nouvelle Athènes, diventare pittore della belle époque. Scene di matinée a teatro, passeggiate su boulevard, incontri nei bar: questi divengono i suoi soggetti preferiti. Ma, soprattutto, sono le donne che monopolizzano la scena sulla sua tela. Zandomeneghi le ritrae nei momenti di vita quotidiana, durante il rituale della toilette, impegnate nella lettura, mentre bevono il tè, mentre chiacchierano..

la-lecture-zandomeneghiLe pennellate sono vibranti e luminose come quelle di Renoir, i tagli asimmetrici e “fotografici” come quelli di Degas, ma il tratto ha una morbidezza tutta sua. Grandissimo maestro nell’uso dei pastelli, Zandomeneghi, con una tecnica raffinatissima, riusciva a ricrearne gli stessi effetti soffici e pastosi anche con gli oli; e così, guardando i suoi quadri, si ha la sensazione di poter accarezzare il gatto accovacciato sul grembo di una ragazza, i vaporosi capelli di una donna, i velluti delle tappezzerie e i cuscini, e bisogna davvero frenarsi dalla tentazione di allungare la mano verso la tela!.

Ma – abbiamo detto – c’è un secondo motivo per cui la mostra sul nostro Zandò (ormai possiamo chiamarlo così, tanto ci siamo affezionati) è inedita e rilevante, e questo è la consistente presenza di opere provenienti da collezioni private. L’allestimento ci regala la preziosa occasione di ammirare opere altrimenti inaccessibili, riportandole, almeno per un po’, in compagnia degli uomini.

Autore

  • Comincia gli studi a Pisa per poi approdare a Milano, dove si laurea in filosofia. Grande appassionata di arte, si ostina ad andare in giro senza gli occhiali per vedere il mondo come se fosse un quadro impressionista.