L’indovinello e il paradosso

di Gabriele Pichierri

///

Pesare un mattone per far nascere infiniti problemi numerici. I matematici si avvicinano gradualmente alla soluzione, confidando nella fantasia più che nelle apparenti intuizioni.

Un professore delle medie propose alla classe il seguente indovinello: un mattone pesa un chilo più mezzo mattone, quanto pesa il mattone? Rispondemmo subito e istintivamente «un chilo e mezzo!», ma di fronte al suo ghigno sarcastico ci rendemmo conto che qualcosa non torna. L’algebra, nonostante la sua fama infelice, è lo strumento più potente in queste circostanze. Se x è il peso del mattone, sappiamo che x = 1 kg + x/2, e moltiplicando per 2 a destra e sinistra dell’uguale e poi sottraendo x da entrambi i lati otteniamo x = 2 kg.
Non è difficile afferrare il ragionamento che porta alla giusta soluzione. Il mattone è stato diviso in due, e una metà pesa 1 kg, quindi tutto il mattone ne pesa due. Nota la soluzione, la matematica appare poco profonda, ma abbiamo imparato a non fidarci troppo delle nostre intuizioni.
Proviamo allora a spingere la matematica verso paesaggi più interessanti. Abbiamo diviso il mattone da 2 kg in due metà, entrambe da 1 kg. Dividiamo una di queste metà a sua volta a metà, ovvero in due quarti di mattone, e poi uno di questi quarti in due ottavi, e proseguiamo gradualmente. Facciamolo infinite volte! Otteniamo (si veda la Figura) infiniti pezzi di mattone. In chili, il primo pesa 1, il secondo pesa 1/2, il terzo 1/4 e così via: abbiamo la successione numerica (tralasciando l’unità di misura)

1, 1/2, 1/4, 1/8, 1/16, … 1/2n, …

Questa si chiama successione geometrica di ragione 1/2, poiché ogni termine si ottiene dal precedente moltiplicandolo per il fattore fisso 1/2. Pensiamo ora di mettere tutti i pezzi di mattone uno dopo l’altro su una bilancia: quanti chili di mattone pesiamo? Scriviamo ciò che otteniamo ad ogni pesata (in chili):

prima pesata: 1= 2−1,
seconda pesata: 1+1/2, = 1.5 = 2−1/2
terza pesata: 1+1/2+1/4 = 1.75 = 2−1/4,
… ,
(n+1)-esima pesata: 2−1/2n,

Sembra che non riusciremo mai a raggiungere il totale dei 2 kg iniziali. Sulla bilancia manca sempre un pezzo di mattone, il quale viene tagliato a metà, solo una delle quali viene aggiunta alla bilancia; l’altra metà viene ulteriormente divisa al passo successivo, e il processo si ripete. Ogni somma parziale (ovvero la pesatura in chili a ogni passo) è sempre strettamente minore di 2. Intuitivamente sembra che per quanto continuiamo ad aggiungere pezzo dopo pezzo non riusciremo mai a ricostruire tutto il mattone. Zenone colpisce ancora! Come si esce dal paradosso?
Il problema è che facciamo una grossa fatica a maneggiare processi infiniti. Riusciamo a immaginarci la situazione a ogni singolo passaggio, “al finito” si direbbe, ma capire cosa accade dopo il compimento delle infinite somme va oltre la nostra intuizione. Per definire la somma di tutti gli infiniti termini dobbiamo di nuovo usare gli strumenti astratti della matematica. Nasce il concetto di serie numerica, ovvero di somma di infiniti addendi a0+a1+a2+ …, in breve indicata solo formalmente con:

i=0+∞ ai .

L’idea è che si vuole assegnare un valore numerico a questa serie formale, affinché esso rappresenti la somma infinita in una maniera naturale. La scelta tipica è quella di guardare alle somme parziali, ovvero alla successione numerica:

s0 = a0,
s1 = a0+a1,
s2 = a0+a1+a2,
… ,

e controllare se si stanno avvicinando a un qualche numero. Si invoca poi la nozione cruciale di limite di una successione numerica, la cui definizione formale è quella con gli epsilon piccoli a piacere, ma non è necessario riportarla ora. Torniamo al nostro esempio dei pezzi di mattone e scriviamo la successione di somme parziali:

1, 1.5, 1.75, 1.825, 1.9375, … , 1.998046875, …

Ci rendiamo conto che, sebbene ogni somma parziale sia un numero più piccolo di 2, queste somme si stanno avvicinando al numero 2 sempre di più. Detto in altre parole: le somme parziali sono definitivamente maggiori di qualsiasi numero fissato più piccolo di 2 ma arbitrariamente vicino a 2, a patto di sommare un numero abbastanza alto ma comunque finito di termini. Quindi assegniamo alla somma infinita 1+1/2+1/4+1/8 + … il valore numerico 2. Il matematico risponde così a Zenone: se tu puoi dividere lo spazio in infiniti “segmentini”, allora io posso sommare infiniti addendi, e il risultato risolve il paradosso[1].
Tornando però al nostro indovinello e a come lo abbiamo risolto, sorge il dubbio che risolvendo una qualche equazione con un po’ di algebra sarebbe possibile risalire al valore numerico della somma infinita senza parlare di limiti. Tuttavia abbiamo imparato in un numero precedente che quando si vogliono fare operazioni con oggetti nuovi (nello specifico si parlava della divisione per zero) bisogna sempre essere molto cauti, pena l’introduzione di contraddizioni. Lo stesso discorso vale per le somme infinite. Intendo mostrare due casi: se nel primo sembra andare tutto bene, con il secondo ci rendiamo conto che la questione può essere egualmente sfuggente.
Prendiamo ancora la nostra successione geometrica: 1, 1/2, 1/4, 1/8, 1/16, … . Facciamo finta di non sapere quanto faccia la somma degli infiniti termini della successione, e chiamiamola S:

S = 1+1/2+1/4+1/8+ …                                                                     (1).

Moltiplichiamo ora ogni termine della successione per 2, ottenendo così la nuova successione 2, 1, 1/2, 1/8, … . Sommando i termini di questa seconda successione dovremmo ottenere 2S, per la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione, quindi:

2S = 2+1+1/2+1/4+1/8 …                                                                     (2).

matematica08

La suddivisione successiva del “mattone” a metà risulta in un infinito numero di pezzi.

Ora sottraiamo la (1) dalla (2): notiamo che tutti gli addendi a destra dell’uguale nella formula (2) si cancellano esattamente con i termini a destra dell’uguale della formula (1), tranne per il primo addendo 2, mentre a sinistra dell’uguale abbiamo semplicemente 2S−S = S. Quindi troviamo: S = 2, che è quello che ci aspettavamo: tutto torna.
Prendiamo ora un’altra successione: +1, −1, +1, −1, +1, −1, …; vogliamo sommare tutti i termini tra loro. Potremmo raggruppare gli addendi così: (+1−1)+(+1−1)+(+1−1)+… = 0+0+… che fa chiaramente 0. Oppure possiamo raggruppare gli addendi così: +1+(−1+1)+(−1+1)+… = 1+0+0+… che fa chiaramente 1. O ancora, diciamo come prima di non sapere quanto faccia questa somma infinita e chiamiamola G. Prendiamo due copie della stessa somma e sommiamole tra loro, incolonnando gli addendi così:

G+G = +1−1+1−1+ … +
.                 +1−1+1−1+ …

A sinistra dell’uguale abbiamo 2G, mentre a destra sommiamo gli addendi colonna per colonna, ottenendo 1+(−1+1)+(−1+1)+ … = 1+0+0+ … = 1. Dunque 2G = 1, cioè la somma +1−1+1−1+ … = G fa 1/2. La presenza di risposte diverse ricorda la situazione incontrata nel sopra citato articolo sul numero zero. Qui il problema è che le somme parziali oscillano sempre tra +1 e 0:

+1,
+1−1 = 0,
+1−1+1 = +1,
+1−1+1−1 = 0,
… ;

Questa serie quindi non converge, almeno nel senso che abbiamo specificato prima[2], perché le somme parziali non sono definitivamente vicine a nessun numero. E in qualche modo potevamo aspettarcelo: per far sì che una somma infinita converga a qualche valore, gli addendi devono diventare sempre più piccoli, affinché le somme parziali si stabilizzino vicino al valore limite; invece i termini di G oscillano tra +1 e −1. Quindi anche la somma 1+2+3+4+ … non può convergere, perché le somme parziali diventano sempre più grandi, mentre “maneggiandola” algebricamente si può ottenere il risultato controintuitivo 1+2+3+4+ … = −1/12, come accennato nell’articolo su Ramanujan comparso nella quarta uscita.
Una professoressa dell’Università scrisse una somma infinita alla lavagna e propose all’aula il seguente quesito: questa serie converge? E una cosa mi fu immediatamente chiara: non potevo contare troppo sulla mia intuizione.

Note

 [1] Se avete capito cosa significa che la successione numerica delle somme parziali scritte sopra tende al limite 2, non avrete difficoltà ad afferrare la definizione formale di limite, che riporto qui per completezza, anche se non è strettamente necessaria per i nostri scopi. Diciamo che una successione numerica s0, s1, s2, … ha come limite il numero L se: ogni volta che si sceglie un altro numero E arbitrariamente “vicino” ad L (ovvero tale che l’errore |EL|=ε sia piccolo a piacere), gli elementi sn della successione sono tutti più vicini ad L di quanto lo sia E, a patto di considerarli a partire da un pedice N abbastanza grande: per ogni ε > 0 fissato, esiste un indice N (che può dipendere da ε) tale che |snL| < ε se nN.
 [2] Ma naturalmente qualche matematico (l’italiano Ernesto Cesaro) ha pensato a una definizione di convergenza più generale, che include anche questo caso.

Autore