Il grido di libertà delle Bahamas

L’età d’oro della pirateria

Dal tempo dei romanzi ellenistici, una delle più celebri tipologie di brigante avventuriero è quella del pirata. La pirateria caraibica iniziò a manifestarsi intorno al 1560 e non ebbe termine fino al 1720. Si tratta di un lasso di tempo davvero notevole, sebbene la cosiddetta Età d’oro della pirateria, il periodo durante il quale i personaggi più indimenticabili di questa epopea assunsero di fatto il controllo di quelle acque, sia stato il quarantennio 1640-1680. I centri di questo potere furono le colonie inglesi di Barbados (isola che ha conservato il suo afflato indipendentista al punto da essere tuttora uno Stato sovrano), Nelson’s Dockyard, Antigua e l’iconica Port Royal. Stando al Trattato di Tordesillas, i Caraibi erano un territorio spagnolo, quindi gli inglesi e i francesi ebbero buon gioco a tollerare, o persino incentivare, le azioni dei pirati. Esse indebolivano soprattutto l’Impero spagnolo che, dal canto suo, aveva popolato le isole con sfollati e criminali, contribuendo non poco a pregiudicarne l’ordine pubblico. Le merci coloniali spagnole dirette alla Madrepatria venivano stoccate in porti continentali o vicini al continente: Cartagena in Colombia, Panama e Portobelo sull’Istmo, Santiago sull’isola di Cuba e Santo Domingo su quella di Hispaniola. Se le città d’oro sognate dai conquistadores erano pura fantasia, non lo erano affatto i fiumi di argento che nel XVI secolo eruppero dalle miniere scavate in Messico, Perù e Bolivia. I giganteschi galeoni spagnoli che lo trasportavano attirarono immediatamente molto interesse, pertanto la Spagna cercò di organizzarne gli spostamenti in un sistema di convogli noto come Flotta delle Indie. Questo gruppo di navi salpava ogni anno da Siviglia o da Cadice, trasportando soprattutto manodopera destinata al Nuovo Mondo, raggiungeva dapprima il Perù per raccoglierne l’argento e poi incontrava un’altra flotta predisposta al viaggio di ritorno e ormeggiata nell’Istmo di Panama o a Vera Cruz. L’organizzazione fu notevole e abbordare questi convogli tesorieri era un’impresa ad altissimo rischio, ma i pirati non smisero mai di attaccarli. L’altro polo mondiale della pirateria erano appunto le isole Canarie, dove pirati e corsari, come quell’Amaro Pargo di cui ancora si va cercando il tesoro, regnarono a lungo praticamente incontrastati.

Nei primi anni del XVII secolo, l’Inghilterra aveva appena superato il conflitto con la Scozia ribelle di Maria Stuarda e l’Armada Invencible sembrava davvero essere tale, ma Elisabetta I Tudor poteva contare su molti capitani dotati di spirito di avventura, intraprendenza imprenditoriale e immane spregiudicatezza, addestrati alla navigazione dalla severa palestra del Mare del Nord. I più rappresentativi tra questi avventurieri sono stati i cugini Sir John Hawkins e Sir Francis Drake, entrambi eroi della Battaglia di Gravelines, che vide la Grande y Felicisima Armada devastata nel 1588. Elisabetta, oltre a nominare baronetto quel El Draque che era diventato l’incubo marittimo dei suoi nemici, ebbe la giusta intuizione di creare uno status semilegale per siffatti individui, dando loro una Lettera di corsa che ne legittimava le azioni piratesche contro i nemici del Regno Unito. Oltre a saccheggiare i porti di Santo Domingo, Cartagena e la stessa Cadice, Drake seppe circumnavigare il globo, grazie anche a un altro asso nella manica degli inglesi: la tecnologia. La sua famosa nave, la Golden Hind, non assomigliava affatto ai grandi e pesanti galeoni spagnoli: era piuttosto simile a un fluyt olandese in scala ridotta, manovrabile e veloce. I cantieri navali del Devonshire, zona che a questi navigatori dava solitamente i natali, si connettevano al flusso di idee nautiche elaborate soprattutto ad Amsterdam per creare e sperimentare sempre nuove soluzioni ingegneristiche.

Edward Blackbeard Teach

Edward Blackbeard Teach

Chiaramente i corsari non erano esattamente pirati, ma il confine era molto sottile e comunque un capitano corsaro aveva sempre pirati al suo seguito. Si prenda ad esempio un personaggio reso noto dalle storie di Emilio Salgàri sul Corsaro Nero: il gallese Sir Hari Morgan. Egli poté adire all’ammiragliato e al governatorato della Giamaica, alla cui conquista aveva partecipato nel 1658, pur essendo stato forse il principale protagonista dell’Età d’oro della pirateria. Del resto spesso una stessa figura sovrapponeva ruoli da pirata, corsaro, dignitario,
commerciante e persino benefattore: corsari come Drake e Pargo si distinsero in atti di generosità considerevoli verso i poveri. Comunque i corsari potevano contare su governatori poco inclini al fair play militare: l’uomo che precedette Morgan stesso al comando di Port Royal, Sir Thomas Modyford, anche a causa del conflitto tra Carlo II e il Parlamento, non obbedì mai ai reiterati inviti che la Corona gli rivolse in merito alle limitazioni da applicare alla guerra di corsa. Vuoi per corruzione, vuoi per sincero desiderio di tutelare la propria colonia o gli interessi concreti della Madrepatria, ignorò persino gli accordi di pace stipulati tra essa e la Spagna.

Dopo aver lungamente depredato le coste del Messico, dell’odierna Repubblica Dominicana e delle Antille, lui ed Edward Mansvelt attaccarono New Providence nel 1666, distruggendo due dei tre fortini spagnoli che la presidiavano. Avrebbero già allora voluto lasciare sul posto una comunità permanente di pirati, ma allora il progetto andò in nulla. I pirati avrebbero però assunto il totale controllo dell’isola molto tempo dopo, tra il 1703 e il 1718, approfittando del vuoto lasciato dai continui conflitti tra Inghilterra, Spagna e Francia che la rivendicavano. Così Morgan si preoccupò di tutelare Port Royal e inaugurò un modo nuovo di mettere insieme gli equipaggi, che ebbe molto successo in seguito: si mise in ghingheri per apparire più ricco e girò i porti infestati dai peggiori tagliagole per assoldarne cinquecento. Nel 1668, saccheggiò Puerto Principe a Cuba e attaccò Portobelo. La ricca città, considerata imprendibile, finì nelle sue mani per due mesi e la flotta spagnola che tentò di recuperarla venne distrutta grazie alla tattica tipicamente piratesca dell’imboscata nelle insenature costiere.

Nel 1669, fu la volta di Cartagena e Maracaibo. Per tutto l’anno successivo, Morgan terrorizzò le coste venezuelane, colombiane e panamensi, ponendo la propria base nella famosa Isla de la Tortuga, rifugio di molti bucanieri. Nel 1671, Carlo II lo fece arrestare e condurre a Londra per una mera esigenza diplomatica, ma l’anno dopo lo liberò e lo fece vicegovernatore della Giamaica. Benché gli fosse chiaro quanto l’establishment inglese, dietro ai paraventi della decenza, apprezzasse i suoi incoraggiamenti a una pirateria di massa, nel 1675 Morgan iniziò a dare la caccia agli altri pirati, e soprattutto ai suoi vecchi compagni di avventura, per impadronirsi dei loro tesori. Anche questa, in fondo, è una caratteristica tipica di molti tra i primi pirati. Nel 1680, diventò Governatore della Giamaica, ma tre anni dopo il Consiglio della Colonia lo sollevò dal comando. Morì nel 1688, quattro anni prima del terremoto che fece inabissare quasi tutto il tombolo sul quale sorgeva Port Royal, lasciando la leggenda di una giusta punizione divina inflitta alle anime depravate che abitavano la Sodoma del Nuovo Mondo.

I pirati che vissero dopo Morgan, come Charles Vain, John “Calico Jack” Rackham, Benjamin Hornigold e Edward “Barbanera” Teach, divennero completamente svincolati da qualsiasi autorità nazionale. Ogni decisione importante, compresa la nomina del capitano, era oggetto di voto. L’eletto era chiamato a scegliere gli obiettivi della ciurma e guidarla nei combattimenti, ma poteva essere sollevato dal comando in ogni momento. Nella maggior parte dei casi, non otteneva più bottino dei marinai semplici e dormiva con loro sottocoperta. Diversamente da quanto accadeva in ogni altra realtà dell’epoca, proprio a causa dell’assenza di una normativa militare, le donne potevano aspirare al comando. I casi sono più unici che rari, ma oggi non possiamo immaginare l’impatto che ebbero sull’opinione pubblica le piratesse più temute e rispettate, come Grace O’Malley, Anne Bonny, Mary Read e soprattutto Jacquotte Delahaye. La lealtà alla bandiera, diversa per ogni nave, era molto valorizzata e questo fatto rese possibile la nascita di molte interessanti forme di socialità cameratesca, come le prime assicurazioni contro gli infortuni sul “lavoro” o sulla vita. I pirati volevano marcare la più ampia distanza dalle strutture gerarchiche degli eserciti regolari. La massima espressione di questa tendenza fu la creazione di organizzazioni di mutuo soccorso molto ampie, come i Fratelli della Costa e la Filibusta, e persino di vere e proprie repubbliche, nate dall’esigenza di diversi equipaggi di avere anche una casa sulla terraferma, come Libertalia in Madagascar e la sopraccitata Repubblica di Nassau, a New Providence. Con buona pace di Eiichirō Oda e Monkey D. Rufy, ha ben ragione Leiji Matsumoto quando fa dire al suo Capitan Harlock che i pirati non avrebbero mai potuto tollerare niente di simile a un re. Uno dei più influenti membri dell’entourage di Barbanera era il cosiddetto Black Caesar, un capo-guerra tribale africano che, liberatosi dalla schiavitù, ebbe una brillante carriera come condottiero dei pirati. Tutti questi esempi rappresentano il vero motivo della nascita del nostro mito dei pirati: quel mito lo hanno vissuto loro stessi. È sui loro sogni che riposa l’autenticità e la solidità del loro mito, sull’amore che realmente essi provarono per i propri red e black Jack.

di Ivan Ferrari

Autore

  • Laureato in filosofia, redattore della Rivista e socio collaboratore dell'Associazione culturale La Taiga dai giorni della loro fondazione, ha interessi soprattutto storici e letterari.