Piantare alberi e scavare pozzi

di Stefano Geatti

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L’ascendere è un processo che si compie passo dopo passo e che porta alla crescita nel silenzio con cui cresce un albero. Esso non deve puntare solo dal basso verso l’alto, ma la salita e la discesa devono essere scavi nella profondità delle cose.

Vorrei porre qui l’attenzione su un’immagine – quella dell’albero che cresce – che ci viene inevitabilmente suggerita dalla struttura dei due trigrammi che compongono l’esagramma n°46, L’ascendere, ovvero la presenza del legno che si innalza al di sopra della terra. A una prima occhiata ci può apparire un concetto estremamente semplice, dal momento che ci suggerisce la necessità di una ascesa progressiva e di una crescita interiore che possa completarsi grazie al coronamento di un’impresa, ed in sé tutto ciò sembra esaurirsi nel quadro che ne traccia l’I King.
Tuttavia, abbiamo ormai imparato che l’antico testo cinese ci offre solamente alcuni spunti o immagini e che successivamente è nostro compito svilupparli secondo vie ben precise. Se, come afferma Bertrand Russell nel capitolo conclusivo dell’opera I problemi della filosofia, “la filosofia va studiata non per amore delle precise risposte alle domande che essa pone, […] ma piuttosto per amore delle domande stesse”,[1] allora è pur vero che, sotto lo sguardo filosofico, il lento ascendere dell’albero può assumere un significato ben più complesso di come può apparire a tutta prima, superando il piano meramente letterale. Ciò che vorrei fare qui è lavorare con le immagini.
Innanzitutto, la figura dell’albero che cresce lentamente ci suggerisce che in ogni ascesa verso un grande obiettivo è bene procedere con pazienza e per gradi; il lungo percorso dello Zarathustra di Nietzsche mi è da subito apparso esatta metafora di questo processo di ascesa continua e progressiva verso la piena realizzazione di un ideale di vita in cui si possa concretizzare la trasvalutazione di tutti i valori di cui si è fatto profeta. Nietzsche è abile nel condensare questo aspetto in un’altra immagine – forse più celebre dell’albero – ossia la salita al monte. In una lettera all’amico Heinrich Köselitz, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Peter Gast, spronandolo a cercare la via di Zarathustra Nietzsche ammonisce: “Quanto manca alla vetta? Tu sali e non pensarci!”.[2] Qui l’elemento fondamentale è il testo originale che ci rivela il senso profondo di ogni percorso di ascesa, celato nel temine tedesco steigen, il quale fa riferimento all’atto di innalzarsi salendo dei gradini, del mettere un piede davanti all’altro, facendo così un passo alla volta e non semplicemente una ascesa immediata. Inoltre, l’I King ci ricorda che nell’ascesa del tronco dalle sue radici l’albero è sempre costretto a evitare – o meglio attraversare – alcuni ostacoli che si frappongono sul cammino.
L’albero è divenuto nei secoli una figura molto comune per indicare il senso della ricerca filosofica. Tuttavia, nelle forme che tale metafora è andata via via assumendo vengono espressi concetti e idee di filosofia diverse: Aristotele, per esempio, utilizza la figura dell’albero – e del suo seme – per spiegare il celebre rapporto tra potenza e atto, attraverso cui tenta di spiegare l’esigenza del movimento come elemento essenziale del mondo fisico e umano. Ogni materia dell’universo che assume una forma determinata deve necessariamente muovere da una condizione in cui davanti a sé si sventagliano le infinite possibilità verso una soltanto di queste, la quale viene realizzata e resa concretamente vivente. Il rapporto che esiste tra potenza e atto è similare secondo Aristotele – e viene così perfettamente simboleggiato – alla relazione tra un albero e il suo seme, perciò l’albero è un ente fisico che rappresenta magnificamente l’essenza del movimento che avvolge l’esistenza umana e, a livello filosofico, proprio per questa sua costituzione, esso è importante nella sua complessità a tal punto che la filosofia lo prende a emblema per spiegare il mutare stesso delle cose.
Anche alle porte dell’età moderna ritorna presente la figura dell’albero come esempio, però, del lavoro filosofico stesso. Da strumento metaforico della filosofia aristotelica, che se ne serve per spiegare l’essenza metafisica del movimento del mondo, esso diviene metafora della filosofia stessa e la sua ascesa determina che vi siano rami dell’albero più fecondi di altri. È celebre, per esempio, l’immagine cartesiana dei Principia philosophiae secondo cui “la filosofia è come un albero, di cui le radici sono la metafisica, il tronco è la fisica, e i rami che escono da questo tronco sono tutte le altre scienze, che si riducono a tre principali, cioè la medicina, la meccanica e la morale.”[3] Tuttavia, questo tipo di lettura ci sembra quantomeno riduttiva, poiché sostiene che ci sia una gerarchia del sapere, allo stesso modo in cui vi è una gerarchia delle parti che compongono l’albero. Sarà poi l’obiettivo di Wittgenstein e in particolare delle filosofie del Novecento criticare duramente tale preponderanza della filosofia intesa come ricerca che poggia le basi sulle certezze metafisiche.

Immagine filosofia - Talete nel pozzo

Talete mentre cade nel pozzo

Così la figura della pianta può essere ora letta in due direzioni differenti, secondo quella che sale verso i rami e le foglie, ma anche secondo quella che scende verso le solide radici, così come per Zarathustra è fondamentale sia la salita al monte come anche scoperta dell’utilità della discesa, grazie alla quale mette alla prova la forza del suo messaggio, portandolo nella complessità del mondo. Tuttavia, accade che, quando lo Zarathustra nietzscheano si trova in cima al monte e contempla insieme al suo discepolo un albero, sente necessario affermare che “succede all’uomo quello che accade all’albero. […] Quest’albero è solitario sul monte; esso crebbe alto sopra gli uomini e gli animali. E se volesse parlare, nessuno lo comprenderebbe: tanto eccelso esso crebbe. Ed ora esso attende ed attende, – ma che aspetta mai? Esso dimora troppo vicino al regno delle nubi: attende forse la prima folgore?”.[4]
Pertanto, ciò che viene qui mostrato è il fatto che la salita è importante almeno quanto la discesa e che un albero, così come un uomo che vive la propria graduale salita verso magnifiche altezze dello spirito, deve prestare attenzione anche alle proprie radici, deve guardare anche in basso e contemplare il percorso fatto, al fine di non offrire il capo a cadute improvvise. Le radici e le foglie dell’albero, pur distanti tra loro, rappresentano tuttavia diversi gradi del medesimo percorso di sviluppo dell’albero e, dunque, risulta evidente che non possa esistere l’uno senza l’altro e viceversa, dal momento che l’albero ha in sé la necessità di crescere e tentare diverse vie per poter dare i propri frutti, ma questi ultimi devono la loro esistenza proprio alla solida terra su cui poggia la base della pianta.
Il senso stesso del pensiero filosofico si è più volte intrecciato – come abbiamo fin qui visto – con l’immagine dell’albero in quanto simbolo di una crescita e di un’ascesa consapevole. Ma che cosa può aggiungere allo sguardo filosofico dunque l’esagramma di sviluppo, n° 48 Il Pozzo? Ci ricorda uno degli episodi più antichi e più famosi che ha segnato la nascita della filosofia nel lontano VII secolo a.C. a Mileto: Talete, nel tentativo di osservare il cielo per comprenderne i misteri, compie un passo falso e cade in un pozzo, subendo le risa di una “servetta tracia”. Tuttavia, nonostante questo nome con il quale viene ricordato l’episodio, la derisione di ogni tempo riservata al filosofo passa necessariamente in secondo piano, se consideriamo – come ci ricorda Hans Georg Gadamer in un’intervista – che “naturalmente Talete non cadde nel pozzo, ma si calò in un pozzo secco perché questo era l’antico cannocchiale. Infatti grazie all’effetto di oscuramento e di schermaggio, reso possibile dalle pareti del pozzo, si può registrare con grande precisione l’orbita delle stelle che si trovano nella direzione di osservazione e si può inoltre vedere molto di più che non ad occhio nudo – una specie di vero e proprio cannocchiale greco”.[5]
Ecco che allora questa prospettiva abbraccia la lettura che ho voluto fornire qui dell’albero come emblema di un’ascesa prudente, ossia rivelando che, qualora si consideri la filosofia esclusivamente come un’altezza raggiunta in partenza, da cui poter scrutare – al pari dell’albero descritto da Zarathustra – la realtà circostante, inevitabilmente il pozzo rappresenterà per l’uomo un luogo di inciampo; ma quest’ultimo può diventare un luogo, seppur basso e profondo (altus), da cui guardare il mondo con occhi diversi e un punto a partire dal quale può prendere le mosse una meravigliosa ascesa.

Note:

1. B. Russell, I problemi della filosofia, a cura di E. Spagnol e P. Costa, Feltrinelli, Milano 2008, pp. 190-191.

2. F. Nietzsche, Briefwechsel, a cura di G. Colli e M. Montinari, DeGruyter, Berlin 1981, vol. III.1, p. 171: “Wie komm’ ich am besten den Berg hinan? / Steig nur hinauf, und denk nicht dran!”.

3. R. Descartes, I princìpi della filosofia, in Opere filosofiche, 2 voll., a cura di E. Lojacono, UTET, Torino 1994.

4. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, in Opere complete di Federico Nietzsche, a cura di D. Ciampoli, Monanni, Milano 1927, vol. VII, pp. 79 – 80.

5. Per leggere l’intervista completa sulla figura di Talete si segnala http://www.emsf.rai.it/aforismi/aforismi.asp?d=78

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