Ma l’abito fa o non fa il monaco?

2. Kamon

di Susanna Marino

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Dopo gli tsuba, un altro dei grandi simboli della cultura giapponese, il kamon, passa dallo scopo funzionale al valore metaforico, per glorificare La potenza del grande: samurai, shōgun, fino alle classi sociali del “mondo fluttuante”. 

I kamon (家紋) giapponesi – emblemi/stemmi di famiglia – indicavano il lignaggio, la parentela o la posizione sociale di chi li esibiva. Si ritiene siano nati in periodo Nara (710-784) o Heian (794-1185) quando era abitudine applicare esternamente emblemi di famiglia sui carri che trasportavano i nobili. Questi elementi, che si ispiravano ad antichi simboli cinesi, erano altresì utilizzati all’epoca per decorare stoffe e tessuti preziosi della classe aristocratica, ma non si può parlare ancora ufficialmente di veri e propri stemmi familiari.

Sarà invece a partire dal periodo seguente – periodo Kamakura (1185-1333) e Muromachi-Momoyama (1333-1603) – che armature, bandiere e stendardi militari verranno decorati con kamon sia con lo scopo funzionale di riconoscere alleati e nemici sui campi di battaglia durante gli scontri, ma anche come segno di servizio distintivo. Spesso paragonati ai blasoni della cavalleria europea, in realtà ne differivano molto, dal momento che non avevano il valore di stemmi gentilizi, anche perché nell’antico Giappone – salvo rare eccezioni – non esistevano propriamente i cognomi.

Fu poi a partire dal XVII secolo – periodo Edo (1603-1868) – che i kamon assunsero gradualmente una funzione più decorativa, a detrimento della loro funzione di simbolo autoritario. Non solo il Paese entrò in un lungo periodo di pace che ne vanificò, quindi, parzialmente, l’utilizzo sui campi di battaglia, ma anche perché mercanti e commercianti assunsero via via un proprio kamon, andando così a diffondere il loro impiego anche presso altre classi sociali. Dai duecento prototipi di motivi kamon, appartenenti alle classi nobili e samurai, si arrivò ad averne più di 7-8.000, declinati in varie forme e stili. Basti pensare, a titolo di esempio, che il fiore di pruno – molto caro alla tradizione nipponica – arrivò ad avere ben novanta varianti come kamon. L’utilizzo di alcuni emblemi, tuttavia, fu delimitato ai membri di determinate famiglie nobili o di samurai, come per esempio il fiore di malvone presente sui kamon della famiglia Tokugawa – gli shōgun del periodo Edo.

Verso la metà del XVIII secolo, infatti, venne creato una sorta di registro ufficiale nazionale in cui, annualmente, erano riportati ed aggiornati, i disegni degli emblemi e i nomi familiari ad essi associati. Durante questo lungo e contraddittorio periodo storico e culturale – il periodo Edo – mercanti, attori del teatro kabuki e cortigiane del “mondo fluttuante” cittadino di Edo (l’antica Tōkyō), Ōsaka e Kyōto usarono altresì i kamon con funzioni di logo personali – una sorta di marchi commerciali – per sponsorizzare le proprie professioni. Ma la ricchezza numerica e funzionale dei kamon, si rifletterà altresì su svariate tipologie di emblemi con lo stesso motivo, ma usate in occasioni più o meno pubbliche, più o meno formali.

E così anche oggigiorno, la presenza o l’assenza del kamon su un kimono, ne sottolinea o meno la formalità e se risulta perciò evidente che nell’arco dei secoli il suo significato sia variato a seconda del periodo, l’eredità giunta sino ad oggi lo rende un simbolo prestigioso solo per chi può vantarne una certa discendenza.

Riviste di moda, specializzate sull’abito tradizionale, forniscono ai lettori preziosi consigli, tra cui quelli per la scelta del kimono appropriato alla stagione, alla cerimonia a cui partecipare e all’età di chi lo deve indossare, E tra questi consigli non può mancare, certo, quello relativo ai kamon: indossare un kimono monocromo con cinque kamon – il numero massimo – vuol dire portare un abito atto ad una cerimonia importante e molto formale come potrebbe essere un matrimonio.

I motivi che decorano normalmente questi emblemi sono di ispirazione vegetale, animale o naturale, ma includono anche oggetti concreti come armi o simboli astratti. Si ritiene siano tra i motivi artistici più graficamente creativi al mondo, proprio per la capacità che ebbero i giapponesi di declinarli in così tante varianti, partendo da un elemento stilizzato inscritto all’interno di un quadrato o di un cerchio, ovvero un elemento prevalentemente naturalistico, all’interno di un motivo astratto – geometrico. Al contempo, però, sono ‘motivi decorativi’ lineari e semplici, a partire proprio dal loro monocromatismo.

 

 

Bibliografia

  • A.A. V.V., Edo Daimyō Hyakka, Taiyō – ed. speciale primavera n. 22, Tokyo 1978.
  • Dalby Liza, Kimono: fashioning culture, Vintage, Londra 2001.
  • Frédéric Louis, La vita quotidiana in Giappone al tempo dei samurai, Bur, Milano 1987.
  • Lange Christian, Kamon und Neomon, Impressum, Potsdam 2009.
  • Nagasaki Iwao, Kimono no to gire no kotoba annai, Shogakukan, Tokyo 2005.

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Autore

  • Docente di lingua giapponese presso l'Università Bicocca di Milano – dipartimento di Scienze Umane per la Formazione e presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Varese. Collabora come autrice con la casa editrice Zanichelli ('dizionario giapponese-italiano', 'La scrittura giapponese' ecc.). Vice-presidente del Centro di Cultura Italia-Asia.