Virtuale mancanza



Notiamo gli aspetti della vita che si palesano davanti ai nostri occhi in modo esplicito come l’oppressione, la violenza, l’abuso e spesso siamo dimentichi di quelle che invece passano in sordina, proiettili silenziati ma non meno dannosi: le mancanze.

I latini userebbero -carēre- cioè la necessità, l’aver bisogno; colui che è -carus- è amato, che San Girolamo nella Vulgata traslittera col sostantivo greco di αγαπη non solo corrispondente all’amore ma anche alla cura. La mancanza è ciò che non vediamo ma di cui abbiamo bisogno, una mano poco salda che scivola per le fatiche e si ingarbuglia, un sorriso non ricevuto, non un saluto, non una parola.

Nessuno ci può togliere ciò che ci manca, non lo abbiamo, è il non avere che è il danno più grande, non essere a conoscenza di averne bisogno.

Proprio a questo proposito scomodando la grecità, cito Platone che fa recitare a Socrate un discorso cardine della filosofia antica secondo cui ognuno di noi desidera l’amato in quanto manchevole, perchè carente di una parte che non riesce a supplire in solitudine; ci mostra infatti un amore scalzo e indigente, che non si accontenta di ciò che ha, perché colmato un vuoto, se ne genera un altro, e così all’infinito.

Infatti -eros- ci spinge alla procreazione perché è esso stesso desiderio di immortalità che dai genitori viene trasmesso alla prole: un demone che si annida nel vuoto dell’incompletezza umana e diventa paradigma di avidità  poiché in grado di sfruttare le debolezze degli uomini per soddisfare i propri fini. Nel passato dunque la mancanza era legata all’affetto, all’amato, al senso umano di incompletezza, e c’era chi la risolveva nelle artes, chi nella filosofia, chi nel legame con l’amato: in qualche dimensione l’uomo trovava la sua strada per supplire al vuoto che talvolta il reale restituisce.



Nel nostro tempo invece? Oggigiorno, all’interno del  -mondo nuovo- direbbe Huxley, compartecipiamo ad un’era in cui la mancanza, affettiva e non, pare non essere un problema perché sostituita da un virtuale che apre ad altre realtà, in cui un oggetto collega e rimanda ad altre oggetti: Ti manca la voglia di fare la spesa? Ordina online! Ti manca il tempo per una giornata lavorativa intera? Smart Working! Ti manca l’energia per conoscere nuove persone? Scarica i social! Quanto appare facile supplire ad una mancanza?

Citare il metaverso come simbolo dell’età contemporanea è lapalissiano: “meta” dalla lingua greca “dentro” e “verso” è l’abbreviazione di “universo”, Il metaverso è quindi un universo al di là del mondo fisico, è il mondo virtuale in cui quello reale e digitale tendono ad  unirsi e confondersi.

In apparenza è uno spazio sicuro e accogliente in cui poter svolgere diverse attività in contemporanea, consentendo una comunicazione in tempo reale e interazioni super dinamiche, come i social network, tuttavia questi spazi così evidentemente utili generano una mancanza di rituale e di presenza.

La dimensione del reale si perde e ci si illude di poterla risolvere nel virtuale, in cui la mancanza del distante pare risolvibile o del tutto annullata, un reale che perde la sua interezza e la sua intensità, generando quindi manchevolezza perchè non presenziato, non accolto ma confuso.

Ecco la mancanza sottile e quasi invisibile del nostro tempo: una città straniera si può vedere anche virtualmente, si gioca a tennis con uno sconosciuto dall’altra parte del globo, si vede un amico attraverso uno schermo. Ogni cosa è confusa, dimezzata, non presenziata, ora ci togliamo fatica, ora ci aggiungiamo tempo; niente pare mancare e invece manca la realtà.

Di Matilde Tarchetti

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