Dalle nenie materne a una nuova biopoetica: cucinare ci ha reso poeti

In generale due sembrano essere le cause che hanno dato origine all’arte poetica, e tutte e due naturali. Ed infatti in primo luogo l’imitare è connaturato agli uomini fin da bambini, […] ed in secondo luogo tutti si rallegrano delle cose imitate.

(Aristotele, Poetica)

L’esperienza insegna all’uomo che l’infelicità sempre lo attende. In quest’attesa, egli dissipa la sua angoscia inventando o adottando delle disgrazie immaginarie

(Queneau, Una storia modello)

Nella quasi totale oscurità del bosco, un gruppo siede intorno al fuoco. Il crepitio scandisce il tempo vissuto, il ritmo è sincopato e caotico. Qualcuno si assicura che le fiamme non si propaghino troppo, altri si avvicendano nella preparazione della cena. Hanno cacciato, hanno raccolto, ora cucineranno. Non c’è silenzio, in questa dilatazione del giorno e della luce. Intorno al falò si parla, ci si racconta esperienze passate e future. Si fa letteratura.

C’è un momento preciso, nel corso della storia evolutiva della nostra specie, in cui abbiamo iniziato a essere poeti e narratori.

Prima, la nascita del linguaggio. La comunicazione. I fini pratici, concreti, strumentali. Poi, però, un uso particolare del linguaggio. Un uso apparentemente inutile, fuorviante. L’uso poetico. La letteratura. Le nenie materne, le cantilene di gruppo, i racconti orali intorno al fuoco. È un momento preciso, è il momento in cui abbiamo imparato a cuocere il cibo.

Negli spasmi vermigli la carne e il raccolto imbruniscono. È un’arte lenta e precisa, eppure nuova. Non troppo vicino, non troppo lontano, nel tepore, l’uomo si ferma. È un tempo donato, che prima non c’era. È notte e ancora si possono vedere i volti dei propri simili, ora sfumati dalla luce ocra. Tutti sono ebbri di cibo. Tutti ora sono pronti a raccontare i propri sogni.

Già Lévi-Strauss, come è noto, nel suo Crudo e il cotto, primo dei quattro volumi delle Mythologiques e uscito per la prima volta nel 1964, aveva individuato nella cottura del cibo un elemento fondante dell’ordine culturale (Lévi-Strauss 2008). In anni più recenti Richard Wrangham, docente di antropologia biologica, ne ha indagato l’impatto evoluzionistico: grazie alle evidenze morfologiche dei nostri progenitori più remoti e agli esperimenti circa il comportamento alimentare di umani e scimpanzé, Wrangham ha confermato quanto sia stato fondante, per la nostra specie, l’uso del fuoco a fini alimentari (Wrangham 2014).

Accendere il fuoco e cucinare il cibo hanno infatti non solo incrementato la coesione dei gruppi sociali, permettendo loro di imparare a collaborare e a ripartirsi i compiti, ma posto le basi temporali ed evolutive della nascita della letteratura: i cibi cotti si assimilano più in fretta, forniscono un apporto calorico più alto, offrendo così tempo ed energie mentali straordinarie. Il corpo dei primi umani diviene più grande, il cervello aumenta di dimensioni, la complessità cognitiva evolve. Come sottolinea uno studio compiuto dall’Università dello Utah e pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, intorno a quei falò si rafforzano le tradizioni culturali, si sviluppa l’immaginazione e si impara a fare gruppo. In una parola, si diviene uomini (Wiessnar 2014).

Ma perché? Perché l’animale uomo, dal punto di vista evolutivo, avrebbe dovuto dedicare tempo ed energie alla narrazione immaginifica, e per soddisfare un bisogno meramente estetico?

In un contesto in cui sopravvivere non era scontato, può apparire paradossale che i gruppi Homo si dedicassero all’invenzione di mondi immaginari. Ci doveva necessariamente essere un beneficio, una ragione. Non poteva essere inutile, con buona pace di Oscar Wilde. Paul Hernadi, in Perché la letteratura: una prospettiva evoluzionistica, parte proprio da questa domanda, e dal presupposto che la letteratura sia fondativa e chiami in causa aspetti sostanziali della nostra natura. La letteratura, infatti, ha contribuito a renderci umani. Proprio come il controllo del fuoco (Hernadi 2001).

Un presupposto indispensabile a livello evolutivo perché l’uomo iniziasse a raccontare storie era avere sufficienti margini energetici. Concedersi di immaginare altri mondi necessita di una certa stabilità concreta: essere sazi, avere energie, non avere problemi digestivi. Ed è proprio la digestione agevolata dalla cottura ad averci permesso di iniziare a tessere trame narrative: offrendoci in primo luogo il tempo e le capacità mentali per farlo. Come nell’esagramma 27 del Libro dei mutamenti, propizio è il nutrimento equilibrato, e chi è saggio è attento alle sue parole e moderato nel nutrirsi: a digiuno non si può pensare ad altro che alla fame, affaticati dalla digestione di cibo crudo non si può pensare affatto, nell’equilibrio della cottura la nostra mente può invece vagare e inventare.

Si parla a turno, qui. Alcuni, poi, preferiscono ascoltare. È un riposo prima del sonno, è un’esperienza onirica condivisa che avviene nel tempo della veglia. Il fuoco non dorme mai, ma ora è fioco. Nel buio la voce ci ricorda chi è il narratore. Ma non importa più. Lo siamo tutti.

Dean Falk è una neuro-antropologa specializzata nell’evoluzione cognitiva e cerebrale dei primati. A lei si deve una teoria sulla nascita del linguaggio umano convincente ed estremamente suggestiva: con lo sviluppo del bipedismo, i piccoli della specie Homo iniziano ad avere difficoltà a tenersi aggrappati alle proprie madri, non possedendo i piedi prensili come le altre scimmie antropomorfe. Le antiche madri dovevano quindi sostenerli per evitare che cadessero. Tuttavia, per poter raccogliere le bacche e le radici necessarie al sostentamento, si rendeva così necessario poggiare a terra i propri piccoli. È così che, cercando di lenire il dolore del distacco, con le nenie e i canti materni nacque il linguaggio. E con il linguaggio, la letteratura (Falk 2015).

Quando chiudo gli occhi non c’è più il vuoto. La mia mente continua a creare. Ciò che ho sentito si ripete come l’eco di un bisbiglio. Più evado, più mi sento radicato alla realtà. Nel sogno, imparo. «Compito del poeta è di dire non le cose accadute ma quelle che potrebbero accadere».

La teoria letteraria ha ormai da alcuni anni iniziato a interrogarsi sull’interazione tra evoluzione biologica ed evoluzione culturale degli ominidi. Come ha notato, tra gli altri, Michele Cometa, alla base di questa svolta disciplinare si trovano il pensiero di Michel Foucault e il paradigma biopolitico da lui inaugurato. Tuttavia, come ancora sottolinea Cometa, la biopoetica non si limita a ciò (Cometa 2011).

Guardandosi bene dal ricadere nel riduzionismo neo-positivista, fondare una biopoetica significa riconoscere e stringere con energia i nessi tra letteratura e antropologia, riflettendo sul significato filogenetico del narrare e abbandonando, per sempre, una visione dicotomica di arte e scienze.

Gli angoli della bocca oscillano. La perseveranza reca salute. Ora si presta attenzione all’alimentazione e alle cose con le quali un uomo tenta di riempirsi la bocca: le parole. Ogni uomo nutre sé stesso e gli altri. Il mutamento evolutivo porta al nutrimento, e quindi alla poesia.

di Francesca Fulghesu

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BIBLIOGRAFIA

  • C. Lévi-Strauss, Il crudo e il cotto, Il saggiatore, 2008
  • R. Wrangham, L’ intelligenza del fuoco. L’invenzione della cottura e l’evoluzione dell’uomo, Bollati Boringhieri, 2014
  • P. W. Wiessner, Embers of society: Firelight talk among the Ju/’hoansi Bushmen, PNASS, Vol. 111 | No. 39, 2014 https://www.pnas.org/doi/abs/10.1073/pnas.1404212111
  • P. Hernadi, Perché la letteratura: una prospettiva evoluzionistica. Studi di Estetica 23:11-38, 2001
  • D. Falk, LINGUA MADRE, Cure materne e origini del linguaggio, Bollati Boringhieri, 2015
  • Aristotele, Poetica, Bompiani, 2000
  • M. Cometa, “La letteratura necessaria. Sul confine tra letterature ed evoluzione“, Between, I.1, 2011 http://www.between-journal.it/

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