Intervista a Luciano Canfora

Questa intervista nasce come contributo per un ciclo di conferenze organizzato dalla libreria Ombre Rosse – Libreria Popolare Autogestita, in collaborazione con la rivista Tigre di Carta.
Il ciclo, che è iniziato il 9 febbraio e si concluderà il 14 aprile, si intitola “Uno spettro si aggira per la Storia – Lo spettro della lotta di classe” e si articola in quattro incontri, che avranno per tema altrettanti libri, con storici e studiosi della materia: Luciano Canfora, Alessandro Barbero, Anna Curcio e Gianmaria Brunazzi.
Ciascun incontro sarà dedicato a un macroperiodo storico: Roma antica, medioevo, età moderna e epoca contemporanea.
A partire dagli esiti delle proprie ricerche storiche e non solo, i relatori discuteranno con il pubblico alcuni degli episodi e dei processi più significativi della lotta sociale nella Storia attraverso il concetto di “classe”, per riflettere insieme sulla sua applicabilità a contesti storico-sociali differenti e la sua attualità.
I libri presentati saranno:
L. Canfora, Catilina. Una rivoluzione mancata
A. Barbero, All’arme! All’arme! I priori fanno carne!
A. Curcio, Caccia alle streghe, guerra alle donne (di S. Federici)
G. Brunazzi, Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra (di E. P. Thompson)

Di seguito, il programma degli incontri:
– Luciano Canfora e Sebastiano Taccola, “CATILINA. UNA RIVOLUZIONE MANCATA” → 9 febbraio, h. 14:30, Università degli studi di Milano, aula 422
– Alessandro Barbero, “ALL’ARME! ALL’ARME! I PRIORI FANNO CARNE!” → 25 febbraio, h. 17:00, Centro Sociale Leoncavallo, via A. Watteau 7
– Anna Curcio, “CACCIA ALLE STREGHE E CAPITALE” di S. Federici → 24 marzo, h. 15:30, Centro Sociale Leoncavallo, via A. Watteau 7
– Gianmaria Brunazzi, “RIVOLUZIONE INDUSTRIALE E CLASSE OPERAIA IN INGHILTERRA” di E. P. Thompson → 14 aprile, h. 17:00, Centro Sociale Leoncavallo, via A. Watteau 7



Ivan Ferrari: Le università, soprattutto le facoltà umanistiche, stanno da tempo perdendo studenti, essendo i giovani demotivati a intraprendere un percorso di studi dal quale si fatica a derivare una carriera soddisfacente e un congruo guadagno. Lei come ha visto mutare negli anni l’ambiente universitario e in quale orizzonte ritiene che potrebbero essere rivalutate queste materie di studio?

Luciano Canfora: La causa principale del declino dei corsi universitari che portano all’insegnamento di discipline umanistiche è la prospettiva ardua di trovare lavoro prontamente, cui vanno aggiunte due concause: il salario mediocre, a dir poco, e il complessivo declino dell’interesse per la politica. Tale interesse spingeva moltissimi giovani a puntare all’insegnamento nella scuola.

IF: Sembra che ultimamente le narrazioni mediatiche sulla contemporaneità fatichino a spiegare i contesti e a rendere conto della loro importanza, come se temessero l’idea di affrontare gli aspetti chiaroscurali del mondo. Da questo punto di vista, il lavoro di storici e filologi è in controtendenza, perché è proprio dal costante ritorno analitico sulle fonti e sul loro contesto che si possono derivare nuove interpretazioni per illuminare il passato. Se da un lato le università perdono studenti, dall’altro si registra un acceso interesse da parte del pubblico non specialistico per il passato. Crede che il vostro lavoro possa oggi ispirare maggiormente il senso critico dei più?

LC: L’interesse bozzettistico per il passato è l’esatto contrario della spinta verso la conoscenza critica e soprattutto allontana dal desiderio di approfondire le fonti prima di approdare a generalizzazioni.

La divulgazione è cosa molto seria, ma può facilmente scadere in banalità. Gli strumenti di comunicazione tuttora dominanti, e cioè l’editoria corriva e la televisione, puntano decisamente alla banalità o addirittura alla disinformazione critica.

IF: Quale fu la scintilla che La spinse ad appassionarsi così profondamente alla filologia classica e alla storia?

LC: La mia risposta consiste nel riprendere una celebre frase di Walter Benjamin: «Fare il contropelo alle fonti».

IF: Quale è stato il personaggio, il testo o il periodo che L’ha affascinata maggiormente e il cui studio Le ha dato maggiore soddisfazione intellettuale?

LC: Il mio avvio fu la lettura dell’opera storiografica rigorosa e divulgativa al tempo stesso di Albert Mathiez: tradotto da Einaudi (1950) magnificamente e diffuso in una accessibilissima edizione economico-tascabile. La lettura di Tucidide è venuta dopo.



IF: Nel Suo volume sul movimento catilinario, Catilina – Una rivoluzione mancata, leggiamo di un Cicerone che, malgrado i bei discorsi sul valore della libertà dei cittadini e la sicurezza dello Stato, si impegna con spregiudicatezza nella corsa verso un potere personalistico e lo fa senza esclusione di colpi, alti o bassi che siano. Esistevano, negli ultimi decenni della Repubblica, dei veri difensori dello Stato e del popolo? Almeno di Catone possiamo per ora salvare l’immagine tradizionale che fa di lui un esempio di coerenza tra quanto sostenuto a parole e quanto concretamente fatto?

LC: La gloria di Catone è stata garantita da Dante Alighieri. Ammiratore di Catone era anche il maestro di Dante, Brunetto Latini, che gli dedica pagine commoventi nel Trésor. Personalmente era uomo rigido e, secondo Cicerone, ottuso. Fu un perdente politico, ma trionfatore nella successiva letteratura e nel mito.

IF: Oggi si tende a una minore drasticità nel porre le rivolte da un lato e le rivoluzioni dall’altro, concedendo agli insorti perlomeno la possibilità di ottenere una patente di autentica volontà rivoluzionaria. Lei definisce quella di Catilina una rivoluzione mancata. Come è giunto alla scelta di questo titolo e in quale misura Catilina è stato potenzialmente un rivoluzionario?

LC: L’azione politica e agitatoria di Catilina intaccava un meccanismo strutturale: l’indebitamento di massa. Egli colpiva però il fenomeno ma non la causa. Del resto non fu il primo ad adottare una tale linea di azione, giacché la richiesta di cancellare i debiti veniva da molto lontano, cioè dalla lotta economica nelle città greche dei secoli precedenti. La distinzione tra rivolta e rivoluzione non si può stabilire in astratto ma in base ai risultati.
Quanto al titolo alludo al celebre saggio di Tocqueville sul 1848 (Una rivoluzione fallita), edito da Laterza nel 1939.



IF: Matrone quali Fulvia e Sempronia hanno giocato un ruolo importante nella vicenda catilinaria. In una società genericamente patriarcale come quella dell’antica Roma, quanto potere e quanta autorità poteva ottenere una donna?

LC: Le donne ricche a Roma avevano potere: un potere riconosciuto e fondato soprattutto sul patrimonio familiare. D’altra parte nel ceto dirigente i matrimoni erano sempre dei matrimoni politici, miranti a stabilire alleanze tra gruppi di potere. Anche per questo le donne della classe dirigente a Roma pesavano molto più che nella democratica Atene.

IF: Nel quadro di un’economia incentrata sulla conquista militare, il saccheggio e il lavoro schiavile, da Lei spiegata nel saggio Guerra e schiavi in Grecia e a Roma – Il modo di produzione bellico, la rivolta spartachista fu un caso eccezionale per le proporzioni e la momentanea efficacia. Perché le rivolte schiavili, nel mondo romano e non solo, furono di così infimo successo? E perché, data l’estesissima presenza di schiavi nella società e l’importanza del loro lavoro nel sistema produttivo, essi non parvero in generale concepirsi come un corpo sociale capace di organizzarsi e rivendicare un miglioramento della propria condizione?

LC: Le rivolte di schiavi a noi note dalle fonti sono certamente soltanto una parte dei sommovimenti sociali effettivamente avvenuti. Le fonti parlano per lo più di rivolte schiavili di lunga durata e dagli effetti sconvolgenti per l’ordine sociale esistente; tacciono per lo più dei sommovimenti minori. Si deve anche tener conto del fatto che una delle forme di ribellismo consisteva nella ricerca della salvazione individuale attraverso la fuga. Questo fu un fenomeno endemico. La schiavitù però non finì per effetto di una rivoluzione, bensì di una trasformazione molto lenta dei rapporti di dipendenza: alla schiavitù-merce subentrarono rapporto di dipendenza di tipo feudale (il colonato).

IF: A Suo avviso, è possibile applicare utilmente, con i limiti del caso, il concetto contemporaneo di classe al fine di descrivere i rapporti e i posizionamenti sociali nel mondo antico?

LC: Le classi sociali esistono anche quando non ne hanno coscienza. La coscienza di sé da parte degli schiavi sia in Grecia che a Roma si ricava molto spesso dalla commedia.

di Ivan Ferrari

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