Arte e Natura in Joseph Beuys

La riscoperta dell’uomo nell’animalità

Introduzione

La Natura è un elemento ricorrente nella produzione artistica di Joseph Beuys. Analizzando le sue opere risulta evidente come l’artista utilizzi molto spesso all’interno delle proprie sculture materiali propri della sfera naturale come rame, feltro, grasso, vino, sangue e persino l’animale in carne ed ossa, vivo o morto.

La scelta di questo tipo di materiali non è da attribuire alla mera ricerca da parte dell’artista di qualche cosa che fosse nuovo, strano, rivoluzionario nel mondo dell’arte, non era questa l’ambizione di Beuys. Questa scelta è invece frutto di una ben più lunga e profonda riflessione dell’artista sull’arte e sulla funzione dell’arte nella società.

Beuys inizia a dedicarsi all’arte in un periodo di profondo cambiamento della società occidentale dove egli è nato e di cui fa parte. Sono gli anni Sessanta e l’Occidente vive infatti un periodo di crescita economica senza eguali, ma anche di cambiamenti rapidi che stravolgono la società, negli usi, nei costumi, nel modo di intendere il lavoro. Le fabbriche e la produzione a catena dilagano, le necessità degli uomini cambiano così come il ritmo che scandisce le loro giornate, ed il tempo che questi passano a contatto con la natura diminuisce drasticamente.

Per Beuys tutto ciò genera inevitabilmente una crisi, la crisi dell’uomo contemporaneo, che conduce a sua volta ad una perdita di identità. Questo è il contesto in cui si sviluppa l’arte di Beuys. L’artista si interroga sulla funzione dell’arte e dell’uomo all’interno della società e come vedremo la Natura ed il rapporto che l’uomo ha con essa risulterà custode della chiave di questo dilemma. Attraverso la realtà l’artista cerca una via d’accesso alla verità, che può essere intuita e trovata nella Natura: è convinto che mentre noi lavoriamo con la natura, la natura lavora con la nostra anima, permettendoci di dare sfogo alla nostra energia creativa.

Il legame tra Arte e Natura. Influenze dal passato

«È impossibile un’attività artistica senza una presa di coscienza con la natura. E la più diretta è la presa di coscienza con la terra sulla quale camminiamo… È per questo che in tutte le mie azioni cerco di far prendere coscienza all’uomo delle sue possibilità creative, le uniche che gli possono dare la libertà. Cerco di collegarlo verso il basso con la terra, la natura, le bestie, che hanno un posto importante nelle mie azioni; e verso l’alto con gli spiriti» (Joseph Beuys).[1]

Nel corso della sua ricerca artistica Beuys si confronterà con le idee di alcuni filosofi del passato; fra questi il precursore del Romanticismo tedesco, Johann Wolfgang von Goethe, è sicuramente uno fra quelli che lo ha influenzato maggiormente.

Secondo Goethe «la Natura non ha sistema, essa ha vita. Essa è vita e successione da un centro ignoto verso un confine non conoscibile». La natura è in continuo cambiamento, in perenne stato di metamorfosi ed è quindi imprevedibile, senza forma.[2]

La natura viene interpretata dal celebre scrittore tedesco come una sfera da cui tutti noi siamo avvolti, come un non-luogo da cui è impossibile stare fuori, ma in cui allo stesso tempo è impossibile penetrare più a fondo. Secondo Goethe gli esseri umani non riescono mai a toccare veramente la natura dall’esterno dal momento che il loro stesso Fare è natura. Beuys riprenderà questa idea di Natura come un tutto che tutto avvolge e da cui l’uomo non può fuoriuscire.

Un altro filosofo che ha avuto un ruolo importante nella costruzione del pensiero beuysiano è stato il tedesco Friedrich Schelling.

Schelling argomenta nell’opera Sistema dell’idealismo trascendentale che l’Essere è costituito da due elementi separati: Natura e Spirito. Solo l’Arte, egli sostiene, ha il potere di unire questi due elementi. Il fare artistico è l’unico tipo di fare che riesce ad esprimere l’originaria unità tra la parte conscia (Spirito) ed inconscia (Natura) dell’Essere. Anche la vera opera d’arte ha sempre in sé un lato inconscio ed uno consapevole e tramite l’esperienza artistica, che ci consente di vedere uniti Spirito e Natura riusciamo a vedere la verità, o meglio riusciamo a vedere che quella verità, la verità della realtà è, grazie alla capacità di mimesi propria dell’arte, imitabile.

L’animalità

L’artista sciamano, come Beuys venne nominato, utilizza spesso all’interno delle sue opere l’animale, emblema della sfera istintiva che caratterizza ogni essere vivente. Beuys sosteneva che dobbiamo tornare a guardare all’animale per scoprire cosa dice di noi stessi. L’animale diventa simbolo di qualcosa che è fondamentale per comprendere il senso e il ruolo del fare artistico. Come per gli uomini delle epoche primitive, anche per Beuys rappresentare l’animale significa entrarne in possesso, comprenderlo, portare la sua forza dentro di sé.[3]

L’artista sciamano è interessato all’animale in quanto essere vivente. Più che alla forma dell’animale guarda alla sua esistenza, vuole indagare sulla sua vita. La scelta di rappresentare gli animali spesso morti è dovuta proprio al tentativo di dimostrare la fragilità della loro vita. L’animalità è qualcosa di fragile a differenza del logos, della ragione, che è invece, per definizione, eterna, immutabile, universale.

L’essere umano è l’unico animale che ha in sé due dimensioni, quella fragile dell’animalità, propria di ogni animale, e quella logico-razionale che lo differenzia dagli altri animali. Nel corso della storia della filosofia, a partire da Platone, l’uomo venne pensato sempre più come essere razionale, dotato di logos, dimenticandosi man mano della sua dimensione corporea.

Fu Nietzsche il primo a rivendicare il ruolo centrale della dimensione corporea, quella legata alla sfera dell’animalità, fondamentale per definire la natura umana. Beuys prosegue su questa linea di pensiero, cercando di ridare il giusto valore alla dimensione animale che caratterizza ogni uomo. L’animale come tutto ciò che è Natura, è in continua e perpetua evoluzione, prodotto della fluidità originaria.

Beuys rappresenta questa idea fondamentale di fluidità anche tramite l’utilizzo di materiali come la cera o il miele, a dimostrazione che ciò che è naturale non ha forma, è in continuo movimento. Alla fluidità della sfera naturale si contrappone come abbiamo detto il logos, la logica delle cose, ferma ed eterna.

L’animalità esprime quindi fluidità e dinamicità assolute. Negli animali non c’è riflessione, tradizione, esperienza, autocoscienza. Gli animali vengono spinti nel loro agire da una pura forza cieca, che è alla base del loro continuo sforzo a costruire. Questa è la legge che regola la vita animale e naturale: regolarità, ripetitività. L’animale è un essere dominato da un infinito impulso a costruire.

Laddove l’animale non si pone domande, non si interroga sul senso del proprio esistere, è tutt’uno con il proprio ambiente, l’essere umano appare invece separato dal proprio mondo, in continua lotta con un mondo governato dalla Natura che, per quanto in molti abbiano provato a dimostrare il contrario, non si muove per gli uomini.

Beuys era perfettamente cosciente di questa irriducibile differenza tra uomo ed animale. L’animale non ha valore individuale, l’uomo sì. Se l’animale è dominato da un irrefrenabile impulso a costruire la dimensione razionale dell’essere umano è invece radicalmente de-costruttiva. La ragione è infatti legata all’analisi che si muove dividendo, smontando.

Ecco quindi qual è il ruolo che Beuys attribuisce all’animalità: l’esistenza animale contrappone all’impulso decostruttivo (separante, individualizzante), proprio della scienza moderna e contemporanea, un impulso costruttivo, universalizzante ed unitario.

Noi in quanto essere umani non possiamo rinunciare ad essere razionali, non è possibile far vivere soltanto la nostra dimensione animale, ma l’artista deve riuscire a far rivivere le caratteristiche proprie dell’impulso animale, quelle che la sua razionalità tende a soffocare. Come può riuscirci? Riproducendo una vera imitazione di quell’animalità dal momento che in noi una pura animalità non potrà mai esistere. L’artista costruirà quindi un’animalità ripetuta, imitata, ed è proprio questa mimesi che può dare luogo all’arte.

Solo una ragione che non dimentichi del proprio profondo legame con l’animalità può avvicinarsi a comprendere la realtà. Questo tipo di ragione si contrappone a quella del modello scientifico positivista secondo cui tutto è prevedibile in quanto tutto è governato da leggi. Non dobbiamo negare l’imprevedibilità della Natura, ma invece farla nostra, farla propria della nostra ragione. Beuys individua nell’arte questo importante compito, quello di salvaguardare e mostrare il mondo connesso alla animalità, alla creatività e alla libertà.

Un animale che più di altri è presente nelle opere di Beuys è la lepre. L’artista non è tanto interessato alla forma dell’animale, ritiene piuttosto che sia un simbolo particolarmente chiaro della metamorfosi materica propria della Natura. Si tratta infatti di un animale che ha un contatto diretto con la terra: corre molto vicino, attaccato ad essa, vi si nasconde all’interno, pare che voglia diventare un tutt’uno con essa. La sua prolificità ne fanno poi un simbolo della lascivia e della carnalità.

La lepre appare per la prima volta nella performance Sinfonia Siberiana Sezione 1, organizzata assieme a Fluxus nel 1963.

“Sinfonia Siberiana”, Performance Fluxus, 1963

In questa performance Beuys lega una lepre morta davanti ad una lavagna, a cui viene affiancato un pianoforte. Dice Beuys commentando la sua performance: «… quando per esempio io uso la lepre, che qui appare per la prima volta in carne ed ossa, la mia intenzione non ha nulla a che fare con la lepre, ma vuole essere l’espressione della trasformazione attraverso la materia, della nascita e della morte».[4]

Beuys quindi separa la lepre da qualsiasi contesto discorsivo o in qualche modo “significante”. La lepre è utilizzata come simbolo, ma questo simbolo non ha nulla a che fare con l’ordine della significazione. Il simbolo per Beuys è da intendere come qualcosa che mette insieme due metà; nel vedere una metà si manifesta, di conseguenza, anche l’altra. La lepre diventa quindi espressione della trasformazione attraverso la materia, della nascita e della morte. Il simbolo nell’arte di Beuys non ha quindi la funzione di metafora, allegoria o segno come invece può avere in altri linguaggi artistici. La natura simbolizzata da Beuys va intesa come processo, e la creazione artistica non viene concepita come la creazione di una forma precisa.

In Come spiegare la pittura a una lepre morta, una performance messa in atto alla galleria Schmela di Düsseldorf nel 1965, l’artista sciamano ha il volto coperto da una foglia d’oro e tiene in braccio una lepre morta, aggirandosi tra alcuni dipinti e toccandoli con la zampa dell’animale, cullando la lepre e parlando con lei in una lingua incomprensibile. Ad essere morta è la lepre, ma non l’animalità dell’artista e dell’uomo, che invece, proprio tramite la morte dell’animale, rivive e ritrova il proprio spazio di fianco alla logica.

“Come spiegare la pittura a una lepre morta”, Düsseldorf, 1965

In una delle più sensazionali azioni degli anni Settanta I Like America and America Likes Me, l’artista convive dal 21 al 25 maggio 1974, nella Galleria René Block a New York, con un coyote catturato nel deserto per l’occasione. Ogni volta che l’animale si mostra aggressivo, l’artista, protetto da una coperta di feltro e da un bastone da pastore, usa la sua persuasione sciamanica. Riesce persino a renderlo mansueto, tanto che coll’andar del tempo l’animale selvatico si distende a dormire accanto all’uomo. Attraverso questa azione coraggiosa, l’artista vive l’esperienza di una riconciliazione fra animale e uomo, per riconquistare la propria natura.

Attraverso la sua opera, Beuys cerca nel mondo animale le sue radici, con un approccio rituale intriso di spiritualità.

“I Like America and America Likes Me”, New York, 1974

Conclusioni

Beuys affermava che l’arte non va interpretata, non deve essere compresa, ma al contrario quanto più un opera d’arte è incomprensibile tanto più ha centrato il suo obiettivo, quello di portare chi la osserva, chi la vive, verso una dimensione irrazionale, in cui la ragione lascia spazio alla sensazione, alla reazione istintiva.

Tramite l’imitazione dell’animalità l’artista tenta di smuovere il solido schema logico che governa la mente umana, quello schema creato dalla ragione, programmato per concettualizzare e per dare un significato ad ogni cosa, ma che ha finito per distorcere agli occhi degli esseri umani la realtà della vita e del mondo in cui vivono e li ha privati della loro creatività.

Secondo Beuys la creatività è un atto di libertà, ma la libertà non è qualcosa di cui un individuo deve godere da solo. Ogni essere umano ha il dovere di mostrare ciò che ha prodotto con la sua libertà. L’artista cercava di risvegliare in sé stesso e negli altri una diversa, e necessaria a suo modo di vedere, modalità del sentire, del percepire, del conoscere e dell’agire. Questa è la motivazione, il proposito di Beuys e della sua arte sociale-antropologica.

Questo è l’obiettivo di fondo della sua Living Sculpture, la scultura sociale, la sua “utopia concreta”, in cui l’artista utilizza anche dei materiali invisibili quali suoni, gesti, odori, comportamenti, che riescono a generare delle reazioni negli spettatori e danno naturalmente il via ad un nuovo e solidale processo di collaborazione.

Note

[1] M. Donà, Joseph Beuys. La vera mimesi, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2004, p. 161.

[2] Ivi, p. 52.

[3] M. Zanchi, “Arte Primordiale di Beuys e Arte Preistorica”, in E. Anati (a cura di), XXIII. Produrre Storia dalla Preistoria. Il Ruolo dell’Arte Rupestre. Pre Atti, Centro Camuno di Studi Preistorici, Valcamonica 2009.

[4] M. Donà, op. cit., p. 165.

Bibliografia

Benuomo, M. (a cura di), Wahrol-Beuys. Omaggio a Lucio Amelio. Catalogo della Mostra, Mazzotta Editore, Milano 2007.

Donà, M., Joseph Beuys. La vera mimesi, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2004, p. 161.

D’Avossa, A., Joseph Beuys Difesa della Natura, Skira Editore, Milano 2001.

D’Avossa A., N.O. Cavadini (a cura di), Ogni Uomo è un Artista. Manifesti, Multipli e Video, Silvana Editore, Cinisello Balsamo 2013.

Liveriero Lavelli, C., Joseph Beuys e le radici romantiche della sua opera, Clueb, Bologna 1995.

Zanchi, M., “Arte Primordiale di Beuys e Arte Preistorica”, in E. Anati (a cura di), XXIII. Produrre Storia dalla Preistoria. Il Ruolo dell’Arte Rupestre. Pre Atti, Centro Camuno di Studi Preistorici, Valcamonica 2009.

Videografia

Healing the Western Mind. Joseph Beuys in America

Joseph Beuys. Eine Annäherung 1/4

Joseph Beuys. Ein Portrait (2001)

di Niloofar Yamini

Questo articolo, pubblicato nel 2016 dall’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, è qui ripubblicato per gentile concessione dell’autrice.

Autore

  • Niloofar Yamini, nata nel 1991 a Esfahan, Iran. Ha conseguito una prima laurea in Fotografia all’Università dell’Arte di Tehran. In Iran ha collaborato come foto e video reporter con alcune importanti testate giornalistiche del paese e ha esposto le sue fotografie in diverse mostre. Nel 2014 si è trasferita in Italia e nel 2017 si è laureata in biennio di Arti Multimediali del Cinema e del Video presso l’accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Ha approfondito le sue conoscenze in ambito video giornalistico grazie a un corso presso la Scuola Civica “Luchino Visconti” di Milano. I suoi lavori video e fotografici sono stati presentati durante numerosi eventi. Oggi collabora come video maker e fotografa professionista con diverse fondazioni e aziende.