La vita oltre lo schermo

Come il doppio informatico e la divisione del Sé determinano l’era tecnologica

Dai miti indiani alla recente filmografia, dal mistero del sosia ai social network: l’avatar permette all’utente di spaccare in due e moltiplicare la propria personalità dentro una nuova esperienza del mondo, più complessa di quella del doppio.

Nella pellicola del 2009 Il mondo dei replicanti, Bruce Willis interpreta un detective che deve a tutti i costi impedire la distruzione dei “surrogati”, macchine costruite su misura per ogni essere umano, identiche a loro nell’aspetto e che de facto vivono la vita di tutti i giorni in vece dei propri proprietari, lasciando che i loro possessori rimangano in casa, su di una sedia ergonomica e lontani da ogni possibile pericolo, controllando telematicamente le azioni delle proprie copie meccaniche. Si tratta a tutti gli effetti di avatar, copie del proprio sé che operano come trasposizione della persona che possiede e controlla questo fantascientifico progresso della tecnica.

Non è inopportuno definire “avatar” questa tipologia di macchine: il termine anglosassone deve il proprio etimo alla parola sanscrita avatāra, che indica nella gran parte della tradizione teologica induista la discesa o apparizione sulla terra di una divinità, atta a ristabilire l’ordine naturale delle cose. La divinità in questione è Viṣṇu, che può assumere, a seconda del bisogno e dello scopo, una forma differente: Viṣṇu possiede infatti tradizionalmente dieci avatāra, tutti funzionali ad uno specifico fine.

Il film di Jonathan Mostow è la proiezione futuribile del mito indiano, in cui ogni essere umano è a suo modo in possesso dei poteri di Viṣṇu, così da poter usare un surrogato per compiere le proprie attività. Quanto è lontana quest’applicazione dal tempo presente? Quali sono le forme attuali di surrogazione?

Tiger Avatar. Ph. Anna Laviosa, tutti i diritti riservati.

Tiger Avatar. Ph. Anna Laviosa, tutti i diritti riservati.

L’esagramma 23 dell’I Ching, Po (Lo spaccarsi in due o Lo sgretolamento), rappresenta un fecondo viatico per comprendere il fenomeno dell’avatar nella cultura tecnologica contemporanea.

Nel 2004, un esuberante studente di Harvard lanciò il primo social network d’impatto globale: Facebook. L’utilizzo su scala mondiale di Facebook riempie tutt’oggi le giornate dei suoi utenti, in scala maggiore o minore, creando di fatto un nuovo sistema di informazione e di reperibilità dell’informazione, ma anche nuove mansioni lavorative, necessarie per essere al passo con un marketing figlio dell’immediatezza, della visibilità e della condivisione che questo network offre. Tutto ciò è possibile grazie alla creazione di un avatar della propria persona – o della propria azienda – che resta la sola parte del sé che si relazionerà con gli altri avatar. L’I Ching suggerisce implicitamente una descrizione a questo fenomeno: definendolo uno “spaccarsi in due” o uno “sgretolamento”, si mostra a tutti gli effetti in cosa consista l’esperienza del social network. L’individuo che si iscrive a Facebook e lo utilizza non mostra se stesso agli altri, ma il proprio doppio: spacca il proprio essere decidendo di mostrarne una sola parte, mentre il suo sé “totale” agisce al di qua dello schermo. Relazionarsi con i social infatti mostra al pubblico – anch’esso accuratamente selezionato – solamente la parte che l’individuo decide di investire all’interno di questa grande piazza virtuale. È la parte che più si addice al diverso scopo, o al diverso social network, ma soprattutto è scelta ad hoc, per velare o ostentare un qualcosa. In questo senso è penetrante per queste meccaniche di interazione con i social la dicitura dell’I Ching: che si utilizzi la traduzione meno recente di Po, Lo sgretolamento, o quella più recente, Lo spaccarsi in due, è chiaro come in entrambi i casi si riveli un preciso approfondimento dell’uso dei social. L’essere si spacca in due: da una parte, l’al di qua dello schermo, resta l’essere nella sua totalità; dall’altra, dentro allo schermo, si manifesta un proprio doppio, che però non rappresenta una semplice copia multimediale dell’individuo, ma una sua frastagliatura, uno sgretolamento, come se nell’utilizzo del mezzo si proiettasse solo una rifrazione del caleidoscopico mondo-uomo. Come in Surrogates di Mostow, dunque, l’utente controlla il proprio profilo social non mostrandosi in prima persona, ma con un suo parziale sostituto, l’avatar.

Il concetto di doppio è presente nella cultura occidentale grazie ad una lunghissima tradizione: dalla letteratura, con esempi quali Il ritratto di Dorian Gray di Wilde e Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde di Stevenson, e ancora nella Bestia umana di Zola e Cuore di tenebra di Conrad; al cinema, dove in Metropolis di Fritz Lang il doppio è una macchina, alla saggistica, nella quale fa scuola il testo di Rank, Il doppio. In tutti questi casi, il doppio è una figura emblematica che riesce a coniugare il sé e il suo opposto, la forza creativa e quella distruttiva. Nonostante la distruttività, o un’immediata considerazione negativa dell’avatar tecnologico, siano idee sicuramente affrettate, esse mostrano i lati deboli del doppio “social”: in primis, la distruzione dell’unicità del sé, privato della propria identità e riconoscibilità da parte degli altri; in secundis, l’annichilimento della persona e quindi quello che prima è stato definito come il Sé totale, dal momento che agisce in modo strettamente compensativo. Nondimeno, il doppio frammenta il soggetto ed espone il Sé totale a una vulnerabilità differente da quelle con cui è abituato a lottare. Il doppio, d’altra parte, apre la stagione multindividuale a fronte della sacralità del singolo tipica dell’umanesimo, portando una rivoluzione pluralistica figlia soprattutto dell’innovazione tecnico-scientifica.

Infatti, l’avatar è la più grande espressione del concetto di doppio proprio perché si attiene pienamente all’ambito scientifico e si mostra de facto come una maschera che la società contemporanea ha imposto di indossare, per divertissement o per costrizione. L’avatar, però, si mostra in maniera differente rispetto al doppio: così come nella tradizione induista, l’avatar tecnologico è presente in molti luoghi nello stesso momento. L’avatar è ovunque e ha più personalità, adattandosi alle esigenze: è possibile dare un aspetto poligonale all’utente per esempio nel caso dei videogame online, come World of Warcraft e League of Legends, o come i Mii delle home-console a marchio Nintendo, in cui viene creato un avatar delle fattezze del fruitore per avere un account condivisibile con altri utenti; inoltre l’avatar può immagazzinare conoscenze al fine di gestire delle scelte sulla base di un’educazione che istruisce il Doppelgänger ai gusti del proprio proprietario. Proprio in virtù di queste considerazioni, sarebbe erroneo considerare l’avatar solo in chiave negativa, ed è necessario invece riconoscerne i tratti positivi e costruttivi con cui il doppio informatico si presenta: è possibile tramite esso simulare voci, suoni, immagini, riprodurre e visitare telematicamente luoghi non immediatamente raggiungibili fisicamente. Seppur si parli di simulazione – e quindi sempre di una esperienza sensoriale azzoppata – è indubbio quanto queste possibilità siano del tutto nuove e consentano anche a chi non ha mai potuto di compiere quelle esperienze finora inaccessibili. Il lato più interessante del fenomeno dell’avatar, però, è sicuramente il suo aspetto contemplativo: seppur in modo minoritario rispetto ai concetti analizzati precedentemente, questo risulta essere presente in molte delle pratiche di creazione del doppio informatico, soprattutto in quelle più recenti, come quelle dei social network, così come in quelle dei giochi MMORPG citati sopra. Infatti, l’avatar diventa un oggetto verso il quale si ripercuote la propria volontà poietica e cosmetica, al fine di rendere più appetibile e apprezzabile agli altri il proprio doppio virtuale; a volte, si utilizzano energie per riversare sul proprio corrispettivo desideri di bellezza e apprezzamento non raggiungibili sul proprio Sé totale, sia per oggettive carenze, sia per una frustrazione determinata da un senso di inferiorità colmabile solo a livello informatico. Ma così come ricorda l’I Ching, nell’esagramma di sviluppo di Po, Kuann (La contemplazione): «La vacua contemplazione a distanza va bene per la massa, ma l’uomo superiore contempla per comprendere».

di Simone Canziani

Autore

  • Laureato in Filosofia e Scienze Filosofiche alla Statale di Milano con due tesi sull'ermeneutica filosofica contemporanea, sceglie la via della letteratura e dell'editoria dopo qualche remoto pensiero sulla carriera accademica. Barman per la Corte dei Miracoli, ama i giochi di carte e il cinema.