Il denominatore comune

Se ci venisse detto che non facciamo altro che quozientare sin da quando siamo nati, rimarremmo stupiti, eppure: siamo tutti matematici! Per scoprirlo, ci basta… prendere una sedia.

Non ho mai capito perché, ma quando sono al ristorante e tocca dividere il conto cʼè sempre qualcuno che mi chiede di fare da calcolatrice. Dʼaltra parte, altrettanto spesso mi capita di sentir dire che «la matematica non fa per me, non lʼho mai capita», e che andava tutto bene finché sulla lavagna cʼerano i numeri, è quando si comincia con le lettere e con lʼastrazione che è meglio lasciar perdere. Allora non posso non approfittare del tema di questo numero per cimentarmi nellʼimpresa apparentemente impossibile: convincere i miei 5² lettori che voi, in fondo in fondo, avete qualcosa in comune con me, e con tutte le altre 7 · 109 persone su questo mondo, quando si tratta di matematica. In altre parole, voglio fare una dimostrazione di matematica, e non intendo dire quello che si può immediatamente pensare – ipotesi, tesi, dimostrazione – ma piuttosto una prova della “partecipazione cosmica” a questo gioco di logica, struttura e intuizione: noi siamo matematici!

In qualche modo la prova è già cominciata: abbiamo imparato tutti che 5² è 25. Forse ci ricordiamo anche la notazione scientifica, che ho usato invece di scrivere “sette miliardi di persone”. Ma sinceramente questa non è se non la più banale espressione della matematica: il far di conto. Importantissima concretamente, ma troppo elementare per essere davvero convincente. Anzi, a dire il vero mi trovo spesso ad affermare, quasi con un ghigno sulle labbra, che i matematici i numeri veri e propri non li vedono quasi mai e di norma i conti non li fanno, ma forse è una scusa per quando si è in gruppo al ristorante[1].

Voglio fare un esempio decisamente più profondo e, spero, persuasivo. Per inciso, non ho controllato quanti libri esistano su questo tema, ma ho lʼimpressione che abbiano sempre dei titoli come La matematica in spiaggia o qualcosa di simile. Sono sicuro che siano molto divertenti, ma vorrei spingermi oltre. Userò un argomento che mi è stato regalato da una eccellente docente universitaria, la quale voleva convincere la platea che quello di cui stava parlando (circa una particolare costruzione in topologia) non era poi così stravagante. Mi sembra appropriato perché si basa su una costruzione abbastanza “interdisciplinare” allʼinterno delle branche della matematica. Inoltre essa porta un nome estremamente familiare e accessibile, usato proprio nella manipolazione elementare dei numeri, ma qui invocato in un ambito più fondamentale, per sottolineare di nuovo che intendo andare oltre la semplice aritmetica.

Viene insegnato sui banchi universitari dei dipartimenti di Matematica il concetto di quoziente, ed è talmente naturale che basta bazzicarli per breve tempo per sentirne parlare. Non mi riferisco al quoziente tra numeri, ma parlo nel contesto di oggetti ancora più fondamentali (di fatto alla base di tutto lʼedificio matematico)… gli insiemi. È così automatico che, e questa è la mia proposizione, lo usiamo tutti quanti, anche se inizialmente potrebbe sembrare il contrario. Diamone una breve definizione formale.

Consideriamo un insieme A, ovvero una collezione di elementi: A = {a, b, c, …}. Esempi pratici possono essere le carte in un mazzo, le persone in una stanza, gli studenti in una scuola, ecc. Può essere utile introdurre delle relazioni tra questi elementi, e tra queste una tipologia naturale è composta dalle relazioni di equivalenza: alcuni elementi sono considerati equivalenti tra di loro, cioè in qualche senso interscambiabili. Affinché una relazione tra gli elementi dellʼinsieme sia, con senso pratico e coerenza, “di equivalenza” devono però verificarsi alcune proprietà. Banalmente, un oggetto deve risultare in relazione (è interscambiabile) con se stesso (riflessività). Poi se a è in relazione con b, allora deve essere vero anche il viceversa: b è in relazione con a (simmetria)[2]. Infine, se a è in relazione con b, e b è in relazione con c, allora a è in relazione con c (transitività). Se queste tre richieste sono verificate, abbiamo una relazione di equivalenza.

In questa situazione possiamo raggruppare tutti gli elementi che sono considerati interscambiabili tra loro; è come se avessimo formato dei gruppetti allʼinterno dellʼinsieme di partenza. Ciascuno di questi gruppetti viene chiamato una classe di equivalenza. Sembra complicato? Non lo è! È esattamente ciò che succede quando, considerato lʼinsieme degli studenti in una scuola, essi sono messi in relazione tra loro fino a formare delle… classi! Allora possiamo fabbricare un nuovo insieme: lʼinsieme delle classi di equivalenza, chiamato insieme quoziente. Nulla di difficile: nellʼesempio delle classi scolastiche, esso sarà lʼinsieme {1A, 1B, 1C, 2A, …}, presumibilmente. Chiunque sia andato a scuola, e non ha avuto problemi a quozientare lʼinsieme degli studenti rispetto alla relazione di equivalenza “essere nella stessa classe”, è matematico a sua insaputa.

Ma in realtà questo meccanismo è ancora più profondo e naturale, tanto che lo sfruttiamo tutti i giorni, e senza neanche accorgercene! Se siamo in gruppo intorno a un tavolo e qualcuno dice: «Manca una sedia», nessuno rimane totalmente disorientato finché uno di noi non punta il dito verso una qualche particolare sedia. Eppure tutte le sedie sono, in un modo o nellʼaltro, diverse una dallʼaltra. Pensateci un attimo: come facciamo a capirci quando parliamo in termini così generali di sedie, considerando che non ci sono due sedie esattamente uguali? Lo facciamo usando la matematica, o meglio: usando la logica di base, che la matematica utilizza come punto di partenza strumentale per procedere con le sue costruzioni. Abbiamo quozientato lʼinsieme di tutti gli oggetti che vediamo intorno a noi, contro la proprietà di “avere le sembianze e lʼutilità di qualcosa su cui sedersi, con delle gambe, un sedile e uno schienale”. Sarà una relazione più vaga di quello che ci si aspetta da una definizione matematicamente precisa, ma nella pratica nessuno ha difficoltà a riconoscerla. È tra le prime cose (insieme al riconoscere diverse forme geometriche, ma non posso dilungarmi troppo) che i bambini imparano a fare: quozientare ciò che maneggiano e ciò che vedono. Chiunque sia stato un bambino usa questa logica basilare e quindi, in qualche modo, già si predispone alla matematica. E per questo siamo in buona compagnia.

Under a big chair | Foto di Anna Laviosa 2016

Under a big chair | Foto di Anna Laviosa 2016

Note

[1] «Se un matematico si riduce a doversi affidare a calcoli complicati, è alla canna del gas: proprio per questo deve saperli fare» (Prof. Clemente Zanco).

[2] Questo non è vero per ogni tipo di relazione tra elementi di insiemi: nellʼinsieme delle persone in una stanza la relazione “essere più alto di” non è simmetrica, quella di “essere uno di fianco allʼaltro” sì.

di Gabriele Pichierri

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