Una felicità impaziente

Dalla Bologna degli anni Settanta, il personaggio di Zanardi, così descritto nei fumetti di Andrea Pazienza, persegue l’ideale di ritagliarsi un angolo di mondo in cui vivere, per sfuggire al vuoto, all’inadeguatezza e inseguire un diverso ideale di felicità.

Chiediamoci per un attimo cosa sia la felicità. Per qualcuno può essere l’amore, per altri può incarnarsi nei soldi o nella fama, per altri ancora, magari, è indicativa di una vita normale, noiosa nel senso di abitudinaria o, al contrario, può indicare il sogno di una vita avventurosa e adrenalinica. Al di là delle diverse declinazioni che decidiamo di dare alla nostra personale felicità, la Felicità sovrapersonale, quella con la “effe” maiuscola, affonda le sue radici nel desiderio di avere un posto sicuro all’interno delle situazioni del mondo. Avere un posto dà senso a quello che facciamo, al trascorrere del tempo, e aiuta a distrarsi dall’atroce verità del caos e del “non senso” come condizioni esistenziali ineluttabili. Si badi bene all’utilizzo del termine esistenza, perché la parola vita (almeno per me) sottintende la presenza di una storia da sovrapporre costantemente a un flusso caotico: un romanzo fittizio che si sostituisce a una serie di eventi che in realtà sono indomabili. Incapaci di sopportare il fardello del vuoto, le persone sovrappongono il romanzo della loro vita all’esistenza nel suo semplice trascorrere, nascondendo il caos sotto le sembianze di un disegno. Il processo è automatico e tutti ci troviamo a vivere secondo le stesse modalità di accettazione. Schizzo di Zanardi di Andrea PazienzaNon è nulla di negativo ma un semplice meccanismo di sopravvivenza che permette agli uomini di immettersi nel divenire in sicurezza, cercando di ritagliarsi un angolino sicuro. Ottenuto questo, le persone sono tendenzialmente felici. Il seguire indica la vita da percorrere per realizzare i propri obiettivi, ritagliandosi uno spazio comodo tra gli altri. Perché intraprendere la via violenta e faticosa dell’impulso e dell’ardore quando si può vivere serenamente in mezzo agli altri? Recita L’I Ching: «Così il nobile al tempo del crepuscolo rincasa per ristorarsi e riposare», come a voler dire di adattarsi, di trovare riparo nelle cose essenziali e di fare spazio agli altri in modo che lo scambio reciproco possa fare naturalmente il suo corso e portare i suoi benefici nello sviluppo del proprio destino. Che bellissima visione!

È qui che, a mio avviso, si colloca perfettamente il personaggio di Zanardi. Nato dal talento sconfinato di Andrea Pazienza, Zanna è uno dei tanti enigmi che ci sono pervenuti dalle sue matite. Zanardi è uno studente bolognese di 21 anni che frequenta ancora l’ultimo anno di Liceo Scientifico Fermi di Bologna e le sue storie raccontano delle scorribande intraprese insieme ai fidati compagni Colasanti e Petrilli. L’aspetto più micidiale della sua figura è una tremenda consapevolezza del vuoto esistenziale, unita a un’assoluta immoralità e a un estremo egoismo, che trovano piena concretizzazione nel concetto di distruzione nella sua forma più pura. Perché dare vita e voce a un simile abominio? Pazienza raccontava la Bologna degli anni Settanta, con tutte le sue bellezze e contraddizioni. In Pentothal vive con entusiasmo i grandi ideali delle contestazioni studentesche e si fa a suo modo portavoce visionario del loro messaggio. Quando però gli ideali vengono delusi, arriva la disillusione e dal senso di vuoto nascono, loro malgrado, dei demoni. Zanardi infatti non è realmente malvagio, è più che altro un mostro generato dal suo tempo, un giovane in balìa dei cambiamenti sociali, senza alcun riferimento, sogno o ideale in cui credere davvero. Niente ha senso e questo gli permette di essere a suo modo libero all’interno dell’abisso del male. È la perfetta rappresentazione della persona sbagliata, nel posto e nel momento sbagliato; protagonista di una vita e di una società che non ha scelto e da cui non riceve alcuno stimolo. Zanardi smette di lottare per dare un senso alle cose, diventando un epico portavoce del Vuoto, senza alcun posto sicuro nel mondo, nessun angolino tranquillo o alcuna storia da sovrapporre alla fatica del disordine. In un’intervista rilasciata a Linus nell’ottobre del 1981, parlando di Zanardi, Pazienza farà proprio riferimento a «un vuoto che permea ogni azione» per descrivere la tragicità del suo personaggio. La sua poderosa cifra artistica e la sua immensa sensibilità ci mostrano la tragedia di un’intera generazione attraverso l’esempio di un singolo ragazzo capace di prendere coscienza della propria inadeguatezza ma troppo debole per reagire davvero.

di Dario Ferrari

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