L’opera d’arte graduale

di Giulio Bellotto

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Lungo, faticoso, attento: il lavoro di allestimento teatrale ha vissuto una progressiva evoluzione dal teatro antico fino al tardo Ottocento, dove raggiunse la forma piena nell’ideale wagneriano di un’opera d’arte totale.

Sunn è un albero le cui foglie sono mosse dal vento. Kenn è il monte in cui le radici affondano saldamente. L’attore di teatro è entrambe queste cose[1]: solide basi espressive su cui poggia l’estro creativo di ogni interprete della scena.

Quando uno spettacolo – fenomeno composto da parole, suoni, musica, illuminotecnica e scenografie – riesce a comunicare col pubblico nella sua interezza e complessità, non si tratta forse di un matrimonio perfetto? Attori, registi, drammaturghi e tecnici rivestono tutti il ruolo della sposina timorosa a seguire il marito nella sua casa; ciascuno sta ben attento a salvaguardare la propria visione artistica del prodotto teatrale, facendo dialogare idee e proposte fino a raggiungere la cifra della messa in scena. Il teatro è un gioco che si fa insieme e perciò (come tutti i lavori d’ensemble) è lungo, faticoso e richiede attenzione e sensibilità; devono essere compiuti numerosi e sostanziali passaggi prima che esso possa avere luogo.

Sia nel caso di un testo originale, di una riscrittura o dello studio per una mise en scène, i modi per affrontare i materiali scenici sono pressoché infiniti: un certo grand théâtre di sapore ottocentesco parte dal testo, assemblandone la partitura in chiave concettuale. Un tale metodo di sistematica manipolazione del testo raggiunse il suo apice con la generazione delle attrici-dive del primo Novecento (Eleonora Duse giocava sovente coi testi che rappresentava, con lo scopo di mettere in crisi quei valori borghesi da lei considerati ipocriti); ma anche oggi se ne osservano numerosi esempi, l’ultimo dei quali è stato il Casa di bambola di Andrée Ruth Shammah e Filippo Timi al Teatro Franco Parenti di Milano.

Già nell’antica tradizione della commedia dell’arte, tuttavia, si sviluppavano innanzitutto la maschera e i suoi attributi; inoltre alcune delle avanguardie che ne sono derivate, Stanislavskij in primis, plasmano i personaggi a partire da uno studio di tipo psicologico. Altri insegnamenti studiano invece il movimento come motore dell’azione scenica, e così via. Da qualunque parte si guardi al fenomeno teatrale, comunque, il processo della sua realizzazione è uno sviluppo graduale.

A questo proposito l’I Ching ammonisce «allorché si tratti di rapporti di collaborazione», come quelli che s’instaurano sulla scena, «[…] bisogna aspettare che il corretto sviluppo sia compiuto. Un procedere precipitoso non sarebbe ben fatto». Si stabilisce dunque uno stretto rapporto tra la prassi teatrale e l’esagramma 53, Tsienn o Lo sviluppo graduale, la cui spiegazione conferma che la calma del monte Kenn è d’uopo «quando si voglia esercitare un’influenza su altri». Per conquistare il pubblico, altro rispetto alla scena, bisogna quindi sviluppare una corretta via di evoluzione attraverso la coltivazione sinergica e collaborativa delle diverse arti attorale, letteraria (cioè drammaturgica), visuale e plastica (scenografica) e musicale.

In fondo non stupisce ravvisare nel Libro dei Mutamenti numerosi parallelismi con le forme di espressione drammatica: l’I Ching è un oracolo, quindi rappresenta l’arte della vita. Il teatro invece è la vita dell’arte, ovvero la sua rappresentazione mediata dalla scena.

Questa rubrica ha già visto alcuni accenni alla delicata potenza dell’alchimia scenica, ma ben prima le più autorevoli voci hanno dimostrato la sua pregnante forza: al punto che perfino Wagner citò più volte il dramma greco antico come massima espressione del Gesamtkunstwerk, concetto romantico coniato nel 1827 dal filosofo tedesco K. F. E. Trahndorff per indicare un’opera d’arte totale. Wagner introdusse la questione una prima volta nel saggio Arte e Rivoluzione (Die Kunst und die Revolution) del 1849, argomentandola più sistematicamente in L’opera d’arte dell’avvenire (Das Kunstwerk der Zukunft) ed infine ribadendola in Opera e dramma (Oper und Drama) del 1851, uno scritto incentrato sulla positiva unione fra opera e dramma, in cui le arti singole sono subordinate a un unico proposito.

È forse il caso di ricordare che una tale eccellenza culturale necessitò di quasi cinque secoli di maturazione, di ingenti e prolungati investimenti economici da parte di una potenza come Atene e di ben tre generazioni di tragici per essere messa a punto?

L’I Ching ci ricorda che: «La gradualità dello sviluppo rende necessaria la presenza della costanza. Giacché solo la costanza fa sì che il lento progresso finisca col non inaridirsi»; ma qualora ne sussistano le condizioni, ecco che l’albero, Sunn, del teatro cresce rigoglioso.

Allora e solo allora «l’albero sul monte si vede assai da lontano, ed il suo sviluppo influisce sul paesaggio dell’intera regione»: come nell’antichità, quando i drammi rappresentati negli agoni tragici coincidevano con l’evoluzione morale del popolo che li rappresentava. Il teatro è sempre stato lo spartiacque delle epoche storiche, un affidabile indicatore dell’umore dei secoli capace al contempo di influenzarli profondamente, grazie al rapporto simbiotico che sa instaurare con il suo pubblico. Immaginiamo per un istante di vivere a Firenze nel 1906, e di assistere alla prima del Rosmersholm, un dramma di Ibsen interpretato dalla Duse. La scenografia venne così descritta da un attore della compagnia: «La scena nuova di cui parlo è ideata da un giovane pittore inglese: Gordon Craig, figlio naturale del grande attore Irving. È una scena strana tutta verde e illuminata da dieci riflettori. I mobili sono verdi, di tela uguale la scena: in fondo una gran porta a vetri dà su un paesaggio che ricorda stranamente quello dell’Isola dei Morti. L’altra porta grande è coperta da un velo blu. Altri veli sono ai fianchi. Un sogno!».

L’autore di questa visione onirica è Edward Gordon Craig (1872-1966), attore, regista, scenografo, critico e teorico teatrale è considerato il padre della regia moderna: benché autore di pochi spettacoli con le sue architetture e i suoi disegni dimostrò il ruolo fondamentale dello spazio e della luce nel teatro. Secondo fonti dell’epoca grazie al suo allestimento «il palcoscenico appariva trasformato, veramente trasfigurato, altissimo, con un’architettura nuova, senza più quinte, di un solo colore fra il verde e il cilestrino, semplice, misterioso e affascinante, degno insomma di accogliere la vita profonda [del dramma]. La scena è la rappresentazione di uno stato d’animo». È affascinante domandarsi quale impatto abbia avuto all’epoca una visione del genere; anche se non sarà mai possibile avere una risposta, non è peregrino chiedersi quanto il futurismo italiano sia debitore della destrutturazione scenica operata da Craig. D’altro canto anche il teatro è debitore del futurismo, come dimostra la recente performance della Paolo Grassi alla mostra su Boccioni.

L’incisività del teatro è dunque anche questa, arrivare a toccare i molti aspetti dell’umanità nelle sue più disparate manifestazioni, dall’eccelso dell’arte al vivere quotidiano. Si conferma dunque che il teatro è arte totale, un miraggio culturale in grado di meravigliare[2].

Godiamoci allora un’altra opera di Craig – e con essa la meraviglia e lo stupore che un moscovita dovette provare di fronte agli schermi astratti che componevano questa scenografia dell’Amleto presentato al Teatro dell’Arte nel 1908:

Gordon Craig, bozzetto di scena per "Amleto" al Teatro d'Arte a Mosca

EdwardGordon Craig, bozzetto di scena per Amleto al Teatro d’Arte di Mosca, regia di Konstantin Sergeevič Stanislavskij, 1908

Questo disegno rappresenta la storia del teatro, i meravigliosi risultati a cui questo campo è giunto un secolo fa sotto la spinta di un’epoca eccezionalmente fertile di talenti.

Ma l’I Ching chiosa «Nessun influsso o risveglio improvviso risulta permanente» e ci ricorda così che il genio di pochi non può imprimere alcuna svolta definitiva; per comprendere davvero lo sviluppo del teatro conviene guardare allora quali sono oggi gli spunti di evoluzione, di quello sviluppo che cent’anni fa ispirò Craig e Stanislavskij.

Rivolgendoci alla scena contemporanea, tra i tanti riusciti esempi di continuità e innovazione che quest’anno sono transitati per Milano, uno in particolare risalta per il suo graduale progredire: il lavoro della compagnia Carrozzeria Orfeo, una compagine di acuti saltimbanchi fondata nel 2007 da tre neo-diplomati dell’Accademia d’Arte Drammatica “Nico Pepe” di Udine, Massimiliano Setti, Gabriele Di Luca e Luisa Supino. Vincitrice di numerosi premi, la formazione ha guadagnato un ampio seguito a partire dal suo esordio con Nuvole barocche, ambientato al tempo del rapimento De Andrè ed ispirato al suo omonimo album, fino a Thanks for Vaselina, lo scoppiettante percorso ad ostacoli di Fil e Charlie, spacciatori e poveri cristi, tra sviluppi narrativi e sfighe cosmiche. Proprio quest’ultima pièce ha imposto all’attenzione del pubblico un nuovo e preciso linguaggio drammaturgico basato sul lessico familiare sui generis di una banda di viziosi e sboccati criminali che, alla fin fine, si rivelano solo terribilmente umani; di fronte a questo dissacrante risultato l’aspettativa riguardo allo spettacolo successivo, Animali da bar, rappresentato a febbraio all’Elfo Puccini, è stata molto alta.

Di nuovo risuona l’eco dell’esagramma Tsienn, la cui cifra è come abbiamo visto ciò che per la seconda volta riesce ad affermarsi: al di là dell’accoglienza della critica, Carrozzeria Orfeo ha confermato uno stile maturo ed efficace, comune per coerenza a molti altri esperimenti di artisti che seguendo le orme di Craig sommuovono e scuotono il panorama teatrale di questi tempi per assicurarne lo sviluppo.

È a loro che si rivolge l’I Ching quando parla di Sviluppo graduale.

Note

[1] Cfr. M. Çili, Sul lavoro dell’attore oggi, 18 marzo 2016.

[2] Rimandiamo al volume di Giovanni Attolini, Teatro arte totale. Pratica e teoria in Gordon Craig, Progedit, 2008.

Autore

  • Rappresenta l'anello di congiunzione tra l'attore e il critico teatrale, panni che indossa uno sopra l'altro come maglioni in un giorno uggioso. Si sta formando alla Scuola di Teatro dell'Arsenale e nel tempo libero studia Lettere Moderne in Statale.