Il fulmine atteso!

di Stefano Geatti

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Nietzsche è il filosofo che meglio incarna lo spirito dell’eliminazione degli ostacoli che impediscono all’uomo di recuperare la dimensione autentica della vita, nell’attesa di una ricostruzione attiva e “artistica” dell’esistenza.


Nessuno può stabilire con certezza se le sentenze profetizzate da Friedrich Nietzsche per se stesso, soprattutto nei momenti conclusivi di Ecce Homo1, abbiano realmente contribuito a generare una crisi irreversibile e di portata mondiale: quel che si può affermare con certezza, è che nella cultura occidentale il suo nome viene solitamente associato a una visione radicale – e talvolta brutale – del mondo e della vita dell’uomo. Il morso che spezza e l’immagine del fulmine che colpisce in modo violento sono perfetti simboli della deflagrazione che il filosofo tedesco ha portato nella storia del pensiero, la quale ha ispirato questa mia riflessione sul tema scelto dall’I King.

Infatti, la filosofia stessa di cui Nietzsche si fa portatore si nutre di tutte quelle metafore e immagini linguistiche che sono legate alla distruzione di vecchi paradigmi di pensiero e fantasmi morali che fungono da parassiti della linfa vitale dell’uomo. Egli stesso si dipinge come «colui che […] dev’essere in primo luogo un distruttore, e che deve infrangere valori»2 e dice di sé: «Conosco il piacere di distruggere in misura della mia forza di distruzione, – nell’una e nell’altra cosa obbedisco alla mia natura dionisiaca […] perché io sono il distruttore par excellence»3. Non v’è cesura tra la persona di Nietzsche e la sua filosofia; egli incarna la missione stessa di cui sente di essere esclusivo esecutore nella storia del mondo e, perciò, si fa portatore dell’annuncio della nuova verità, una realtà che piomba come una folgore nel cuore dell’individuo: «Il fulmine della verità ha colpito proprio ciò che prima stava in cima: chi comprende che cosa esso abbia distrutto, guardi se gli resta ancora qualcosa fra le mani»4.

A tal proposito, Mazzino Montinari sottolinea che per Nietzsche, «la distruzione delle convinzioni si fa ora più radicale»5. Ciò sembra fare di lui la reale incarnazione in campo filosofico e culturale del morso che spezza e che con violenza strappa dalla coscienza dell’uomo occidentale quel sostrato di menzogne che ne ha ostacolato la piena espressione della vita. Infatti nel 1888 scrive, colpito da un’ispirazione fulminea e immerso nei silenziosi paesaggi dell’Engadina, il Crepuscolo degli idoli6, il cui sottotitolo,come si filosofa col martello, offre una magnifica e sintetica visione della profonda compenetrazione tra il metodo nietzscheano e l’attività filosofica stessa, la quale, per poter dar corso alla reale dimensione della creazione della vita dell’uomo da parte di se stesso, deve prima consentire l’eliminazione radicale degli ostacoli, delle “antiche verità”. Non vi è certamente modo migliore – in  particolare nel caso di Nietzsche – di intuire il senso profondo del messaggio e della sua visione profetica che seguire l’espressività delle parole e delle immagini che emergono come lapilli dalle sue opere: «Un’altra guarigione […] sta nell’auscultare gli idoli…Vi sono nel mondo più idoli che realtà: è questo ilmio “cattivo sguardo”, […] e questo è anche il mio “cattivoorecchio”…Porre qui una buona volta domande con il martello e forse udire per tutta risposta quel famoso suono cavo che parla dai visceri enfiati»7.

Se da una parte i vecchi idoli suonano sordi e crollano sotto i colpi del martello filosofico, dall’altra Nietzsche propone una nuova visione della vita umana, libera dai fantasmi della religione, della morale e finanche di ogni forma di pensiero che non riconosca il principio per cui «i fatti non esistono, esistono solo interpretazioni»8. E così come il ritorno del dio Dioniso – principio vitale a cui Nietzsche ascrive la reale e laica salvezza dell’uomo – si fa contenuto fluido e metamorfico di ogni autentica esperienza esistenziale e artistica, allo stesso modo il filosofo tedesco stesso assume, in ogni sua opera, la forma di un morso violento, di un fulmine, di un martello o della dinamite che abbatte ogni ostacolo che si frappone tra l’individuo e la piena realizzazione della propria esistenza.

Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che la forza deflagrante ed esplosiva del pensiero nietzscheano rappresenta contemporaneamente anche un’apertura a un nuovo giorno per l’esistenza umana, a una maturità del pensiero del filosofo stesso, celebrata con un opera dal titolo estremamente esplicativo:Aurora. Quest’opera, infatti, inaugura non casualmente il cosiddetto periodo illuminista di Nietzsche, a partire dal quale il pensiero – finalmente consapevole della propria forza – affronta con lucidità il complesso compito di dialogare con lo spirito vitale dell’uomo, di librarsi al di sopra dei freddi macigni a cui era incatenato e di rendersi a sua volta attivo.

Ecco che una curiosa metafora alimentare di tale processo si riscontra già proprio nel dialogo tra due illustri illuministi:

D’ALEMBERT: […] non vedo invece molto bene come si possa far passare un corpo dallo stato di  sensibilità inerte allo stato di sensibilità attiva.

DIDEROT: […] ciò accade tutte le volte che mangiate. […] Sì, perché mangiando, che cosa fate? Rimuovete gli ostacoli che si opponevano alla sensibilità attiva dell’alimento. Lo  assimilate a voi stesso, lo rendete carne, lo animalizzate, lo rendete sensibile9.

Pertanto, nonostante l’inevitabile differenza di contesti culturali, le atmosfere aurorali che troviamo tra le pagine nietzscheane, in cui la prima luce del sole si affaccia al di là dell’oscurità notturna, rappresentano qui la possibilità concreta di gettare uno sguardo più articolato sulla realtà umana e che sia in grado di metterne a fuoco le vere problematiche. La missione filosofica che Nietzsche sente gravare sulle proprie spalle non è costituita esclusivamente – come invece comunemente si percepisce – dalla deflagrazione delle precedenti strutture concettuali, ma, come ogni riflessione degna di rispetto, avanza, proprio a partire da Aurora, nuove proposte: il “fulmine della verità” in cui egli condensa il proprio stile non solo colpisce le fondamenta e spezza le catene della granitica tradizione occidentale che imbrigliano il pensiero, ma è anche la luce – improvvisa e istantanea – che illumina il nuovo giorno dell’umanità, il cammino di Dioniso.

È proprio con la rapidità di quel lampo decantato mirabilmente da Pascoli10, con il quale ogni ostacolo viene momentaneamente rimosso e una luce nuova investe l’occhio, che con inconsueta immediatezza la connessione profonda tra il nostro tema e la parabola filosofica di Nietzsche mi è apparsa d’un tratto chiara: infatti, l’esagramma di sviluppo ricavato dall‘I King ci rammenta che al morso che spezza possiamo correlare il concetto dell’attesa e che dunque – nel contesto della nostra riflessione – il momento notturno del pensiero non è semplicemente gravido di elementi da gettarsi alle spalle, ma è anzi al contempo l’occasione per attendere qualcosa di nuovo e differente. In tal senso, il tanto propagandato nichilismo nietzscheano sembra essere infinitamente più ricco: esso non vuole significare altro se non che, per poter gettare una luce migliore sulla realtà e attendere di coglierne l’intimo significato, è necessario squarciare i molti veli che oscurano la vista dell’individuo. In tal senso, possiamo comprendere bene la complessità dell’impresa, per la cui realizzazione il filosofo tedesco annuncia l’attesa messianica del ritorno dello spirito vitale nell’umanità, simboleggiato nel dio greco Dioniso, così come il suo poeta romantico prediletto, Hölderlin, mostra la duplice dimensione – di aspirazione e di trepidazione – della speranza per la ricongiunzione dell’uomo con l’Assoluto e viceversa:«[…] Ma attendono / molti occhi timorosi / per vedere la luce. Non vogliono / fiorire al raggio affilato, / anche se il coraggio è retto da redini d’oro»11.

Per quanto ogni filosofo sia – nelle risposte che fornisce – un cosmo indipendente, tuttavia, in virtù dell’ampiezza delle domande, possiamo provare a racchiudere la prospettiva fondamentale della filosofia nietzscheana nella densità delle parole che Ernst Bloch utilizza nello Spirito dell’Utopia (1923) per chiarire il concetto di attesa costruttiva, ossia del “sogno ad occhi aperti”: «È per trovare questo […] che noi procediamo, ci apriamo i varchi metafisicamente costitutivi, invochiamo ciò che non è, costruiamo nell’azzurro, ci costruiamo nell’azzurro e cerchiamo il vero e reale là dove scompare il semplice dato – incipit vita nova»12.


Note:

1. F. Nietzsche, Ecce Homo, a cura di R. Calasso, Adelphi, Milano 2008, p. 127: “Conosco la mia sorte. Un giorno sarà legato al mio nome qualcosa di enorme – una crisi, quale mai si era vista sulla terra […]. Io non sono un uomo, sono dinamite”.

2. Ivi, p. 128 [Corsivo nel testo].

3. Ibidem. [Corsivo nel testo].

4. Ivi, p. 136.

5. M. Montinari, Che cosa ha detto Nietzsche, Adelphi, Milano 2003, pp. 106-107.

6. È significativo qui sottolineare come siano metafore della forza del filosofare nietzscheano sia la rapida intuizione del senso della nuova opera sia, per sua stessa ammissione, la celerità nel comporla; F. Nietzsche, Ecce Homo, cit., p. 115: «Questo scritto di neppure 150 pagine […], l’opera di così pochi giorni che mi trattengo dal dirne il numero».

7. F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, tr. it. a cura di F. Masini, Adelphi, Milano 2008, p. 23. [Corsivo nel testo].

8. F. Nietzsche, La volontà di potenza. Frammenti postumi ordinati da Peter Gast e Elizabeth Förster – Nietzsche, a cura di M. Ferraris e P. Kobau, Bompiani, Milano 2009, p. 245, Libro III, § 481.

9. D. Diderot, Il sogno di D’Alembert, a cura di Galateria, Sellerio, Palermo 1994, pp. 11-12.

10. G. Pascoli, Il lampo, in Poesie, a cura di L. Baldacci, Garzanti, Milano 1976, p. 135 : “E cielo e terra si mostrò qual era: / la terra ansante, livida, in sussulto; / il cielo ingombro, tragico, disfatto: / bianca bianca nel tacito tumulto / una casa apparì sparì d’un tratto; / come un occhio, che, largo, esterrefatto, / s’aprì si chiuse, nella notte nera”.

11. F. Hölderlin, Patmos (Prima stesura), in Poesie Scelte, tr. it. a cura di S. Mati, Feltrinelli, Milano 2010, pp. 215-217.

12. E. Bloch, Sprito dell’utopia, a cura di F. Coppellotti, Rizzoli, Milano 2009, p. 6. Si segnala che Bloch è stato un filosofo tedesco del ‘900, grande conoscitore del pensiero nietzscheano. Egli, da sostenitore delle teorie marxiste, crede profondamente nella possibilità che l’uomo ha di modificare la realtà che lo avvolge e ritiene che, per tale scopo, sia necessario eliminare gli impedimenti materiali della condizione presente e immergersi in un processo creativo continuo della dimensione futura.

 

 

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