E-scatologia. Dal Transumanesimo ai Disintegration Loops

Ciò che noi oggi sperimentiamo è il compimento del compimento. Vale a dire, il raccogliersi nelle sue estreme possibilità dello spazio scenico che ha dato il ritmo alla storia dell’Occidente: quello dell’escatologia giudaico-cristiana. Questo scenario è un unicum, scavato in una configurazione del tempo non reperibile in altre culture. Dal futuro non ci si aspetta la ciclica reiterazione delle dinamiche di una natura immutabile. Ci si aspetta invece il compimento di un’alleanza: quella che Dio ha stretto con la comunità, promettendogli un regno retto per sempre secondo sapienza e giustizia. Il presente si inarca, costituendosi come il tempo dell’attesa del compimento, della linea verticale che, intersecando l’orizzontalità della storia, consumerà il tempo.

La secolarizzazione di questo schema teologico sta alla base della cesura moderna: dell’escatologia si mantiene la cornice temporale, ma l’uomo prende il posto di Dio. È lui, adesso, a detenere il potere di portare la storia al compimento. All’attesa subentra il progetto, il futuro da costruire. 
Si crea il terreno propizio per la nascita delle utopie moderne: la politica non deve limitarsi a gestire il “frattempo” dell’attesa, ma deve attivamente rimuovere tutto ciò che impedisce la realizzazione della storia. La fede illuminista nell’illimitato perfezionamento delle facoltà umane getta le basi di un titanismo politico. Con la Rivoluzione francese, la politica assume il lessico e i connotati del destino. Il Novecento porta al suo culmine questa parabola: l’esaltazione gnostica che guida i totalitarismi rilancia fino al parossismo, schiacciandola sulla terra e sul corpo, la millenaria esigenza di chiudere la storia.

i sigilli sono stati sciolti, il corpo di Dio è in frammenti, lo spazio si disserra in vedute oniriche senza fine – io rotolo verso i margini ulteriori – mai come adesso le possibilità vengono meno, si esauriscono… i miei incubi sono rettili, minerali: dominati da finalità più pervasive e cancrenose di quelle passate, rimandi a un avvenire vacuo e illanguidito, edificato su palafitte preparate allo scopo di ripararmi da un caos che, già da sempre, ero destinato a scoperchiare

Oggi, segnata dal trauma dei totalitarismi, la politica come destino si rovescia in una totale definalizzazione

Feticismo dei mezzi, che diventano i nuovi fini; bêtise post-storica di una società di burocrati che sconta il trauma della caduta dei valori supremi (o della loro inammissibilità, pena la catastrofe atomica) sovrainvestendo la gestione delle contingenze, l’attuazione delle procedure.

una notte schiarita, una foresta che avvampa all’imbrunire, rossa e blu, sulle schiene d’infinite montagne: tutto è compiuto (abbiamo amato con idiozia negli occhi secondo il volere degli dèi e il coltello è stato levato… le grida del sangue versato sulla pietra hanno colmato la valle della storia)… ora, all’ombra delle statue infrante dal sole, ogni possibilità ci è offerta zampillante dal cuore della terra

È come un punto geometrico la nostra epoca, che pur consegnandoci una posizione nella storia, si presenta senza grandezza, che sprofonda nel proprio presente stagnante; senza un nuovo inizio che non sia una traccia smarrita e una fine che non sia presunta o dedotta. Il compimento lascia sospesi. La chiusura non apre né prospetta, piuttosto abbandona all’incertezza. È la certezza che si emancipa dai suoi portatori. La Conoscenza abbandona la Coscienza. La razionalità trova allora il punto di massima altezza nel suo stesso conoscersi – conoscenza di conoscenza come forma più pura d’essere – ma la gravità è centrata sulla consapevolezza della propria dispersione, mentre la conoscenza diverge, lasciando di sé solo ideali mancati, spettrali.

Questo vede, attonita, la figura sul bagnasciuga che si dispera, scontornata dalla leggerezza inesorabile della schiuma marina; sono le lacrime di vernice che colano dal ritratto postumo dell’uomo, che trafiggono la verginità del muro bianco trafugato dalla ragione dei lumi.

Ray Kurzweil, pioniere dell’intelligenza artificiale, profetizza – per il 2045, o giù di lì – l’avvento della «singolarità», un’epoca in cui l’intelligenza delle macchine sopravanzerà di molto quella dei suoi artefici umani. Nella sua profezia, ad assumere un ruolo messianico è l’intelligenza, fin qui intralciata dai nostri corpi e cervelli biologici. Qualità specificamente umana, l’intelligenza, per Kurzweil, si identifica al contempo con il meccanismo algoritmico che sorregge l’informazione grezza, la materia costitutiva del creato. Tutta la nostra storia tenderebbe alla sua liberazione, secondo la legge «dei ritorni accelerati», per la quale tutto procede esponenzialmente, in direzione dell’ordine e della regolazione perfetti delle macchine. Nell’ultima delle «Sei Epoche dell’Evoluzione» la capacità dell’intelligenza di riorganizzare energia e materia arriverà a trasformare il vuoto infinito dell’universo, dopo 14 miliardi di anni di futile assoggettamento all’inesorabile forza dell’entropia, in un vasto macchinario per l’elaborazione di dati.

«Bit in polvere sniffati causano neurodeliri hackerando proteine. L’ipotalamo viene surcodificato da una Xtal23CLh. Un algoritmo scripta il tuo genoma avviando un dramma martiriologico. Sei quindi vomitato dentro un vortice informatico prigioniero di una visione psico-accelerata. Corpi decomposti in codice binario vengono proiettati come pixel esplosi sul globoschermo. Tecnognosi: la tua redenzione è un’iniezione violenta di silicio. Ma è un clusterfuck, hai attirato un modello X4 di Venere tentacolare post-carbonica e tecnosessuata. Sei avvolto da gloriosi peni meccanici che microaggrediscono il tessuto epiteliale. Conclusa la xenomorfosi un orgasmo macchinico cova nel grembo l’homo autocatalyticus…»

Compiuto il compimento, sopravvivono i suoi simulacri.

Vision 2030, China 2049, Gaia 2050: i grandi Piani ai quali le macroistituzioni si affidano per inquadrare le esistenze, e trovare legittimità, non sono poi così difformi dalle stravaganti ipotesi dei transumanisti. Astronauti e ingegneri spaziali presenziano puntualmente alle inaugurazioni degli anni accademici, pronosticando l’anno dello sbarco su Marte. I progressi della medicina si propongono come l’estremo compito storico dell’umanità.

Ma questa cornice spettrale, simbolicamente esausta, non può dare da sola un ritmo alla vita. Per farlo, deve appoggiarsi a un’altra temporalità entro la quale l’escatologia paradossalmente sembra risolversi: il loop. I piani pluridecennali servono da inquadramento alla «città per progetti» neoliberale, che dissimula la modestia dei suoi fini con il susseguirsi autoreferenziale delle sue mission. Ma queste sono solo la forma più elitaria e sublimata della gamificazione, della cattura a opera di rating, punteggi e ricompense di innumerevoli ambiti della nostra vita. Il rovescio della pianificazione si rivela essere la serialità cieca, lo scrolling sul quale tende ad appiattirsi la pulsazione dell’automa culturale.
Basta ascoltare i Disintegration loops di Basinski per comprendere ciò in cui, a sua volta, la pulsazione seriale si risolve: nella disintegrazione; nell’uomo che, non senza commiato e struggimento, abbandona la partita; nella percezione di un mondo che, non avendo nemmeno le forze per esplodere, lentamente si esaurisce.
La cornice di senso diventa una gabbia, della quale afferriamo le sbarre, e che ci sembra coincidere con i limiti del mondo.

la rovina a ogni attimo sospinta lungo il corso della vita – la corruzione dei corpi, l’avvelenamento degli spiriti – è rilanciata, nell’occasione di una chance sommitale, nella possibilità di una dissoluzione catastrofica – l’ekpyrosis in cui nulla ha da essere salvato e tutto ha da essere perduto. È la ripresa del movimento stesso del sacro che mette a morte l’essere per trasfigurarlo. È l’incendio che si propaga, irradia calore e luce, infiamma e acceca. Il sacrificio è come il sole che muore per il suo prodigo donarsi, la cui luce è insostenibile ai nostri occhi, eppure invita tutti gli individui alla negazione della propria unicità

La filosofia cerca nel gioco il paradigma di un buon governo:

«Si deve vivere giocando alcuni giochi, celebrando riti, cantando e danzando, in modo da essere capaci di propiziarsi gli dèi e di allontanare i nemici e, se si deve combatterli, vincerli». Cerca nel gesto e nella danza, il cui fine consiste nella loro stessa effettuazione e nei quali la vita sembra «la sorgente inesauribile di se stessa», il paradigma di un agire non più scisso dalla dialettica irrisolvibile dei fini e dei mezzi. Ancora, essa può forse scorgere nel télos dei Greci un’alternativa all’eschaton, o può trovare nel plḗrōma l’idea di una vita paradossalmente piena nel suo vuoto strutturale, di un agire che ha da compiersi nell’incompiuto, grazie all’incompiuto…
Ma basta scuotere i concetti e le radici per risolvere le aporie in cui la storia si è incagliata, e per trovare conforto nella sofferenza generata da questa stasi frenetica? I luoghi della formazione, dove queste aporie prendono carne, sono sempre più pervasi dai dispositivi che reprimono la chance, rendendoci sempre più miseri. Chance e chiusura: dipenderà dalla dialettica, o da ciò che ne rimane, se «fermarsi, rifiutare una situazione, cercare per altre vie, porsi degli interrogativi, in una parola educarsi, significa sottoporsi a una tale tensione, a una marcia controcorrente così faticosa che solo un’élite (e domani una superélite) potrà permettersi».

sono condannato – la fine ha l’occhio della lucertola, la sofferenza della pietra – anche la mia povertà si esaurisce… ho visto in sogno le scorie del mio corpo andare a fuoco, al risveglio mi sono domandato se non sia la mia insufficienza a capovolgere l’orizzonte delle possibilità in vuota deflagrazione per vendicarmi della vita, oppure se non mi stia avvicinando al limite esterno di una possibilità impossibile a cogliersi – «l’unico peccato è limitare la chance»: mi dovrei abbandonare al culmine, come il nuotatore tra le onde, gioire del tempo, rallegrarmi dell’attimo in cui la comunicazione fiorisce dall’interruzione, abbracciare amore e morte nella piana assolata dell’immanenza? disserro la porta e la COSA ha preparato per me tre bottiglie di Raboso, un euro e cinquanta (le bevo, sono ubriaco), un orifizio splendente (lo chiavo), una pertica (mi appresto a essere chiavato), una scaglia nera (la mangio…), un proiettile, un denso mare di fango, i contorni chitinosi di una parola inintelligibile, una spalla sanguinante, una febbre che brucia senza redimere.

Attorno al circolo filosofico di INOPEROSO
si svolgono gli incontri dell’Uomo senza opera alla Corte dei Miracoli

di INOPEROSO

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