Curiosissimi fatti di cronaca criminale di Hans Tuzzi: l’intervista




Hans, a febbraio è uscito il tuo ultimo libro dal titolo Curiosissimi fatti di cronaca criminale, edito da Bollati Boringhieri. Mi faccio portavoce degli amici di La tigre di carta, che mi hanno stimolato a intervistarti dopo aver raccontato loro del tuo libro, e di Libreria di Quartiere per la quale lavoro, dove i tuoi lettori non mancano. Grazie per il tempo che ci dedichi.

Nord Italia, primi mesi del 1960, queste le coordinate spazio-temporali. Vittorio Lettieri, viene trovato nella sua casa di Blevio, seduto in poltrona decapitato, «morto da almeno sei ore» constata il dottor M. Orte anatomopatologo. Lettieri era professore ordinario e senatore della Repubblica, la stanza era chiusa dall’interno, Polizia e Carabinieri brancolano nel buio, qualcuno ha visto delle luci verdi in cielo «la stampa, la radio e la tivù ancora a canale unico ci si buttarono». A indagare in parallelo alle Forze dell’ordine è il dottor Fumi. A primo impatto uno Sherlock Holmes. Gli extraterrestri sono da escludersi, a uccidere sono gli uomini, e una volta districata la matassa il caso si rivelerà banale. Vuoi raccontare qualcosa su di lui? È nato già pronto ad affrontare la realtà che gli mettevi davanti o ne è stato formato?

Fumi, come già Melis, rappresenta quella parte minoritaria di funzionari statali appartenenti a una borghesia laica, colta, attenta ma critica verso le ideologie: un’Italia molto minoritaria che per breve tempo, un tempo davvero troppo breve, si riconobbe nel Partito d’Azione o, pur con tutti i suoi limiti, propri del tempo e del contesto, nel Mondo di Pannunzio. Una borghesia che ha a scaffale i libri di Chiaromonte, per capirci. La sola borghesia che avrebbe potuto condurre questo Paese su lidi migliori di quelli sui quali è approdato. Ma naturalmente egli non è pronto – e chi lo sarebbe? – ad affrontare una realtà sovrannaturale. I primi sospetti ricadono sulle trame dei fascisti (o ex-fascisti), sulla massoneria con la complicità degli apparati statali. Lo stesso Fumi è chiamato a indagare perché uomo capace di scoprire e insabbiare.

Qual è il volto del paese che racconti nel libro? Sappiamo come emergerà nei decenni successivi. Il potere che si occulta nel paese è omnipervasivo? O, per quanto pericoloso, anch’esso è un tentativo di controllo di una realtà che sfugge?

Premesso che ogni potere, persino il meglio intenzionato, è l’infruttuoso tentativo di controllare e perciò di coartare “la realtà”, e il peggiore, quello dittatoriale, anche l’individuo, la prima domanda potrebbe essere: perché il romanzo è ambientato nel 1960? Andiamo con ordine. Intanto, tutto da dimostrare è se i fatti di cronaca criminale in questione siano gli impossibili delitti o non piuttosto gli accadimenti politici italiani. Vorrei ricordare che, a guerra finita, fra 1946 e 1947 si ricostituì un partito fascista al quale furono vicini (e spesso più che vicini, intrinseci) apparati dello Stato: ripercorrere le biografie dei vertici dei servizi segreti è inquietante, e mi basti qui ricordare che Federico Umberto D’Amato, direttore dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, fu colui che suggerì per la bomba di piazza Fontana – madre di tutte le stragi di Stato – la pista anarchica: rimosso dal ministro Paolo Emilio Taviani dopo la strage di Piazza della Loggia, è stato ufficialmente dichiarato, post mortem, mandante della strage di Bologna con Licio Gelli, Umberto Ortolani e Mario Tedeschi. Non c’è da tremare? E aggiungo che Taviani era un democristiano: vi erano pertanto nella DC non poche figure intransigenti nei confronti di certe alleanze. Perché allora in Italia, sin dagli anni Sessanta, non si è mai creato un partito di centro, o persino conservatore, che come in Francia e Gran Bretagna sapesse alzare un rigido muro fra sé e il fascismo o gli altri movimenti antidemocratici che oggi chiamiamo populisti? Perché il Sessantotto, quale che sia il giudizio che ne diamo, solamente in Italia sfociò in oltre dieci anni di stragi che videro implicati apparati dello Stato? Non è perciò un caso se ho ambientato la mia storia fra gennaio e agosto 1960, quando in Italia si vara il breve governo Tambroni e in Francia si organizza l’OAS. Il nostro oggi è frutto di quel passato. Peraltro, per me affascinante a livello di vita quotidiana: ma chi non ha vissuto gli ultimi fertili anni Cinquanta e i Sessanta verde mela e rosa shocking, non può capire che cosa intendo. Il mondo cambiava, come i film che narravano una fiaba non più in bianco e nero ma a colori, e tu lo sentivi, lo vivevi ogni giorno. Però, naturalmente, pochissimi potevano intuire quale verme si annidasse in quella mela. Una mela le cui suggestioni cerco di restituire nelle pagine del romanzo, pennellate di un vento che già annuncia la primavera di Please please me e il “brave new world” di Sgt. Pepper’s.




Seguono altri omicidi inspiegabili. C’è un dialogo al centro del racconto a mio parere stupendo. Fumi e PiKappa. Emergono due modi di ragionare, anche dettati dai ruoli dei due personaggi. La razionalità è la stessa e si declina in modo differente o si stanno scontrando due visioni del mondo incompatibili? Se la ragione è unica, perché PiKappa lascia la sua razionalità aperta al possibile? La sua ragione è tanto solida quanto egli ci appare poi proiettato in ipotesi che non possono trovare risposta e che certo non possono essere messe agli atti. Possiamo parlare di metodo senza parlare dell’uomo?

Se è possibile parlare di uomo senza parlare di metodo (nella letteratura gialla, Maigret; e molti individui nella vita reale di ogni giorno) si potrà parlare di metodo anche senza parlare di uomo. Ciò che distingue la scienza dalla filosofia o, ancor più, dalla teologia, per dire, è proprio il metodo. Su questo, pur avendo in buona sostanza torto su singoli punti, il Circolo di Vienna pose alcune pietre miliari. E Wittgenstein, nell’abiura del Tractatus, dimostra che la più esasperata ragione si può declinare in modi differenti, nel tempo. Per non parlare della fisica quantistica, che contraddice ciò che appare al buon senso. Persino la matematica, ormai, dubita che 2 più 2 dia sempre 4. In ogni caso, la ragione è una ma può decidere di esplorare percorsi diversi o persino divergenti: di saggiarli, di metterli appunto alla prova del suo rasoio senza per questo accettare l’irrazionale o l’indimostrabile. Né è un caso che nel romanzo, fra gli adulti, PiKappa e Fumi siano i soli ad essere sfiorati dall’Oltremondo e ad uscirne incolumi. Un Oltremondo che, per altro, è indimostrabile. Chi crederebbe ai bambini, quand’anche parlassero?

In esergo metti una citazione di Baudrillard «Far apparire l’oggetto è più importante che farlo significare». Alla fine del libro mi accorgo di quanto questa frase mi abbia accompagnato nella lettura. Accompagna anche Fumi? Accompagna te nella scrittura? Mi parli ancora del libro alla luce di questa frase?

In campo artistico, ogni civiltà rivendica un diritto di scelta: a un’Europa realistica si contrappone una Cina concretamente non figurativa (penso al paesaggismo pittorico come all’esempio più evidente). A maggior ragione esiste il diritto di scelta di ogni artista. Accanto a Zola convive Schwob, per dire, e la critica sociale di Jarry si esprime in forme aliene dal realismo di Gérminal. Tuttavia l’oggetto ha in sé una potenza di impatto che supera le barriere culturali. La potenza archetipa del toro è la stessa per l’uomo di Altamira, di Babilonia, di Las Ventas o per Hemingway. Ignoro, perciò, cosa significhino esattamente romanticismo, realismo, neorealismo, realismo magico, giallo, fantascienza e via andando. So che da sempre le grandi opere superano gli steccati della realtà così come ci appare: nel Don Giovanni un musicista e un librettista del secolo dei Lumi che forse non credevano in Dio mettono in scena qualcosa che è al contempo ateo e sacro, dove un convitato di pietra accetta l’invito e trascina il protagonista all’inferno. E don Chisciotte non vive in un mondo a tre dimensioni: grazie alla superba arte di Cervantes entra ed esce dalla quarta in tutta naturalezza. E così è con Bulgakov. Essi ci fanno vedere la cosa, e con la cosa il suo effetto; non ce la spiegano. Perderebbe di forza, ci parla già con il suo solo apparire. Personalmente non amo le etichette, e anche i generi letterari vanno stretti alla grande arte. Ora, senza pretendere di fare grande letteratura (ma buona letteratura, sì: quella sì), in Curiosissimi fatti di cronaca criminale volevo trattare temi sociali, o se preferisci politici (la natura reazionaria o ottusamente conservatrice dei popoli latini; l’indifferenza etica al fascismo propria degli italiani; l’incapacità tutta nostra di ricordare, e di fare esperienza di quella memoria), assumendo un punto di vista diverso, cogliendo, per così dire, la voce dei draghi e dei fanciulli, coniugando l’armonica meravigliosa geometria degli astri alla furia foriera di presagi, alla potenza mostruosa degli antichi dèi. Perché il divino è al di là dell’etica umana, e nulla è più terribile del riso degli dèi. Che, quando accolgono le nostre consce o inconsce preghiere, svelano la nigredo dell’Uno, ma anche un viaggio verso l’alba. L’alba della consapevolezza interiore: soltanto noi uomini, cambiando in meglio uno ad uno, possiamo migliorare il mondo. E questo è nelle immagini, che qui valgono (o vorrebbero valere) come epifanie, come apparizioni, manifestazioni visibili. Segni dalle suggestioni primeve. Tutti mi dicono che Curiosissimi fatti fa anche ridere, e molto. Bene. Il riso è una potentissima arma, e probabilmente aveva ragione Walter Benjamin nel sostenere che la commedia precedette la tragedia: il mondo nasce primariamente dal riso degli dèi, dal conflitto nascono le storie. In più, l’Italia è il Paese di Flaiano, dove la situazione è grave ma non seria. Chi parla male pensa male. E allora come prendere sul serio un popolo che consegna il Paese a un miliardario dalle oscure fortune che straparla di Romolo e Remolo? Un popolo che elegge uno che appena apre bocca rèce strafalcioni sintattici e grammaticali, confondendo Auschwitz con Austerlitz? Un popolo i cui eletti, una volta al governo, nominano il suddetto ministro di importanti dicasteri? Non si può. E allora è giusto ridere di un simile popolo e di molti dei suoi rappresentanti. Purtroppo aveva ragione De Gaulle: l’Italia non è un Paese piccolo, è un piccolo Paese. Anche se a volte, messo all’angolo, con le pezze al culo, dà il meglio di sé e quel meglio non è poco. Ecco, in quelle rare occasioni sono fiero di essere italiano, pur consapevole che vale, per la nazione, quel che tutti gli strateghi stranieri dissero del nostro esercito: la truppa è di gran lunga migliore degli alti ufficiali.




I bambini li ho ignorati fino ad adesso, era più facile parlare di omicidi inspiegabili e filosofia. Alcuni bambini in concomitanza con gli omicidi iniziano a parlare con animali che si presentano loro come incarnazione di entità che non appartengono al nostro mondo per come lo conosciamo. Gli animali si appellano ai bambini con i nomi di donne fatali, bellissime, come Theda Bara. C’è un significato che non ho colto o cerco significati dove stai solo ricordando il bello?

I nomi dei tre protagonisti “oltre la soglia”, Agostino Leonardo ed Elena, non sono scelti a caso. E così i nomi dati loro dalle Antiche Potenze. Perché, sì, bello genera bello, miseria morale perdura in miseria morale e degrado diffonde degrado. Quando l’uomo comprese la relazione tra coito e parto, le società matriarcali cedettero a quelle guerriere e patriarcali, ma l’Eterno Femminino, il mito della Dea Madre, ci ricorda che il bello sta nella vita, non nella morte – esaltata, non a caso, dal grido franchista: abbasso l’intelligenza, viva la muerte! Un motto coniato, nemmeno questo è un caso, da un generale, così come il noto cortocircuito cultura-pistola si deve al capo della gioventù hitleriana. L’infanzia riconosce il meraviglioso e i valori eterni. Alla proiezione di Cenerentola, quando le sorellastre e la matrigna mentono, il figlio di miei amici, bambino, balzò sul sedile gridando “Bugiarde! Non è vero!”, piccolo eroe in piedi nel buio della sala contro la venefica serpe della Menzogna. I bambini sanno riconoscere verità e valori, se non eterni, connaturati all’umanità nel suo cuore più profondo: non si servono a un padre le carni dei suoi figli, non si giace con la propria madre, non si uccide il fratello. E tuttavia, i bambini contemplano affascinati, senza ribrezzo, il mistero di una carogna in putrefazione – proprio come Baudelaire ne seppe cantare la bellezza: poeti e bambini parlano la medesima lingua, che è anche quella dei pazzi. Suprema saggezza e suprema follia, del resto, si toccano, come ci insegna il mito. I bambini sanno distinguere meglio di noi fra Bene e Male, e proprio per questo sanno che il Male ha un lato oggettivamente seducente. Come si spiegherebbe, altrimenti, la fortuna dei villains in campo artistico? Ogni attore sa che essere il Jocker “paga” più che essere Batman, che Terminator affascina più dell’eroe buono. È una saggezza ancestrale che, paradossalmente, va al di là del Bene e del Male così come concepito dagli adulti. In letteratura, poi, il Bene annoia mentre il Male sa come prender la scena (ma qui il discorso condurrebbe lontani, perciò lo tronco). In quanto assoluti, se assoluti il Bene e il Male si integrano come lo Yin e lo Yang; è la meschina malignità di basso conio, il volgare desiderio di potere e dominio materiale, così comuni a noi adulti, che i bambini non accettano. Perché, appena usciti dal grembo materno, sono più vicini all’Assoluto. In che momento i bambini cessano di essere tali? Forse, quando si instilla in loro l’idea di profitto. E dunque con la scuola, che li fa piccoli adulti, tristi copie dei loro padri. Ma sotto la cenere, per fortuna, in ogni uomo cova l’antico fuoco, e nei migliori esso sa ravvivarsi, quando occorre.




Sono loro, i bambini, in un certo senso a chiudere le questioni aperte. Le entità si rivolgono a loro perché scelgano del futuro dell’umano. Ai bambini spesso attribuiamo nel racconto, nella letteratura, nel mito, una capacità di vedere e di capire superiore a quella contaminata dell’umano adulto. La scelta dei bambini è una scelta di responsabilità dell’umano verso l’umano? Anche se comporta forse la rinuncia a una giustizia Universale.

Sì, il concetto è questo, lo ripeto: soltanto noi uomini, cambiando in meglio uno ad uno, possiamo migliorare il mondo. Anche perché sarebbe difficile stabilire chi su questa terra possa far valere principi universali: il potere religioso, per come si è manifestato in ogni luogo e in qualsiasi epoca, ci convince che è meglio farne a meno, e il confessionale laico, come diceva Albert Camus, è anche peggio, come le dittature del Novecento hanno – o meglio: dovrebbero aver dimostrato.
Tornerei alla capacità di visione infantile e alla nozione di meraviglioso, intesa come prossima a quella di straordinario. Due nozioni che vanno ben al di là di bello. Tutto ciò che è insolito – e tanto più se insolito al nostro occhio interiore: in questo senso esso è latente e onnipresente, e non è esteriormente straordinario – tutto ciò che è insolito, dicevo, è meraviglioso. Ma il meraviglioso non è necessariamente bello o appagante. Ciò che è straordinario può essere splendido o terribile, come in natura – una eruzione, uno tsunami, un terremoto sono eventi straordinari – e ancor più nel mito e nella fiaba, che del mito è figlia: gli olimpi combattono contro i mostri e i titani, ma i titani furono i primi dèi. Il mito è assai più utile delle solipsistiche religioni monoteiste, per spiegare la realtà del Male, che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno, e il “non indurci in tentazione” del Padre nostro la dice lunga su un Dio originario che ha in sé il principio del Male, poi estroiettato nella figura di Lucifero. Non a caso la frase, problematica per chi ha cervello, è stata espunta e mutata dalla recente liturgia. Ma anche la natura del meraviglioso tipico della fiaba era ben presente ai tardi raccoglitori che sarchiarono quel campo di tradizione orale. Basti leggere la premessa che Perrault fa alla sua raccolta: le fate possono donare e dannare. E, alla faccia di quanti oggi le purgano convinti, così facendo, di proteggere gli infanti perché il nome è la cosa (ma se chiami pecora una tigre, ti sbrana lo stesso), e di vendere di più compiacendo le masse di iloti (e invece la maggioranza dei lettori ha ancora un cervello, e protesta), le fiabe, quelle vere, quelle che fanno crescere, sono terribili e raccapriccianti. E qui, per buona giunta, entra in scena la lingua, elemento non certo secondario per uno scrittore. Non sempre il meraviglioso richiede nuove parole, nuovi nomi: se di fronte al Nuovo Mondo i conquistadores avvertirono la pochezza dello spagnolo per definire una nuova extra-ordinaria realtà, Kafka sa darci la sensazione dello straordinario con un linguaggio essenziale. Tuttavia, come dice Mandel’štam per Dante, è proprio del meraviglioso far oscillare i significati e violare l’integrità dell’immagine. Altra cosa beatamente ignorata dai censori di fiabe altrui. Che rispondono, più o meno consciamente, a precise richieste di mercato, ancorché miopi, in nome di una teoria. Il che conferma che nulla è pericoloso quanto una mente che elabora teorie – se ad esse pretende di adeguare il mondo. I bambini colgono con assoluta immediatezza la profondità recondita delle fiabe e con quel medesimo sguardo – uno sguardo interiore – osservano il mondo. È, nei due sensi, la sempre rinnovata e, ahi, troppo breve magia dell’infanzia. Resa oggi ancora più breve, perché viviamo in un’epoca dove mercato e stolidità vanno a braccetto, in quella che Baudelaire definì la «dittatura dell’opinione pubblica». Il nostro tempo ha dimenticato una verità fondamentale: tutto puoi dare a un imbecille, tranne un palcoscenico.

Una domanda più personale. Se chi è nato da poco ha questo potere di vedere il mondo sotto occhi nuovi, se persino le entità si rivolgono a loro, pensi che il nostro mondo di oggi sia capace di ascoltare le nuove generazioni o l’esperienza e la sofferenza provate per arrivare dove sono rende gli adulti sordi al mondo nuovo?

Gli adulti sono sempre sordi, spesso vili e talvolta criminali, e ciò influisce sulla acutezza di sensi delle giovani generazioni. Ma può influire sia ottundendo, sia, per reazione, acuendo. I giovani possono sbagliare, e spesso sbagliano, ma per generosità, per eccesso, quasi mai per miope egoismo. E mi pare che a fronte di adulti imbelli o tardi, siano vogliosi di prendere in mano il proprio futuro. Ho fiducia, sui tempi lunghi, nel pendolo della storia e nella talpa che scava ai suoi piedi. Anche se forse, su tempi non troppo lunghi, l’umanità riuscirà a ridurre questo pianeta a una discarica. Dove peraltro, come le blatte e i topi, troverà modo di sopravvivere. Spero non sia così, non amo pensare i neonati di oggi futuri cittadini di un pianeta ridotto come la Los Angeles di Blade Runner.



Intervista a cura di Jacopo Gibertini

Leggi tutti i nostri articoli di letteratura

Autore