L’archetipo del viaggio

Dai misteri eleusini a Walter Benjamin

archetipo del viaggio persefone

Le prime vie si aprirono in mezzo a gole rocciose, nella natura più impervia. Al loro termine si trovavano le grotte e le caverne, mete dei primi sentieri della storia dell’umanità. La ricerca di un luogo in cui essere protetti e difesi dagli animali e poter accendere un fuoco rappresentò la prima forma, salvifica, di viaggio.

Per Neumann, come esperienza dell’uomo, storicamente esso si connota come questa ancestrale e tortuosa linearità che portava, attraverso le asperità del territorio, a un centro dentro alla montagna.

Al termine del giorno, al sicuro, si poteva fare esperienza dell’immagine e della sua poetica, come dimostra la cattedrale preistorica di Lascaux. Nella Sala del Fondo della grotta Chauvet si innalza un pendente su cui è dipinto un essere antropomorfo con corna da bisonte, lo Stregone della Grotta, una figura fallica dentro una cavità dalla forma vaginale.

Il fondo della caverna, come metafora dell’inconscio e dell’utero che avvolge, diviene il luogo del ritorno protetto e dell’interiorità, là dove emergono i ricordi e le speranze del mondo fuori.

Con l’avvento delle religioni istituzionalizzate il viaggio verso il centro della caverna si trasforma nelle vie sacre che portavano ai luoghi di culto e alle relative iniziazioni. La processione annuale conduceva a Eleusi attraverso il percorso da Atene al mare e da qui a Epidauro, con obbligo di digiuno fino al quinto giorno, in cui gli iniziati assumevano infine il kykeon.

Il mito del rapimento di Persefone e la ricerca della madre Demetra fino al ricongiungimento dagli inferi veniva ribadito nella ritualità della processione.

L’iniziato ai misteri eleusini percorreva fisicamente e psichicamente le fasi della discesa, della ricerca e della ascesa fino a raggiungere la consapevolezza della ciclicità della vita e della morte, come un fiore che rinasce a ogni stagione. Il viaggio del corpo prevedeva l’astensione da cibo e bevande e il passaggio attraverso un  pantano in cui era facile cadere fino all’arrivo al Telesterion di Eleusi, in cui gli iniziandi con le torce in mano rievocavano la ricerca della figlia da parte di Demetra.

L’esperienza terminava con il culmine dei misteri eleusini, assolutamente segreti: l’ostensione nell’oscurità delle deiknumena (le cose mostrate), la rievocazione del mito attraverso le dromena (le cose fatte) e i versi che accompagnavano l’esperienza, i legomena.

La longevità dei misteri eleusini attraverso duemila anni di storia, si giustifica solo con la profondità dell’esperienza del rito di iniziazione, che secondo Cicerone concedeva «di imparare gli inizi della vita e di acquisire il potere non solo di vivere felici, ma anche di morire secondo una speranza migliore».

archetipo del viaggio grotta

Al viaggio come categoria spaziale si sovrappone la dimensione temporale dello svolgersi della vita dalla nascita fino alla morte, come metafora dell’esistenza.

Le figure retoriche derivanti da questa corrispondenza sono innumerevoli, come il percorso della vita e i cammini iniziatici, i viaggi mentali e i trip. Per Widmann il viaggio è sempre qualcosa di più di una semplice traslazione tra due punti ma è «esperienza di carattere singolare, perché gettata a ponte tra spazio e tempo, fra passato e futuro, fra causa e fine, fra soggetto e mondo», e per questa sua capacità di creare legame fra poli è intrinsecamente simbolico, in quanto capace di collocarsi in maniera ambigua tra realtà e immaginario, azione e fantasia.

Se le forme ritualizzate di viaggio e pellegrinaggio, verso la Mecca o Gerusalemme, tuttora persistono, come i viaggi verso Lourdes e Guadalupe, è con l’avvento del soggetto romantico che compare sulla via il Wanderer, il viandante alla ricerca del luogo che non c’è, l’utopia.

La sua spinta al movimento non è una immagine fissa o precostituita, perché sa che non può rimanere a lungo, ma è la consapevolezza della necessità di non potersi fermare perché ogni cosa ha un termine. L’irrequietezza e l’insoddisfazione hanno come contraltare la nostalgia per una casa e una origine mitizzate e irraggiungibili (“Immer nach Hause”, “sempre verso casa” scriveva Novalis), ma ai romantici va riconosciuta una intuizione fondamentale: per conoscere sé stessi è necessario confrontarsi con l’interiorità e costruire la propria singolarità attraverso di essa.

Come ricorda il termine tedesco Bildung, per formarsi come soggetti le immagini sono il fondamento.

La nuova classe emergente, la borghesia, incarna l’ideale e la possibilità di libertà di movimento nello spazio e soprattutto questa fame di immaginazione, attraverso i romanzi, i viaggi, gli incontri. Si inaugura così a partire da Goethe la stagione dei Grand Tour romantici, fonte di ispirazione nei paesaggi e nelle disavventure.

Attraverso il Wanderer si estremizzano e diventano riconoscibili alcune dimensioni psichiche dell’archetipo del fanciullo divino descritto da Jung.

archetipo del viaggio paesaggio

Il viandante romantico si muove al crepuscolo, sfuggente «in cerca dell’amato paese, vagheggiato e mai conosciuto», senza patria e in ricerca perenne e mai soddisfatta. Come ricorda Augusto Romano i suoi verbi preferiti sono ricercare, viaggiare, inseguire, trasgredire.

In questa declinazione il viandante rende perenne la dimensione della incompiutezza per cui la vita viene sempre sfiorata e mai conosciuta fino in fondo.

Il Puer aeternus vola sopra le cose con la tragica impossibilità di incarnarsi e trovare una sua collocazione nel mondo, fuori dal tempo pur sperimentando innumerevoli immagini e situazioni, errando spinto da un anelito insaziabile e da un desiderio che mai trova l’oggetto che appaghi completamente. Nella sua tensione il mondo viene però fecondato, lasciando il compito della costruzione ad altri.

Nel suo percorso attraverso i secoli il viandante si trasforma in flâneur e la caverna e la campagna divengono il labirinto della città, che custodisce l’eroe del viaggio nei suoi spostamenti. Nella geografia della psiche il panorama cittadino per Walter Benjamin pone delle sfide inusitate.

Le case, gli interieurs, non sono spazi felici, ma macchine dell’illusione per l’uomo alienato, che viene cullato da esse come nel grembo della madre, in cui si è sostenuti da una immaginazione futile in cui il disincanto è il vero locatore, consentendo come forme di sospensione solo il rifugio, il nascondimento, il sonno e la malattia.

Fuori dalla porta si apre il labirinto dei passages, le strade delle metropoli borghesi, come corridoi che scorrono lungo pareti di vetro e marmo, «il luogo del collettivo sognante che sprofonda in essi come nell’interno del suo corpo». I passages sono le vie che permettono l’accesso a un mondo infrauterino ambiguo, i templi del capitale delle merci, «che proliferano come una flora immemoriale», una profana discesa nel mondo delle madri profane, «l’orrore che adesca nel fondo della foresta». Il luogo di culto della città è il mercato che dispensa i suoi doni come una Grande Madre.

In questo viaggio quotidiano annebbiato da una sensualità ovattata come un incantesimo muove i suoi passi il flâneur, che si muove senza precisa direzione, bighellonando nel tempo e nello spazio, tra la seduzione della merce, esorcizzando i ritmi previsti dalla produzione,  e la nostalgia di un tempo scomparso e scende «se non fino alle Madri, tuttavia in un passato, che può tanto più ammaliare in quanto non è il passato proprio, privato.

Eppure, esso resta sempre il tempo di un’infanzia». Nel suo commento a Baudelaire, per Benjamin nel flâneur vive una creatura scomparsa, il cui sguardo sognatore tocca il poeta nel profondo del cuore: il figlio della selva, l’uomo a cui nell’età dell’oro la natura aveva promesso in sposa l’inattività.

Nelle sue ultime incursioni il Puer aeternus si è presentato come turista a caccia di immagini da immortalare e da condividere, per cui l’immagine del mondo stessa è diventata la merce da consumare sul fondo dello schermo del telefono, invertendo desiderio di approvazione e bisogno di esplorazione. Oppure, più tragicamente, possiede le persone con la possibilità chimerica, facendo  solcare deserti e oceani in nome di un futuro migliore.

La distrazione derivante da questa possessione archetipica di infinite possibilità fa spostare gli individui dal proprio centro e lo fa oscillare, con seduzioni e irrealtà ma anche stimoli da coltivare per realizzare il destino della personalità. L’operazione di distinzione per comprendere cosa ci corrisponde è diventata quindi più impegnativa, personale e sfidante, attraverso smarcamenti e avvicinamenti alla immagine fondamentale per sé. Il gioco tra soggetto e immagine non è più lineare, come sostiene Hillman ne Il mito dell’analisi, ma «è guidato tanto dal presente sincronico quanto dal passato causale, avanza lungo un percorso uroborico, che è una circolazione della luce e dell’oscurità», la nuova modalità di viaggio con sé stessi.

Bibliografia
M. Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose, vol. I, Sansoni Editore.
J. Hillman, Puer aeternus, Adelphi.
J. Hillman, Il mito dell’analisi, Adelphi.
E. Neumann, La Grande Madre, Ed.Astrolabio.
A. Romano, Il flâneur all’inferno, Moretti e Vitali.
C. Widmann, Il viaggio come metafora delll’esistenza, edizioni Magi.

di Alessandro Gabetta

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